domenica 19 giugno 2011

Salva in Palestina la tata di «Fuga per la Vittoria»

Una busta ingiallita spunta tra vecchie cose di famiglia, con sopra un indirizzo curioso: «Famiglia Reichenbach, corso Vittorio Emanuele 103, Verona (Italien)». È per questo che Michael Merose, 66 anni, discendente da ebrei tedeschi emigrati prima della seconda guerra mondiale in Palestina e oggi residente a Ra'anana, a una ventina di chilometri a nord di Tel Aviv, decide di saperne di più. Gli ritornano infatti alla mente i racconti di sua madre Lotte Steinacher, che gli parlava di «Giangi» e di Verona, quando, per raccogliere i soldi necessari a trasferirsi dalla Germania nazista in Palestina, aveva accolto l'invito dei suoi genitori di passare qualche mese a Verona come fräulein, la tata dei bambini in una benestante famiglia della borghesia ebraica che chiedeva una ragazza di lingua tedesca per l'educazione dei propri figli.

«Ho digitato Reichenbach e Verona sul motore di ricerca Google e ho trovato l'articolo dell'Arena», spiega Merose. La storia di come i ragazzi Reichenbach fossero fuggiti dai nazifascisti, tagliando la corda alla chetichella durante una partita di calcio, come nel film Fuga per la Vittoria, l'avevamo scoperta e raccontata sui Volti Veronesi il 7 aprile 2009. Ecco precedenti e seguito, ricostruiti solo oggi grazie a internet, che rende tutto il mondo paese. Subito Michael, figlio di fräulein Lotte, si mette in contatto con i bambini di allora e scrive in inglese a Gian Giacomo Reichenbach: «È molto bello aver ritrovato te e tuo fratello 75 anni dopo che mia madre Charlotte (Lotte) Steinacher lasciò la vostra casa per venire in Palestina. Ho trovato una vecchia busta di lettera che ricevette dai suoi genitori rimasti in Germania, così ho potuto recuperare il vostro cognome esatto e risalire all'articolo di giornale che parla della vostra fuga in Svizzera da Cerro e del vostro ritorno sani e salvi a Verona. Mia madre lasciò la Germania nel 1933, quando Hitler giunse al potere. Viveva a Norimberga dove i nazisti dominavano. Le fu subito chiaro che sarebbe stato molto difficile per gli ebrei continuare a vivere là. Lei mi parlava spesso del suo lavoro a casa vostra: i vostri genitori cercavano una ragazza tedesca come babysitter perché i loro figli potessero imparare un po' di tedesco. Lei mi menzionava spesso Gian Giacomo con il nome di Giangi: è giusto?»

Conclude la sua lettera Michael Merose: «Mia madre visse a Gerusalemme fino al 1941, quando sposò mio padre Rudolf Rosenfeld, pure originario di Norimberga. Mia madre è morta il 31 dicembre 1999, all'età di 89 anni. Io sono nato nel 1943, ho tre figli e sette nipoti. Sono stato a Verona due volte, ma molti anni fa. Scusatemi, ma allora non sapevo nulla di voi». Lotte Steinacher portò con sé in Israele le foto di quei mesi passati a Verona: alcune sono simili a quelle che Gian Giacomo Reichenbach conserva ancora: in bicicletta da bambini lungo corso Porta Nuova, che allora era chiamato corso Vittorio Emanuele, probabilmente accompagnati a passeggio dalla stessa fräulein, altre su un balcone di un cortile interno nel palazzo dei Reichenbach, l'attuale Grand Hotel, da sola o con Gian Giacomo in braccio, altre dei bambini da soli. «Mia madre aveva 22 anni», racconta il figlio Michael, «quando Hitler salì al potere e capì subito, come molti ebrei del resto, che si apriva per essi un periodo terribile. A Norimberga il club sportivo che frequentava aveva posto all'ingresso la scritta che non potevano entrare cani ed ebrei. Capì che doveva lasciare al più presto la sua patria e d'accordo con i genitori scelse di lavorare un po' di tempo in Italia per due motivi: raccogliere un po' di soldi per l'espatrio e abituarsi a vivere lontana dai suoi, perché prima di allora non si era mai allontanata dai genitori. Non ho mai saputo come mia madre sia venuta in contatto con la famiglia Reichenbach: forse per via di amicizie comuni o semplicemente per aver risposto a un annuncio su un giornale tedesco nel quale si cercava una babysitter disposta a trasferirsi in Italia», aggiunge. «Mia madre parlava del piccolo Giangi». È il nomignolo con cui Gian Giacomo Reichenbach viene ancora chiamato dai familiari ed è stato il tramite che ha permesso di avere la certezza, prima di vedere le foto, che fräulein Lotte fu proprio la sua babysitter.

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