La tradizione storiografica nazionale data l’inizio della lotta armata partigiana dopo l'armistizio con gli Alleati dell'8 settembre 1943. In linea di massima questo giudizio storico è corretto per quasi tutta Italia, fatta eccezione per il Friuli Venezia Giulia. Qui la Resistenza armata è ben radicata già dal 1942, grazie ai movimenti di opposizione attivi per tutto il ventennio fascista. Uno dei fulcri della resistenza politica è Monfalcone e particolarmente il cantiere navale. Occorre tenere presente che Monfalcone - proprio grazie alla nascita dell'attività cantieristica - si era trasformata durante gli anni ’30 da piccolo villaggio anima a borgo operaio con più di diciannovemila abitanti. Uno sviluppo impetuoso che portò all’impiego nel settore industriale di ampie fasce di popolazione e che, per conseguenza, condusse ad un rapporto con la politica assai diverso rispetto a quanto accadeva in aree del Paese meno industrializzate. Il cantiere - come la fabbrica altrove - divenne il terreno di sviluppo della coscienza sindacale e politica dei nuovi operai friulani.
Così negli "anni del consenso" in questa zona gli operai socialisti e comunisti danno vita ad una serie di azioni incisive: lanciano manifestini contro la guerra d'Etiopia del 1935; creano un circuito di assistenza - il "Soccorso Rosso" - che dal 1936 raccoglie, tra gli operai, fondi per aiutare le famiglie dei militanti arrestati dalla polizia politica fascista. Nasce e opera una tipografia clandestina. Si distribuiscono copie de L'Avanti! portate clandestinamente da Padova, si tengono riunioni di partito nelle case operaie.
All’inizio degli anni ’40, nella cellula del Partito Comunista locale compare il nome di Ondina Peteani. Nata il 26 aprile 1925 a Trieste, è più giovane del regime fascista che combatte, ma avere quindici anni non significa non poter essere utili: da tempo uno degli incarichi di Ondina è andare in treno a Padova e Udine per portare tra gli operai copie de L’Unità e de L’Avanti!.
Nel 1942 lavora come operaia al cantiere di Monfalcone, sa usare tutti gli strumenti di lavoro "maschili", come il "tornio a revolver", una conoscenza che le tornerà utile ad Auschwitz.
Nei suoi ricordi il ruolo dell'ambiente di lavoro è fondamentale per la crescita politica: "così, da una parte i colleghi di lavoro e dall'altra un gruppo di studenti che frequentavo a Ronchi, attraverso chiacchierate e discussioni, cominciai ad interessarmi di problemi sociali e politici. Sia alcuni operai del cantiere, sia alcuni studenti, militavano già allora nelle file clandestine dell'antifascismo, quasi tutti erano comunisti ed io mi sentii progressivamente attratta da questi compagni, infine cominciai a capire quanto eravamo incasermati". Si tratta ancora soltanto di suggestioni e di discorsi, la resistenza armata è ancora qualcosa di distante, epico ed elettrizzante per l'adolescente Ondina.
La realtà che circonda Peteani è un presente fatto di guerra continua. Sin dal maggio 1941 il Partito Comunista Italiano e l'Osvoboldilna Fronta (il Fronte di Liberazione sloveno) collaborano nella lotta armata nella Slovenia occupata. Naturalmente, di questi scontri si parla anche nel cantiere.
