Grazie a Dimitar Peshev l'intera comunità ebraica bulgara si è salvata dalla deportazione ad Auschwitz. Circa quarantottomila uomini, donne e bambini hanno potuto rimanere nelle loro case e sfuggire alle camere a gas! Diversa sorte è toccata agli ebrei di Tracia e Macedonia, nuovi territori "regalati" alla Bulgaria da Hitler, a condizione che non fossero intralciati i piani per la "soluzione finale". Peshev era un brillante avvocato di Sofia, originario di una piccola cittadina di provincia, Kjustendil, dove aveva passato l'infanzia e la giovinezza coltivando amicizie tra i compagni di giochi e di scuola, tra cui molti ebrei. Affascinato dalla politica, che riteneva un dovere di ciascuno praticare per mettere le proprie competenze al servizio della Nazione, aveva aderito al partito di destra che appoggiava la Germania di Hitler, senza opporre resistenza all'introduzione delle leggi razziali, che riteneva un provvedimento di facciata Si era invece schierato contro l'entrata in guerra in favore dell'Asse per la storica alleanza del Paese con l'Inghilterra e la tradizione anglosassone a cui non voleva rinunciare. Gli avvenimenti del marzo 1943, l'allarme lanciato dai suoi amici ebrei di Kjustendil sull'imminenza della deportazione, organizzata di nascosto dai nazisti con la connivenza delle più alte cariche dello Stato, incrinarono le sue certezze e lo spinsero a reagire: il suo intervento risoluto presso il Ministro dell'Interno, la sua autorevolezza e serietà politica che trascinarono altri deputati dietro la sua richiesta di impedire la partenza degli ebrei, lo scandalo che susciòa in Parlamento con la sua lettera di protesta, furono le armi decisive per salvare la comunità bulgara e con essa - ricorderà lo stesso Peshev - l'onore della Nazione. Epurato dalla compagine governativa, emarginato dalla politica, Peshev dovette subire l'ultimo oltraggio dal nuovo potere comunista: essere accusato di alto tradimento per aver appoggiato la poiltica filonazista del governo monarchico durante la guerra. Scampato per miracolo alla pena di morte e dopo un periodo di carcere duro, passò il resto della vita in miseria e solitudine, dimenticato in patria e riabilitato solo dopo la ricerca di Gabriele Nissim nel libro L'uomo che fermò Hitler (1998).
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