domenica 26 giugno 2011

LA SPOSA GENTILE - Lia Levi

Un banchiere ebreo, sposa una contadina cristiana…

Questa stringatissima frase, riportata quasi come una notizia, potrebbe rappresentare il “nocciolo fondante” del nuovo ottimo romanzo di Lia Levi: “La sposa gentile”.
Naturalmente c’è molto altro…

Siamo agli inizi del Novecento e Amos, giovane banchiere ebreo di una cittadina piemontese, avverte l’esigenza di crearsi una solida famiglia su cui investire la propria esistenza. I suoi parenti, soprattutto le donne della famiglia, lo indirizzano verso alcune giovani che farebbero al caso suo. Ma i sentimenti non possono essere pilotati. Così, quando Amos incontra la bella Teresa decide di amarla senza tener conto delle differenze sociali e dell’appartenenza a religioni diverse. Perché Teresa è una contadina cristiana.

Può, però, una famiglia ebraica, rispettabile, bene in vista… consentire a un proprio figlio di condividere la vita con una “sposa gentile”?

Il termine «gentile» ha, nella fattispecie, un duplice significato: il primo fa riferimento alla docilità della giovane - alla sua capacità di adattamento alle circostanze della vita - ; il secondo, nell’accezione ebraica, indica qualcuno che «appartiene a un altro popolo» (derivazione dal latino gens: «gente», «genti»).

Il termine «gentile», dunque, si «sposa» perfettamente con il personaggio Teresa, poiché la giovane contadina cristiana è dotata di una mitezza tale da indurla a “rinunciare” al proprio credo e ad abbracciare quello del suo uomo (proprio per evitare che questi subisca l’inevitabile ostracismo della comunità ebraica della famiglia di appartenenza). E nel farlo si allontanerà anche dai propri cari (Teresa non è solo cristiana: è anche una contadina… una ragazza dalle umili origini, dunque).

Ma fino a che punto è possibile scrollarsi di dosso le proprie origini? Fino a che punto la propria fede può essere addomesticata per assecondare le esigenze della persona con cui si è deciso di vivere?

Con la scrittura cristallina e suggestiva a cui ci ha abituati, Lia Levi tratteggia una storia famigliare che incrocia quella della prima parte del Novecento, rivelando alcune peculiarità del popolo ebraico e fermandosi alle soglie del 1938: l’anno delle leggi razziali fasciste.

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