Nel 1942 il Partito Comunista Italiano si pone l'obiettivo di creare delle unità nazionali che, almeno inizialmente, siano di concreto supporto alla ben più organizzata attività slovena. Le trattative tra i comunisti italiani e gli sloveni portano alla creazione nel marzo 1943 del "Distaccamento Garibaldi", una piccola unità nella quale confluiscono tutti i combattenti italiani che si trovano inquadrati nelle unità partigiane slovene. Si tratta del primo distaccamento partigiano italiano. Ondina, nome di battaglia "Natalia", decide di diventare staffetta partigiana sul Carso nella "Brigata Proletaria", e il suo impegno le costerà due arresti da parte della polizia fascista. Per ben due volte riesce a scappare, ma l’11 febbraio del 1944, mentre si trova in missione a Vermegliano (Gorizia), finisce nelle mani dei nazifascisti, che la portano a Trieste. Segregata nel Comando delle SS di piazza Oberdan, la ragazza è poi trasferita al carcere del Coroneo. Lo lascia soltanto nel mese di marzo, per essere deportata ad Auschwitz, dove le viene tatuato il numero di matricola 81672. Successivamente viene trasferita nel campo di Ravensbrück. Dei lager Ondina conoscerà tutti gli orrori, tanto da avere incubi fino alla fine della sua esistenza, soffrendo di gravi malanni ai polmoni, anoressia, depressione e sterilità (il figlio Gianni lo adotterà all’età di otto mesi prelevandolo da un orfanotrofio). L'aiutano a sopravvivere il pensiero rivolto alla famiglia, la giovinezza e la forte fibra. Riuscirà così a evitare la camera a gas. Nell'ottobre del 1944, Ondina è trasferita in una fabbrica di produzione bellica ad Eberswalde, presso Berlino. Nello stabilimento riesce a far rallentare il ciclo produttivo, grazie a continui, ripetuti, pignoli controlli dei macchinari e della produzione. A metà aprile del 1945, nel corso di una marcia forzata di cinque giorni, che avrebbe dovuto riportarla a Ravensbrück, Ondina fugge dalla colonna di prigionieri. Riuscirà a rientrare in Italia a luglio, dopo aver percorso fortunosamente 1.300 chilometri. Nel dopoguerra Peteani esercita la professione di ostetrica, milita nel PCI, nel sindacato, nell'ANPI, nell'ANED, nei movimenti femminili. Nel 1962, con il suo compagno, dà vita alla prima agenzia libraria degli Editori Riuniti per il Triveneto, che ben presto, nella sua prima sede di Viale XX Settembre, diventa centro d'incontro di intellettuali, artisti, attori, giovani. Più tardi fonda il circolo giovanile comunista Ho Chi Min che poi confluirà nella rinata (grazie a lei) Associazione dei Pionieri d’Italia - erede di quella legata al Pioniere, testata per ragazzi sensibile ai temi internazionali diretta da Dina Rinaldi, e anche per un periodo da Gianni Rodari.
Durante gli anni settanta Ondina inventa le colonie estive laiche per bambini, che porta in vacanza in Istria, ma anche in visita alla DDR. Nel 1976 sarà, tra le prime, a organizzare una tendopoli nel dopo terremoto del Friuli, in località Maiano. Sono questi gli anni, in cui il suo impegno politico si concentra sull’attività del sindacato SPI CGIL; nei suoi interventi politici invoca l’importanza di un patto sociale tra generazioni, che eviti isolamento ed ingiustizia sociale. Questo suo entusiasmo le farà guadagnare l’appellativo di “pantera grigia”. All'indomani della scomparsa di Ondina Peteani, avvenuta il 3 gennaio 2003, il figlio Gianni ha costituito un Comitato, da lui stesso presieduto, per onorarla come "prima staffetta partigiana d'Italia". Nel 2007, l'Istituto Regionale di Storia del Movimento di Liberazione del Friuli Venezia Giulia ha pubblicato un libro biografico di Anna Di Gianantonio dal titolo È bello vivere liberi. Storia di Ondina Peteani. Intorno alla sua figura è stato inoltre allestito uno spettacolo dal titolo E’ bello vivere liberi! (vincitore del premio Scenario per Ustica 2009) ispirato alla prima parte della sua vita fino alla liberazione dal lager, che mette in luce il contributo fondamentale della Resistenza femminile all’emancipazione della donna, i sogni di libertà e gli ideali di pace dei giovani che aderirono al Movimento di Liberazione.
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