domenica 27 novembre 2011

Ricordando Mat'Marija vittima di entrambi i totalitarismi

Ricordando Mat’ Marija, al secolo Elizaveta Jur’evna Skobcova, morta nel lager di Ravensbrück il 31 marzo 1945, vogliamo anche rendere un omaggio affettuoso all’amica Nina Kauchtschischwili che ha lasciato questo mondo il 4 gennaio scorso.
Nina Kauchtschischwili, georgiana, insigne slavista, docente all’Università di Bergamo, ha collaborato con Interdependence in più occasioni. Se ne è andata a 90 anni, ancora vivacissima nel percorrere sentieri, anche in senso letterale con la sua attività di guida scout, ma ancor più culturali e spirituali nell’infaticabile esplorazione, in un’ottica ecumenica, di tutti i possibili intrecci tra la cultura occidentale e quella orientale, in un’Europa che vuole respirare con due polmoni, secondo l’efficace espressione del poeta russo Vjaceslav Ivanov ripresa più volte da Giovanni Paolo II.
‘Tra Oriente e Occidente, la via nel mondo di Mat’ Marija Skobcova’ è il sottotitolo del libro ‘Mat’ Marija. Il cammino di una monaca’, che Nina Kauchtschischwili ha dedicato a questa luminosa figura di donna che attraversa, ma anche trasfigura, il male dei due massimi orrori totalitari del secolo scorso, di segno opposto e tra loro nemici, ma di identica violenza. E Oriente ed Occidente stanno qui per est e ovest dell’Europa, in cui si intrecciano le vicende legate all’affermarsi del comunismo russo e del nazismo e, con esse, la vita di mat’ Marija che, costretta ad allontanarsi dalla Russia nel 1920 per non cadere nella mani dei Bolscevichi, finirà martire dei Nazisti.

Elizaveta Jur’evna Skobcova nasce nel 1891 a San Pietroburgo in una famiglia di nobili che è in contatto con i nomi più belli della cultura del tempo. Nel 1910 sposa Dmitrij Kuz’min-Karavaev. Inizia con il matrimonio un periodo caratterizzato dalla frequentazione dei poeti russi dell’età d’argento, da una vita mondana brillante ma al tempo stesso oziosa, che lascia in Elizaveta un senso opprimente di vuoto e la porta a chiedere il divorzio.

Da una breve relazione di Elizaveta con un uomo del popolo, nasce una bimba, Gajana, cui Dmitrij Kuz’min-Karavaev dà il proprio cognome e a cui dimostrerà in più occasioni un affetto paterno. Dmitrij diverrà in seguito sacerdote cattolico. Nel 1919 Elizaveta sposa Daniil Skobcov, dal quale ha due figli, Jurij e Anastasija. Con la guerra e la rivoluzione ha inizio la sua militanza nel partito dei socialisti rivoluzionari, che la porta persino a diventare sindaco della cittadina di Anapa (la prima donna nella storia russa a svolgere un simile ruolo).

Costretta dalla vittoria definitiva dei bolscevichi a emigrare nel 1920, si trasferisce a Parigi. Inizia per Elizaveta un periodo pieno di sofferenze. Perderà tutti i figli: la morte di Anastasija nel 1926 la porta a scoprire una dimensione più profonda della maternità, suscitandole il desiderio di diventare «madre di tutti». Gajana muore in Russia nel 1936, Jurij poco prima di lei a Buchenwald.

Nel 1932 Elizaveta ottiene il divorzio religioso e prende i voti, con l’approvazione del marito, diventando mat’ Marija. Nel 1935, insieme ad altri intellettuali russi in esilio, tra cui Nikolaj Berdjaev e Sergej Bulgakov, fonda l’«Azione ortodossa», la cui attività spazia dall’organizzare conferenze all’offrire un lavoro o un piatto di minestra all’ultimo dei vagabondi.

Con la guerra arrivano a Parigi i nazisti e la follia antisemita. Per i cristiani dell’«Azione ortodossa» è del tutto naturale soccorrere in ogni modo gli ebrei, fornendo loro rifugi, documenti e soprattutto certificati di battesimo falsi. La repressione non tarda ad arrivare: tra gli altri vengono arrestati e deportati mat’ Marija, suo figlio Jurij, l’assistente spirituale padre Dimitrij Klepinin.

Mat’ Marija muore nel lager di Ravensbrück il 31 marzo 1945: il giorno prima, venerdì santo, si era offerta di prendere il posto di un’altra donna selezionata per la camera a gas.

Il percorso di Mat’ Marija, canonizzata dalla Chiesa ortodossa nel 2004, ricalca quello di moltissimi intellettuali russi del primo Novecento che da posizioni rivoluzionarie approdano alla fede. Un’anticipazione di questo percorso così peculiarmente russo può essere rintracciata già in Dostoevskij, cuore assoluto, punto di fuga di tutta la cultura russa, e non solo, tra Ottocento e Novecento, e non solo: spirito universale in cui si riassumono tutti i tempi, quelli a venire come quelli passati. “Dostoevskij rivelò profeticamente tutti i fondamenti spirituali e le energie motrici della rivoluzione russa” scrive Berdjaev “egli comprese che la somiglianza tra la santità rivoluzionaria e quella cristiana è la somiglianza ingannevole dell’Anticristo con il Cristo”.

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