sabato 26 novembre 2011

ORGANIZZAZIONE SOCIALE E CONVIVENZA

Mitterndorf. Veduta dell'accampamento

Una serie di norme regolavano la vita nell'accampamento; esse erano generalmente accettate e applicate, anche perché il loro rispetto andava a beneficio di tutti e di ciascuno.

Ciò corrispondeva, d'altronde, alla cultura e all'educazione della nostra gente.

Venivano rifiutate, invece, quelle disposizioni che non derivavano da uno stato di necessità, dall'esigenza di una pacifica convivenza, dalla tutela della salute.

Per esempio: "A noi profughi si proibisce, a scanso di gravi castighi, di raccogliere da terra una noce, una patata; ci s'intima severamente di non raccogliere un dente-di-leone, un po'd'erba per sfamarci.

Mia cognata era andata a raccogliere una mano di stecchi che avrebbero servito per accendere il fuoco un paio di volte.

Se ne tornava verso le baracche, quando fu fermata da una guardia, che sta all'entrata dell'accampamento, e la costrinse a deporre il fascetto che teneva nel grembiule.

Andando a passeggio vidi una bambina che veniva per le strade adagino, tenendo in mano alcuni papaveri. La piccola guardava seria i suoi fiori e li teneva stretti come un tesoro.

Ma ecco appressarlesi un ispettore del lager.

Le disse con cipiglio qualche parola che io non intesi, le tolse i fiori, li lacerò accuratamente e poi li gettò in una cassetta della spazzatura.

La bimba proseguì per la via, guardandosi mortificata le manine vuote". (Boccher).

La cittadella di legno doveva rispondere alle molteplici esigenze della vita comunitaria dei profughi, oltre che al loro mantenimento e all'assistenza medico-infermieristica.

Si dovette dare perciò una precisa struttura organizzativa.

Mitterndorf. Giovanni Hueller, il primo da sinistra, nel corpo di polizia

DIREZIONE GENERALE DELL'ACCAMPAMENTO. 
Era affidata al commissario governativo barone Viktor Imhof; sede del comando era la Barackenwaltung. Nel 1918 al barone succedette l'ing. sup. F. Schmidkunz.

ISPETTORATO.
L'ispettore superiore dott. Cesare Loss aveva il compito di provvedere all'ordine pubblico, alla sistemazione nelle baracche, all'assegnazione di materiale di vario genere e alla dispensazione del vitto.
A lui facevano riferimento i capi-sezione che, a loro volta, coordinavano sette, otto capi baracca.
Questi ultimi erano tenuti a presentare dei rapporti sulle necessità dei profughi e su quanto avveniva entro il loro ambito; prendevano in consegna il rancio confezionato nelle cucine e ne sorvegliavano la somministrazione; si occupavano della distribuzione del vestiario.

COMITATO PROFUGHI.
Delegato del comitato di soccorso per i profughi del Tirolo meridionale, con sede a Vienna, era il consigliere aulico Bonfioli Cavalcabò.
Aveva, tra le sue incombenze, quella di sorvegliare il trattamento dei profughi, di esaminare i reclami presentati e di effettuare le indagini necessarie.
Per questo era nel lager un paio di volte la settimana.

SEGRETARIATO DEL POPOLO.
Era al servizio dei profughi per dare informazioni, stendere domande (di sussidio militare, di pensione, di trasferimento, di rimpatrio), suppliche, ricorsi.

CANCELLERIA D'EVIDENZA.
Teneva l'anagrafe della popolazione (che era piuttosto fluttuante per le numerose partenze e i continui arrivi), di sbrigava pratiche e dava informazioni legali.

Mitterndorf. I capi-baracca

ORDINE PUBBLICO E SICUREZZA.
Riguardo a ciò, la responsabilità era affidata alla gendarmeria.
Un corpo particolare di polizia, composto di un centinaio di trentini con proprie divise e gradi, si occupava di piccoli furti, di qualche vandalismo e di trasgressioni di non rilevante importanza.
Alcuni di essi furono di Roncegno: Giovanni Hueller, Rìccardo Postai, Silvio Dandrea ...
Un corpo di una quarantina di pompieri garantiva la sicurezza civile.

