Un film incentrato, come “Vento di Primavera” di Rose Bosch, sulla storia ancora poco nota della retata del Velodromo d'Inverno di Parigi (16-17 Luglio 1942) .
Sembrerebbe l'ennesimo film su questa retata, probabilmente realizzato sulla scia del successo del film della Bosch, ma non è così.
“Elle S'appelait Sarah” di Gilles Paquet Brenner, tratto dal romanzo “La chiave di Sarah” di Tatiana de Rosnay, edito in Italia da Mondadori, è uno dei migliori prodotti di fiction realizzati in questi ultimissimi anni.
Il suo punto di forza: l'essere una fiction tratta da una storia di fantasia, capace di trascinare il lettore dentro il più grande buco nero della storia, senza cedere a facili o retorici sentimentalismi, in grado di dare un happy end troppo mieloso. Il regista riesce totalmente nel combinare una fiction basata su un romanzo di fantasia con l'incisività e il trascinamento delle immagini, che solo le fiction tratte da storie vere riescono a fornire.
Quel trascinamento che porta lo spettatore a non distinguere più dove sia la fiction e dove sia la realtà, a cui sono arrivate solo poche e incisive pellicole sulla Shoah, come “Schindler's List” o “La Passeggera”.
E' una operazione, questa, nella quale non è riuscita neppure ad arrivare Rose Bosch con “Vento di Primavera”, che pure è basata su vicende e documenti reali, a differenza della fiction della Brenner, che di reale ha la ricostruzione della rafle del Vel D Hiv, ma non i personaggi di questa terribile storia.
Come nel romanzo da cui è tratto, il film intreccia le vicende di due donne, che finiscono con l'incontrarsi sul filo rosso della memoria e della storia.
Sono entrambe di Parigi, ma appartengono a due mondi diversi e due epoche diverse. Sarah Starzynski è una bambina ebrea di origine polacca che vive con i genitori e il fratellino Michel in rue de Saintonge, nel 1942.
Julia Jarmond (interpretata da una Sarah Scott Thomas per me in uno stato di grazia assoluta) è una giornalista di origine americana in carriera nella Ville Lumiere, sposata con un francese, che, sessant’anni dopo, viene incaricata dal suo direttore, di preparare un dossier sugli ebrei parigini deportati nei campi di sterminio dal Vel D'Hiv.
Il destino delle due donne è destinato a ricongiungersi nel corso delle indagini di Julia. Già, a ricongiungersi, non a incontrarsi, perchè Julia non impiegherà molto a scoprire un terribile segreto che lega la sua famiglia al destino di Sarah, e a una scoperta terribile sul destino di questa bambina.
Un destino in cui c'è una bambina e una chiave (“La chiave di Sarah” è il titolo italiano del romanzo da cui il film è tratto) in grado, se usata in tempo, di dare ancora sopravvivenza. Una sopravvivenza che però, tragicamente, non arriverà in tempo.
Un film melodrammatico e coinvolgente, con flashback a colori in grado però di coinvolgerti, con i suoi primi piani dei corpi sudati degli ebrei deportati e accalcati a migliaia nello stadio del velodromo di Parigi, e coi primi piani degli escrementi, in mezzo ai quali erano costretti a vivere. Se queste scene fossero state girate in bianco e nero come in “Schindler's List” , il coinvolgimento non raggiungerebbe lo stesso livello. Un film che è alta poesia, come la poesia “Elle S'Appelait Sarah” scritta da Jean-Jacques Goldman nel 1982, in memoria di una bambina ebrea dal destino simile a quello della protagonista, a cui il titolo del film si rifà.
Elle s’appelait Sarah
Elle n’avait pas huit ans.
Sa vie, c’était douceur,
Rêves et nuages blancs.
Mais d’autres gens en avaient décidé autrement.
Si chiamava Sarah, non aveva otto anni. La sua vita era dolcezza, sogni e nuvole bianche.
Ma altre persone avevano deciso che non dovesse essere così.
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