Un caso come quello di Elfriede Lina Rinckel viene presentato come "questione olocaustica" e come tale sostanzialmente "indiscuttibile", ma forse è bene riflettere su alcune questioni: la donna di origini tedesche, sposata per circa 60 anni ad un ebreo tedesco (morto nel 2005), vissuta negli ultimi decenni negli USA e coinvolta in attività benefiche con la comunità ebraica californiana, è stata allontanata dal territorio statunitense in quanto avrebbe nascosto, al momento dell'entrata nel paese americano, di aver lavorato come kapò, per un anno, nel campo di concentramento di Ravensbruck.
La motivazione dell'espulsione (attualmente la donna si troverebbe nei pressi di Francoforte) dubitiamo riguardi solo il mentire al momento dell'ingresso negli USA. In qualche modo lo fanno pensare le parole del funzionario del Ministero della Giustizia, Eli Rosenbaum, che parla di "insulto alle vittime della shoa", riferendosi alla sola presenza della donna nei confini nazionali.
Nonostante la donna non abbia commesso atti di violenza da giovane, nonostante non fosse iscritta al Partito Nazionalsocialista, nonostante l'aver passato ben sessant'anni al fianco di un ebreo, nonostante il suo impegno nel volontariato e nonostante lo stato di salute e l'età avanzata, la donna finisce per essere solo una mentitrice.
E allora il sospetto è che non sia neanche la voglia di vendetta, ma una forma di ideologia a muovere l'agire che ha portato la signora Rinckel ad essere costretta all'esilio. Come se anche il solo accostarsi ad un qualche fenomeno storico o politico debba causare, di per sè, una condanna eterna. Ma allora, di per sè, che senso ha la Giustizia (intesa come organizzazione della legalità) se la storia personale non conta, anche quando è "tutto" (come in questo caso)?
Gene Kaufman, amministratore del locale cimitero ebraico, dice che si augura che la donna possa trovar pace: già, peccato che l'avesse già trovata... E come potrebbe poi, se la sua sola presenza, era un "insulto"?
21 settembre 2006
A Lower Nob Hill, un rione decaduto di San Francisco, rifugio di immigrati clandestini, era nota a tutti come la «jewish lady», la signora ebrea, sebbene fosse una luterana tedesca. Il motivo è che da sessanta anni era sposata a un ebreo, che frequentava una sinagoga, e che aiutava le associazioni di beneficenza ebraiche.
Fino alla morte di lui nel 2005, li vedevano passeggiare assieme la mattina per strada, mano nella mano, sorridenti ed eleganti, e danzare e cantare alla sera nel loro appartamento, con le finestre aperte. Una coppia molto anziana, senza figli, devota, legatissima, felice. Ma la «jewish lady» celava un terribile segreto di cui, nonostante la lunga vita in comune, era rimasto all'oscuro anche il marito: nella seconda guerra mondiale era stata per oltre un anno una SS, una guardia dello spaventoso campo di concentramento femminile di Ravensbrück... [...]
Quest'estate, il ministero della Giustizia americano, che da un trentennio dà la caccia ai criminali di guerra nazisti nascosti negli Stati Uniti, ha scoperto il tragico segreto di Elfriede Lina Rinckel. Elfriede ha 83 anni, è minuta, cammina con il bastone a causa dell'artrite, il diabete l'ha quasi privata della vista. La legge americana impone l'estradizione di chi mente all'ingresso nel Paese, e ne vieta il ritorno, ed Elfriede ha mentito sul suo passato. Il primo settembre, dopo circa 40 anni, l'America l'ha rimandata indietro, come circa altri cento criminali di guerra nazisti prima di lei. Elfriede, che rischia di essere incriminata dalle autorità tedesche, si è stabilita presso Francoforte. Ma si è presentata al locale consolato americano: dopo morta, vorrebbe che la sua salma fosse trasportata a San Francisco, per riposare accanto a quella del marito, nel cimitero ebraico «La casa eterna» di Colma. [...]
Eli Rosenbaum, il funzionario del ministero che bussò alla sua porta, ha dichiarato al Los Angeles Times che Elfriede non meritava il perdono: «La sua presenza qui era un insulto alle vittime dell'Olocausto. Lei stesso lo sentiva, non si è opposta alla estradizione. Ma non mi è parsa pentita, non ha espresso rammarico, ha solo cercato di giustificarsi. Non so se sia pronta a espiare le sue colpe». Gene Kaufman, l'amministratore del cimitero Sinai Memorial , ha detto di sperare che Elfriede trovi pace: «Nessuno avrebbe immaginato che nascondesse un simile passato: sulla tomba del marito, sotto la stella di David, c'è anche il suo nome. Quando si è congedata da noi, mi è parsa stanca, rassegnata».
Nessun commento:
Posta un commento