SCUOLE E ISTITUTI DI ASSISTENZA EDUCATIVA.
Anche per la presenza nel lager di molte insegnanti trentine, dal gennaio del 1916 gli scolari poterono frequentare le lezioni piuttosto regolarmente; le malattie, le difficoltà di riscaldamento nei periodi più freddi dell'anno, i trasferimenti delle famiglie, il pessimo ambiente delle baracche furono gli ostacoli maggiori a una fruizione compiuta del servizio scolastico.
Nel periodo di massima espansione dell'accampamento vi funzionavano 54 classi ospitanti 2169 scolari.
Don Cesare Tiso, professore del collegio vescovile di Trento, sovrintendeva alla scuola elementare, all'asilo, all'orfanotrofio maschile e femminile.
I piccoli, frequentando l'asilo e la scuola, stando in comunità, sentivano meno degli adulti, anche per loro natura, le sofferenze conseguenti alloro stato.
Le attività educative, i giochi, le passeggiate lungo il Fìscha riempivano d'interesse le giornate.
Le scuole erano per noi un paradiso: belle e accoglienti, e brave le maestre. Quando c'era una festa cara ai bambini (S. Nicolò, Natale. .. ), ci offrivano anche dei doni, si addobbava l'albero, si recitava. Frequentai subito l'asilo. Ricordo ancora la grande sala in cui ci si radunava e le canzoni imparate in occasione delle feste. Poi passai alle elementari, con una maestra di Mori.
I giochi proseguivano anche dopo scuola, individualmente o in gruppo. E i più grandicelli erano impegnati anche in prestazioni di pubblica utilità. Terminata la scuola, ci davano una fascia da mettere al braccio e si andava a pulire strade e a far lavori di ordinaria manutenzione.

Mitterndorf. La Chiesa

ASSISTENZA RELIGIOSA.
Nei primi mesi i profughi potevano servirsi poco della chiesa del villaggio perché, data la scarsa capienza, era loro sconsigliato di frequentarla.
La chiesa del lager, significativamente dedicata alla Fuga in Egitto, fu consacrata per il Natale del 1915.
La canonica ospitava undici sacerdoti trentini, diretti da mons. Luigi Brugnolli, parroco di Borgo Sacco.
Le suore francescane missionarie di Maria (suore bianche) operavano nell'orfanotrofio femminile, nell'asilo, negli ospedali, nei ricoveri.
Le suore della venerabile Capitanio (suore nere) conducevano l'orfanotrofio maschile.
Le suore canossiane furono chiamate, nell'ultimo anno, a dirigere le cucine.

SERVIZI VARI.
Funzionavano: la farmacia, il telefono, il telegrafo, la posta, la "kantine" (bar con servizio ristorante per gli impiegati), la casa del popolo (per proiezioni cinematografiche, spettacoli teatrali e manifestazioni di interesse generale).
Andavamo talvolta al cinema tedesco: non si capiva una parola. Si partecipava un poco quando le vicende rappresentate si riferivano ad ambienti e situazioni a noi familiari o parzialmente identificabili.

ALTRE OCCASIONI DI AGGREGAZIONE: la "schola cantorum", la banda musicale, la filodrammatica, l' orchestrina, gli scout.
Per essere accettati a far parte dei giovani esploratori bisognava avere nove anni. lo ne avevo soltanto otto, ma desideravo entrarvi. Il papà allora ne fece figurare uno di più, così diventai uno scout. Si dormiva in caserma e si andava a scuola inquadrati come militari. Con il gruppo facevo compiti, qualche servizio e passeggiate.

IL LAVORO.
Chiunque avesse avuto possibilità e capacità di lavorare nel lager poteva e doveva farlo.
E anche se il salario percepito non aveva particolare rilevanza, corrispondendo a un valore poco più che simbolico, tuttavia il fatto di produrre cose utili a soddisfare le esigenze dei baraccati si rivelò un bene comune e una gratificazione personale; le prestazioni di lavoro collettivo stimolarono alla vitalità, costituirono, se non altro, un antidoto all'inazione che altrimenti avrebbe depresso lo spirito e il corpo già fiaccati dall'esilio, dalle sofferenze e da tante privazioni.
Le cucine, il panificio e le lavanderie assorbirono parte della manodopera disponibile tra i profughi, così come i diversi laboratori artigianali (falegnamerie, officine meccaniche, scuola di merletti e ricamo, fabbricazione di cesti).
Vere e proprie fabbriche, inoltre, occuparono la gran massa delle donne con capacità lavorativa: 500 trovarono posto nella sartoria, dove erano state installate 270 macchine e, con il 1917, alcune centinaia nella fabbrica delle scarpe.
Altre ancora si dedicarono a confezionare calze a mano e trapunte, e non poche furono collocate nelle fabbriche esistenti nei paesi limitrofi.
Roncegnesi trovarono occupazione e migliori condizioni di vita in vari paesi dell'Austria, lavorando specialmente nelle campagne.

