sabato 25 giugno 2011

12 agosto 1944 - L’eccidio di Sant’Anna di Stazzema


Crimine contro l’umanità
L’eccidio di Sant’Anna di Stazzema è una delle più orribili stragi che l’occupazione nazista ci ha lasciato in eredità. Fu un vero crimine contro l’umanità ad opera dei tedeschi del 16° battaglione SS della 16. SS-Freiwilligen-Panzergrenadier-Division "Reichsführer SS", con a capo il maggiore Walter Reder (1915 - 1991) il 12 agosto 1944 e continuato in altre località fino alla fine del mese. Sant’Anna è un piccolo paese sulle Alpi Apuane, in provincia di Lucca, al confine con quella di Massa Carrara. Ai primi di agosto del 1944 la sua popolazione era di molto cresciuta in quanto essendo la zona circostante definita “ zona bianca “, ossia adatta ad accogliere sfollati provenienti dalle aree vicine. I partigiani operanti nel territorio si erano da alcuni giorni allontanati, senza effettuare attacchi ai tedeschi, e anche questo contribuiva a rendere la zona meno soggetta ad azioni militari.

I fatti di quel giorno
Nonostante ciò, all’alba del 12 agosto ’44, tre reparti di SS salirono a Sant’Anna, mentre un quarto chiudeva ogni via di fuga a valle, sopra il paese di Valdicastello. Alle sette il paese era già circondato. Quando le SS giunsero a Sant’Anna, accompagnati da fascisti collaborazionisti che fecero da guide, la maggior parte degli uomini del paese si rifugiarono nei boschi per non essere deportati, mentre donne vecchi e bambini, sicuri che nulla sarebbe capitato loro, in quanto civili inermi, restarono nelle loro case. In poco più di tre ore vennero massacrati 560 innocenti, in gran parte bambini, donne e anziani. I nazisti li rastrellarono, li chiusero nelle stalle o nelle cucine delle case, li uccisero con colpi di mitra e bombe a mano, compiendo atti di efferata barbarie. Infine il fuoco, a distruggere e cancellare tutto. Le testimonianze dei sopravissuti dipingono un orrore inaudito. Questa è quella di Luigi, il cui cognome non ha importanza perché la sua storia è identica a quella di tutti coloro che oggi ancora possono parlare di quel giorno: “ Avevo 11 anni Avevo undici anni. Ho assistito al massacro di mio padre e dei miei cinque tra fratelli e sorelle, la più piccina aveva tre anni. I carnefici appartenevano alla 16a Divisione Panzergrenadier SS, tra loro alcuni italiani arruolati e collaborazionisti...". Un altro episodio dell'eccidio fu il massacro della famiglia di Antonio Tucci, un ufficiale di marina che lavorava a Livorno, ma originario di Foligno, che aveva condotto la sua famiglia a Sant'Anna di Stazzema. In questa strage morirono 8 dei suoi figli (la cui età andava dai pochi mesi ai 15 anni) e la moglie. Soltanto lui si salvò perché in servizio a Livorno.

Nel coro quasi una unanime dei ricordi, emerge una frase comune a tanti, che più di altre può ricondurci a quel orrore: “…il sangue scorreva a rivoli nelle strade, come in un mattatoio “.

Il 19 agosto, varcate le Apuane, le SS si spingevano in comune di Fivizzano (Massa Carrara), seminando la morte fra le popolazioni inermi dei villaggi di Valla, Bardine e Vinca, nella zona di San Terenzo. Nel giro di cinque giorni uccidevano oltre 340 persone mitragliate, impiccate, addirittura bruciate con i lanciafiamme. Nella prima metà di settembre, con lo sconfino del massacro di 33 civili a Pioppetti di Montemagno, in comune di Camaiore (Lucca), i reparti delle SS portavano avanti la loro opera nella provincia di Massa Carrara. Sul fiume Frigido venivano fucilati 108 detenuti del campo di concentramento di Mezzano (Lucca), e per finire a Bergiola e a Forno i nazisti facevano circa 200 vittime. Risalendo l’Appennino verso nord avrebbero continuato la strage con il massacro di Marzabotto.

Un silenzio durato 50 anni
Sui responsabili di quel giorno piomba un silenzio lungo 50 anni. Poi nel maggio del 1994, la scoperta quasi casuale di una montagna di dossier nascosti in un vecchio armadio della sede della Procura Militare a Roma, riaccende la speranza. Riemergono i fascicoli occultati delle stragi nazifasciste commesse in Italia del biennio 1943-45 incluso quello relativo a Sant’Anna. Molti anni di accese polemiche e dure battaglie civiche attendono chi reclama giustizia per questa strage.

Il 25 aprile del 2000, il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, celebra la prima festa di liberazione del suo mandato proprio a Sant’Anna di Stazzema. Il suo viso commosso dinanzi all’ossario celebrativo delle 560 vittime di cui un centinaio bambini, si diffondono in tutto il mondo. Un gesto importante che alimenta la speranza solo per breve tempo. Il paese toscano divenuto il simbolo di una giustizia negata, rialza la testa davanti al silenzio che torna a calare. Il sindaco di Sant’Anna Gian Piero Lorenzoni, fondatore del Comitato per la Verità e Giustizia sulle stragi nazifasciste, temendo un nuovo insabbiamento ad opera del Parlamento, rilascia interviste ai media nelle quali minaccia la riconsegna al Presidente Ciampi, della Medaglia d’oro al Valor Militare, ricevuta nel 1971, dall’allora capo del governo Emilio Colombo. Una dichiarazione che pare ottenere l’effetto sperato.

