A soffrire per i veti imposti dal fascismo all’epoca delle Katakombenschulen, le scuole clandestine nelle quali i bambini tedeschi imparavano la lingua madre con l’incubo delle perquisizioni, fu soprattutto la Bassa Atesina, che come ricordano in un libro Milena Cossetto e Letizia Flaim era una realtà plurilingue abituata da secoli a convivenza e rispetto.
La nuova pubblicazione («Scuole clandestine in Bassa Atesina 1923-1939) raccoglie una serie di testimonianze dell’epoca, ricorda figure come l’avvocato Josef Noldin di Salorno, la maestra Angela Nikoletti di Magré (morì a soli 25 anni e divenne un modello per molti sudtirolesi) o Rudolf Riedl di Egna, altra vittima della repressione fascista, ma soprattutto riesce a trasmettere il clima di quegli anni. La lingua madre - scrive Milena Cossetto - diventava una minaccia: ogni lettera dell’alfabeto doveva stare al suo posto, non si potevano confondere, mescolare le due lingue, le due calligrafie. In quegli anni, in Alto Adige, il sapere, la cultura, ma anche solo la lettura o la scrittura erano diventati nemici. Salvare la propria lingua ha voluto dire ripudiare l’altra lingua, innalzare palizzate e steccati, gli stessi che - per fortuna di rado - ancora oggi troviamo in alcuni angoli isolati della nostra provincia.
LA NASCITA. L’appello a costituire o frequentare le Notschulen, o scuole d’emergenza, risale al 1923, quando vennero italianizzate le scuole della Bassa Atesina. Il canonico Michael Gamper, presidente della casa editrice Tyrolia e redattore del Volksbote, incominciò a lanciare appelli sul giornale affinché venisse data, comunque, la possibilità di imparare il tedesco alla gioventù sudtirolese. Con l’entrata in vigore della legge Gentile dall’anno scolastico 1923/1924 Gamper sollecitò direttamente la popolazione. «Dobbiamo imitare i primi Cristiani. (...) Di fronte alle persecuzioni si ritirarono all’interno del loro focolare domestico. Lì pregavano e sacrificavano insieme. Quando i persecutori arrivarono anche lì, essi si rifugiarono presso i morti delle tombe sotterranee, nelle catacombe».
LE PRIME LEZIONI. In Bassa le lezioni private iniziarono nell’autunno del 1923, quando l’avvocato di Salorno Josef Noldin tenne una riunione a casa sua per spiegare alle madri il progetto delle scuole private. Le prime ad attivarsi furono Berta von Gelmini, Theresia Simeoni e Ottilie Dalvai. Noldin - ricorda Letizia Flaim - può essere considerato il promotore delle lezioni private in Bassa Atesina e il rappresentante legale, perché si battè per difendere legalmente sia l’istituzione delle lezioni private, sia le singole maestre, che a causa della propria missione incorrevano in problemi giudiziari. Noldin venne aiutato da Josef Riedl, responsabile dell’organizzazione nella zona di Termeno. Ogni paese aveva un proprio responsabile: Alfons Holzknecht a Egna, Josef Gallmetzer a Ora, Johann Mazagga Montagna, il parroco Sebastian Kröss a Cortaccia, Josef Noldin a Salorno e il parroco Josef Gasser ad Anterivo. A causa delle persecuzioni fasciste, peraltro, questa prima semplice organizzazione dei corsi non è resistita a lungo.
LA GESTIONE. Per gestire meglio le scuole clandestine e per motivi di sicurezza si pensò di suddividere il territorio in tre circoscrizioni: Bolzano, Bassa val d’Isarco, Bassa Atesina e comuni periferici sotto la direzione di Maria Nicolussi, Bressanone, Alta Val d’Isarco e Pusteria vennero affidate a Richard Holzeis, Merano, Burgraviato e Venosta a Rudolf Mali, noto anche per il suo abbeccedario, utilizzato dalle maestre nelle Katakombenschule.
LA FORMAZIONE. I primi corsi si tennero a Bolzano. A palazzo Toggenburg vennero “formate“ 24 ragazze, ospitate nell’odierna clinica Santa Maria. Le partecipanti provenivano quasi tutte dalla Bassa Atesina, considerata la particolare urgenza in questa zona di organizzare i corsi di lingua tedesca. Ufficialmente si trattava di un corso di cucito sotto la direzione di Maria Nicolussi. L’anno dopo, sempre per motivi di sicurezza, si decise di formare le giovani maestre a Grado, fingendo che si trattasse di una colonia estiva. Il corso venne interrotto prima del tempo per il sospetto di essere spiati e da allora le giovani maestre si ritrovarono solo in locali messi a disposizione dalla Chiesa.
MAESTRE & ALUNNI. Una delle maestre, Hildegard Seeber Menghin, non notò mai nei bambini svogliatezza o pigrizia. «Volevano poter leggere anche in tedesco e questo per loro non era un dovere». La Menghin dopo l’anno di formazione a Monaco, dal 1933 al 1934, all’età di 20 anni, iniziò ad impartire lezioni clandestine a Egna e Villa fino al 1940. «Tedesco, solo tedesco. Storia, grammatica...grammatica, a dire la verità poca, solo esercizi». Per evitare che vi fosse concorrenza tra le maestre l’organizzazione stabilì delle regole: i gruppi dovevano essere costituiti da non meno di 3 e più di 6 bambini, le lezioni non dovevano tenersi prima delle 7 e non dopo le 19; i bambini svogliati dovevano essere esclusi; le insegnanti dovevano trattare il programma stabilito. In realtà venivano spesso usate le ore serali, dalle 18 alle 22, e le lezioni si concentrarono giovedì e domenica.
PERQUISIZIONI. Le frequenti interruzioni dovute alle perquisizioni, le corse per nascondere il materiale didattico, l’ansia di essere scoperti erano deleterie per lo studio e i bambini ne risentivano. C’era persino chi sosteneva che la scuola clandestina non era poi così utile, perché i bambini a causa delle interruzioni e del panico apprendevano poco. Salorno venne considerata dalle autorià fasciste la roccaforte della resistenza sudtirolese per la salvaguardia della lingua e della cultura sudtirolese e nell’archivio comunale si fa cenno alla necessità di «contrastare il focolaio di germanesimo antinazionale».
CASO SATTLER. Insegnò a Termeno e non venne mai sorpresa durante le lezioni perché i bambini - in caso di pericolo - impararono ad uscire dal tetto della casa. La Sattler doveva stare a casa per i controlli, ma riuscì in realtà ad eluderli facendo vestire una sorella come lei. Quando arrivavano i carabinieri si affacciava alla finestra e gridava “presente“. Nel 1938/1939 venne denunciata e incarcerata a Trento. Nel 1942 uscì di casa in pantofole e grembiule per andare in caserma per una firma: apprese strada facendo che era stata espulsa dall’Italia. I familiari, a Ora, fecero in tempo ad allungarle almeno una valigia. Si era sposata solo da 7 mesi.
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