Mitterndorf. La sartoria

C'era lavoro per tutti. Le donne anziane che non potevano andare in fabbrica prendevano da fare calze a casa, sempre a pagamento. lo lavoravo nella fabbrica della rete, e la nostra maestra era la mamma del Brando, una buona donna veramente. Mi dedicai poi a ricamare tovaglie per la chiesa e successivamente mi occupai nella fabbrica delle scarpe. Ho sempre tenuto il martelletto per ricordo. La fabbrica delle scarpe era strutturata in reparti in cui si svolgevano le varie fasi della produzione. lo vi lavoravo in ufficio. Finito l'obbligo scolastico, andai nella fabbrica delle scarpe. Ero alla pressa, dove si preparavano le suole. La festa andavo anche in Ungheria e, in cambio di patate, facevo qualche servizio presso una famiglia. Avevo tanta salute e lavorai tanto, ma ebbi anche soddisfazione perché tutti mi rispettavano e mi apprezzavano. La mamma lavorava presso contadini, il lavoro era però massacrante: la mattina si alzava prestissimo e la sera si coricava tardi. Per questo preferì andare a lavorare nelle cucine dell'accampamento dove si trovò meglio, anche perché allora c'erano le suore. Lavorai inizialmente nella sartoria a confezionare càmici di tela da lavoro. Il sabato era dedicato alla pulizia delle macchine e della sala. Poi passai nella fabbrica di munizioni a riempire sacchetti di polvere. La "Frauschwsier" ci faceva alzare alle 5, per essere al lavoro alle 6. Alle 12 sospendevamo per il pranzo. Riprendevamo all'una, per concludere la giornata di lavoro alle 6. Ho ancora ben presente l'episodio dello scoppio avvenuto in fabbrica e dell'incendio che ne seguì. Era circa mezzanotte, quando si sentì un enorme fragore: tutti i vetri della baracca andarono in frantumi.Uscimmmo precipitosamente, così com'eravamo, e, saltata la recinzione, fuggimmo per i prati. Di tanto in tanto ci voltavamo a guardare le fiamme che si levavano altissime. Girovagammo per tutta la notte e solo verso mattina facemmo ritorno in baracca. La mia prima esperienza di lavoro mi portò in giro per il campo a vendere caramelle. Più tardi seguii la famiglia in un paese nelle vicinanze di Innsbruck. lo lavoravo in una fabbrica di mattoni e tegole, e il papà come scaricatore di merci alla stazione. Poi ci trasferimmo in un altro centro presso una famiglia di contadini. Là cominciammo a star meglio e a recuperare fisicamente. Infine lavorammo per un grosso contadino ebreo, che non ci faceva mancare il necessario, ma guai se ci vedeva raccogliere anche solo "farinelle" nei campi! Con il papà e mio fratello andai a lavorare per due estati vicino al confine con la Stiria: avevo allora dodici anni. Lavoravamo dieci ore al giorno alla costruzione di una strada che doveva portare alla residenza di un barone, posta su un colle. Il gruppo dei lavoratori provvedeva a [ars! da mangiare. Non mancava proprio niente: dai contadini comperavamo latte, patate, orzo, farina bianca e anche carne di capriolo. Così aumentai di undici chili in tre mesi. Il capo operai, un fiammazzo di Cavalese, aveva sposato una viennese; erano ambedue persone proprio buone, alle quali ci affezionammo. Questi sposi, che non avevano figli, desideravano che io rimanessi con loro: mi avrebbero affiliato. Lavoravamo fino al sabato alle due, così potevamo ritornare frequentemente a Mitterndorf per trovare i nostri familiari e portar loro generi alimentari.

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