La comunità ebraica cittadina, nell’autunno del 1938, contava 134 membri. Le comunità minori, presenti sul territorio provinciale, erano state accorpate a quella del capoluogo a partire dal 1931. Solo alcune famiglie israelite abitavano ancora nelle località della Bassa parmense dove storicamente si erano radicate, come Busseto, Soragna e Fidenza. Borgo Val di Taro, Neviano degli Arduini a Pellegrino Parmense, tre comuni dell'Appennino, ospitavano ciascuno una famiglia di ebrei. Infine, vivevano rispettivamente a Golese e a San Pancrazio due famiglie di agricoltori di religione ebraica. Il censimento effettuato nel 1938, di cui rimane copia dattiloscritta nell'archivio dell'Istituto storico della resistenza e dell’età contemporanea di Parma, rivela dunque un forte calo della popolazione ebraica parmense rispetto ai secoli passati. Dei 134 ebrei del centro urbano, sessantadue erano donne e settantadue uomini. Tra di loro, sei erano bambini in età scolare e 12 ragazzi iscritti alle scuole superiori e all'università. La maggioranza dei membri della comunità apparteneva alla borghesia, come dimostrano sia i mestieri di riferimento sia il fatto che abitassero in quartieri residenziali.
Anche gli ebrei di Parma furono colpiti dalle leggi razziali. Il “Corriere Emiliano”, in un articolo del 13 ottobre, dava notizia dell’espulsione dall’università di quattro professori ebrei. Alcuni studenti furono costretti a trasferirsi alla scuola ebraica di Milano. Luciano Fano fu accolto dall'Istituto religioso “De La Salle” continuando così gli studi.
Cinque giorni dopo l’entrata in guerra dell’Italia, il ministero dell’Interno disponeva il rastrellamento degli ebrei stranieri, ordinandone l’internamento in campi di concentramento. Nei due anni successivi, inoltre, vennero trasferiti nella penisola gruppi di israeliti già internati in altri territori italiani del Mediterraneo. Un numero imprecisato di questi venne confinato anche in una ventina di comuni del Parmense, dove in generale la popolazione locale fu ospitale nei loro confronti.
Con l’occupazione tedesca e la costituzione della Repubblica sociale italiana anche gli israeliti di nazionalità italiana avrebbero dovuto essere inviati in campi di concentramento e tutti i loro beni confiscati a favore della Rsi. Nella provincia di Parma furono utilizzati i seguenti campi: il castello di Scipione (Salsomaggiore Terme), istituito nell’estate del 1940 per i cittadini dei paesi nemici e per i prigionieri politici, chiuso temporaneamente e in funzione, poi, fino alla sua liberazione; gli alberghi “Ristorante Terme” e “Bagni”, a Monticelli Terme, riservati alla detenzione di donne e bambini; il campo ubicato nel castello di Montechiarugolo, aperto nell’estate del 1940, venne invece chiuso all’indomani dell’8 settembre 1943.
Per sfuggire al pericolo di essere arrestati, alcuni ebrei decisero di espatriare: tra questi Gualtiero Almansi, il rabbino Enrico Della Pergola e l’avvocato Aristide Foà, repubblicano antifascista. Tra coloro che si ritrovarono al sicuro in Svizzera, in seguito, ci furono la famiglia Vigevani e i Levi, privati questi ultimi del capofamiglia, arrestato il giorno prima della fuga, e deportato in Germania, dove morì nel marzo del 1945. Intanto, venivano sequestrati gli arredamenti della sinagoga di Parma, depositati presso il magazzino di un mobiliere. Gli oggetti sacri erano stati in precedenza nascosti presso la Biblioteca Palatina, da cui sarebbero stati recuperati alla fine della guerra.
Settantaquattro furono gli ebrei deportati dal Parmense sia italiani sia stranieri. Delle ventitré vittime dello sterminio, sei furono bambini e la loro storia è entrata nella memoria collettiva di Parma. Donato e Cesare Della Pergola, figli del rabbino di Parma e di Emilia Camerini, il 12 dicembre 1943 furono catturati da un nucleo di fascisti di Tizzano Val Parma e condotti con la madre, le zie e la nonna, nel campo di concentramento di Monticelli Terme, da cui furono trasportati a Fossoli e in seguito ad Auschwitz. Liliana e Luciano Fano erano nati a Pellegrino Parmense dove i loro genitori, Ermanno e Giorgina Padova, si erano trasferiti nel 1931. L’intera famiglia, compresi il piccolo Roberto nato nel 1942 e i due nonni, fu prelevata il 7 dicembre 1943 dalla casa di via Imbriani. I due nonni furono rinchiusi nel carcere di San Francesco, il padre a Scipione e la madre con i figli nel campo di Monticelli Terme. Roberto Bachi e il padre, rifugiati a Torrechiara, furono arrestati il 16 ottobre 1943. Partirono entrambi dal carcere di San Vittore a Milano per Auschwitz, nel dicembre dello stesso anno. Nessuno di loro tornò dai campi di sterminio.
Alcuni degli internati riuscirono a salvarsi facendosi ricoverare presso l’ospedale cittadino, nella speranza di essere riconosciuti inabili alla vita del campo. Ricordiamo la solidarietà del personale ospedaliero che, con il suo intervento, riuscì a impedire la deportazione di alcuni ebrei. Tra coloro che aiutarono gli israeliti del Parmense a sfuggire alla deportazione ci fu Riccardo Pellegrini, pretore a Fornovo Taro durante la seconda guerra mondiale, rappresentante nel Cln di Parma, che organizzò l’espatrio di molte persone. Lo stato di Israele lo riconobbe come “giusto”, massima onorificenza spettante a chi si distinse nell’aiuto fornito agli ebrei durante la guerra. Ad altri parmigiani negli ultimi anni è stato attribuito lo stesso riconoscimento.
Infine, non è a tutt’oggi noto il numero degli ebrei che presero parte alla lotta di liberazione. La documentazione in nostro possesso ci fornisce i dati di quattro israeliti partigiani, inquadrati nelle Brigate del territorio: Remo Coen (“Raffaello”), Cesare Bassani (“Sam”), Aldo Melli (“Marte”), morti sull’Appennino parmense, e Haim Menache, (“Jumbo”), ebreo originario di Costantinopoli. Ricordiamo, inoltre, il nome di Mario Jacchia (“Rossini”), avvocato bolognese, ispettore militare per l’Emilia dopo l’8 settembre 1943. Il 3 agosto 1944, durante una riunione di organizzatori partigiani a Parma, venne arrestato e consegnato alla Sd tedesca. Improvvisamente prelevato dalla prigione il 20 agosto dello stesso anno, di lui non si seppe più nulla. Nel dopoguerra fu insignito della medaglia d’oro al valor militare.
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