sabato 6 agosto 2011

I soldati tedeschi stupravano donne ebree e di “razza inferiore”, disobbedendo al Fuhrer

«La persona offesa di sesso femminile appartiene a un popolo per il quale il concetto di onore sessuale è quasi del tutto scomparso». Questa la sentenza di un giudice militare tedesco formulata sulle violenze al donne ebree perpetrate durante la Seconda guerra mondiale dai soldati tedeschi impegnati sul fronte orientale.

Giovani ebree costrette a fare sesso e poi fatte uccidere. Una giovane donna fatta prigioniera, messa su una sedia, picchiata, spogliata persino della biancheria intima e costretta a subire un processo farsa da chi sosteneva che la sua vagina era un nascondiglio per i messaggi delle spie. Una donna russa chiusa a chiave in cantina e violentata da 6 soldati, uno dopo l’altro. «Ragazze appetitose» era questo il commento dei soldati che tornavano in patria.

Diari, lettere dal fronte, relazioni di testimoni oculari, corrispondenza tra i vari dipartimenti e sentenze dalla corte militare testimoniano la condotta deplorevole dei soldati tedeschi durante il conflitto. Nonostante i divieti del terzo Reich di fare sesso «con le donne di una popolazione di razza diversa», lo stesso gerarca Heinrich Himmler, che nel 1941 aveva chiesto di fare rapporto a lui personalmente in merito, dovette successivamente ammorbidire la sua posizione per arrivare a dire «i rapporti sessuali sconsigliati sarebbero da evitare finché è possibile».

Il bere comune, gli approcci intimi con donne e ragazze indigene, il ballare con loro, così come accompagnarle in viaggi occasionali con veicoli di servizio erano cose assolutamente vietate ma, nelle città dove facevano tappa, i soldati passeggiavano per le strade a braccetto oppure posavano per foto ricordo con le donne del luogo. Alcune coppie chiesero persino il permesso di sposarsi.

Il comportamento delle persone che hanno combattuto la campagna più grande e sanguinosa della Seconda guerra mondiale è rimasto per molto tempo coperto dal velo del «Non vogliamo sapere», e, fino agli anni novanta, i crimini dell’esercito tedesco sono stati trattati come tabù.

Secondo la storica Regina Mühlhäuser dell’Istituto di Amburgo per la Ricerca Sociale, si tratta di “crimini di violenza sessuale ” che, sebbene non fossero ordinati dall’alto, trovarono una certa tolleranza grazie anche al decreto, voluto da Hitler, del tribunale di guerra che stabiliva che le aggressioni contro i civili non dovevano essere punite: i comandanti delle truppe poterono così lasciare ai loro soldati un certo margine di libertà e intervenire solo con rare e deboli sanzioni.

Si tentò di arginare il fenomeno: a partire dal 1943 l’esercito istituì bordelli anche in Oriente, circa 20, tra cui a Riga, Wilna, Charkow, Lemberg e Smolensk. La salute dei soldati rischiava di essere compromessa massicciamente, a giudicare dalle relazioni sulla sifilide o la gonorrea che si accumulavano presso i servizi sanitari ed i medici di fiducia.

L’immagine del soldato tedesco sobrio, misurato, cosciente della propria razza, come gli ideologi nazisti volevano il combattente sul fronte orientale, viene quindi sovvertita completamente dalla realtà emersa dallo studio di Regina Mühlhäuser che esamina le violenze sessuali dei soldati tedeschi durante la guerra contro l’Unione Sovietica e distrugge il mito del sano esercito tedesco i cui desideri erano rivolti solo alla propria patria ed ai propri cari.

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