L’8 ottobre del 2003 le due camere approvano l’istituzione di una “ Commissione parlamentare d'inchiesta sulle cause dell'occultamento di fascicoli relativi a crimini nazifascisti “.

Sempre nell’ottobre del 2003, il celebre fotografo Oliviero Toscani pubblica un libro di scatti sugli sguardi dei bimbi sopravissuti a Sant’Anna ora anziani. Una pubblicazione dall’alto valore artistico e storico, una sequenza di struggenti immagini che colpisce a fondo la sensibilità di molti italiani. Quegli occhi raccontano e trasmettono tutto l’orrore e la rabbia impressa il 12 agosto di quasi 60 prima.

Il processo
Il 60esimo anniversario dell’eccidio si trasformerà in una data storica: grazie ai nuovi elementi emersi dalle indagini avviate nel 2002 dal procuratore militare Marco De Paolis, il 20 aprile del 2004 prende il via presso il Tribunale Militare di La Spezia, il processo ai presunti colpevoli della strage di Sant’Anna. Sul banco degli imputati una decina di ex ufficiali nazisti, solo coloro con responsabilità di comando, tutti ultra ottantenni. Per la loro identificazione vengono interrogati decine di ex ufficiali e coinvolte autorità di paesi stranieri. Alcuni ufficiali tedeschi racconteranno i dettagli degli orrori commessi manifestando un gelido distacco irriverente, dove i particolari delle uccisioni e torture, si ridimensionano a comuni disposizioni militari da eseguire.

Il procedimento di La Spezia si svolge in un clima di profonda tensione emotiva. Nel corso di quelle udienze i sopravissuti e i parenti delle vittime, devono ripercorrere un doloroso cammino a ritroso nel tempo, per riportare alla luce atrocità che nei decenni non hanno mai smesso di sanguinare. Si tratta a volte di lacrime liberatorie, perché finalmente dopo oltre 60 anni un organo della giustizia italiana è lì ad ascoltare. In altri momenti ricordare comporta uno sforzo insostenibile, e accade che le udienze devono essere sospese, perché chi deve deporre non riesce a soffocare l’angoscia che lo assale. Riemergono i fatti, la dinamica della strage. Testimoni riferiscono che anche diversi italiani parteciparono al rastrellamento dei civili: li riconosceranno per l’accento locale in quanto protetti da maschere per non essere riconosciuti. L’intera operazione emerge come ampiamente pianificata da tempo, e non a rappresaglia di azioni partigiane come si è cercato di far credere per decenni.

La sentenza finalmente giunge alle 19:38 del 22 giugno 2005 per bocca del Presidente Franco Ufilugelli: la corte di La Spezia condanna 10 ex ufficiali tedeschi all’ergastolo. La folla assiepata in quella aula resa rovente da una giornata caldissima, esplode in un pianto liberatorio. Lacrime di gioia e di rabbia si fondono nell’abbraccio di chi ha atteso questo momento da una vita. Nello sguardo si legge una dignità finalmente riconosciuta, l’incredulità per una sentenza temuta sino alla fine, ma non scompare l’amarezza per una condanna a 10 vecchietti un giorno assassini, che non pagheranno mai per quanto hanno commesso. Di grande valore le parole a commento della sentenza del procuratore De Paolis: “ …chiedo scusa perché la giustizia è arrivata tardi. E' vero queste persone condannate non sconteranno la pena, ma almeno faranno i conti con la loro coscienza “.

Anche su questo punto molti dei presenti conservano molti dubbi. L’unica certezza è che nessuno di questi uomini ha mai esternato alcuna forma di pentimento, se si esclude il soldato semplice Goring, che pur non denunciando mai i compagni di quei giorni, pare abbia chiesto scusa.

Nel novembre del 2007, la Cassazione di Roma conferma la sentenza d’Appello che aveva nel frattempo ridotto il numero degli imputati condannati alla massima pena, e alla fine la giustizia italiana dopo 63 anni, riconosce l’ufficiale Gerhard Sommer e i sottufficiali nazisti Georg Rauch e Karl Gropler, colpevoli di eccidio premeditato.

Per tutti ribadita la condanna a vita, ma nessuno di loro trascorrerà un solo giorno in carcere.

Una stanza buia nell’anima

Pur conclusasi senza una effettiva condanna, la sentenza si eleva a simbolo per l’intera resistenza italiana, come accadde per le Fosse Ardeatine e Marzabotto. Resta il peso per una giustizia tardiva, negata nella sua essenza, figlia di una volontà precisa. Nell’ascoltare le deposizioni dei sopravissuti e dei parenti delle vittime, si diviene testimoni di un dolore universale, assoluto, quel dolore senza tempo antico come l’uomo, che segna indelebilmente chi porta la morte nel cuore per ogni suo giorno che rimane da vivere. Centinaia di vite private dell’amore dei genitori, dell’abbraccio dei figli. Uomini e donne a reclamare un amore mai ricevuto, costretti a soffocare un affetto mai donato, cercando di sfuggire alla morsa del rimpianto per ciò che poteva essere e non è mai stato. Una immensa stanza buia dell’anima mai illuminata dalla luce.

Ciò che la guerra lascia in eredità, è soprattutto questo.

Nessun commento:

Posta un commento