"Neanche un cacciatore può uccidere un uccello se questi viene da lui a cercare rifugio" - (detto samurai)
Grazie al regista americano Steven Spielberg, tutti conoscono l'eroismo dell'industriale tedesco Oskar Schindler che, durante la Seconda Guerra Mondiale, salvò migliaia di ebrei assumendoli nelle sue fabbriche e strappandoli così dall'Olocausto. Il suo splendido esempio non fu l'unico: in quegli anni in cui l'umanità toccò il fondo in fatto di bestialità e abominio: ci furono alcuni uomini che, mettendo in pericolo la loro vita e la loro carriera, si adoperarono per salvare altri essere umani strappandoli dalla morte certa. Oltre a Schindler, non si possono certo dimenticare, per esempio, il diplomatico italiano Giorgio Perlasca, l'uomo d'affari tedesco John Rabe, il diplomatico giapponese Chiune Sugihara e il diplomatico svedese Raoul Wallenberg.
Il 1 settembre del 1939 la Germania nazista diede il via all'invasione della Polonia dando inizio al devastante conflitto mondiale che sarebbe durato ben sei anni. La Polonia fu invasa senza quasi incontrare resistenza anche perchè le grandi democrazie europee si rifiutarono di aiutare militarmente la Polonia. Qualche giorno prima il 23 agosto venne firmato, tra Von Ribbentrop e Molotov, il "Patto di non Aggressione tra la Germania e l'Unione Sovietica". Questo patto diede via libera alle truppe sovietiche per l'invasione della parte orientale della Polonia, dei paesi baltici e della Finlandia. Prime vittime di questo scellerato patto furono gli ebrei polacchi che si trovarono stretti tra due fuochi: i tedeschi ad ovest e i sovietici ad est; nè l'uno e nè l'altro rappresentavano la salvezza per gli ebre; in migliaia decisero di andare a nord, in Lituania che ancora era indipendente. La situazione si fece drammatica quando, nel giugno del '40, l'Unione Sovietica invase ed occupò il paese baltico. Migliaia di ebrei si radunarono davanti ai cancelli dei vari consolati nella speranza di ottenere un visto per poter lasciare il paese. Ce la fecero in pochi - molti paesi avevano leggi severe in fatto di immigrazione e, quindi, per il rilascio dei visti - e la maggioranza di questi disgraziati dovette bussare alla porta di vari consolati nella speranza di ottenere un lasciapassare che avrebbe significato la salvezza. In quei giorni si sparse, tra i disperati, la voce che in due piccoli territori olandesi - Curacao e la Guiana Olandese - era possibile entrare senza alcun tipo di visto; oltretutto il console olandese, Jan Zwartendijk, si disse disposto a concedere loro un visto olandese per raggiungere quelle isole. Il problema principale era però ottenere il permesso sovietico ad attraversare il suo territorio. Il permesso venne concesso, ma a patto che i viaggiatori si dotassero anche di un visto per il Giappone. In pratica tutte le loro speranze di salvezza erano ora riposte nel console giapponese Chiune Sugihara.
Chiune Sugihara nacque il 1 gennaio del 1900 a Yaotsu, nella prefettura di Gifu. Dopo aver frequentato brillantemente gli studi, e dopo aver evitato di seguire le orme del padre medico, con uno stratagemma (fallì volontariamente l'esame di ammissione alla carriera medica), si iscrisse all'università di Waseda dove studiò letteratura inglese. Il suo sogno era quello di vivere e lavorare all'estero; un giorno notò la pubblicità del Ministero degli Esteri che cercava giovani disposti ad intraprendere la carriera diplomatica. Si iscrisse e superò l'esame di ammissione; venne assunto e mandato all'Istituto Linguistico ad Herbin, in Manciuria. Qui imparò il russo e il tedesco. Il giovane era molto promettente e collaborò con l'Amministrazione Controllata dove occupò il posto di Vice Ministro degli Esteri. Con grande abilità condusse i negoziati che portarono alla vendita, da parte dell'Unione Sovietica al Giappone, della Linea Ferroviaria della Mancuria Settentrionale. Dopo essersi convertito alla religione Ortodossa, si dimise, nel 1934, dal suo incarico per protestare contro i maltrattamenti, inferti dai militari giapponesi, ai danni della locale popolazione cinese.
Dopo una breve missione ad Helsinki, e con la guerra ormai alle porte, il Giappone decise di aprire un Consolato a Kaunas, capitale della Lituania, e chiamò Sugihara a dirigerlo. Il compito dell'unico dipendente del Consolato, Chiune Sugihara, era quello di tenere sott'occhio i movimenti delle truppe tedesche e sovietiche.
L'anno successivo, all'inizio dell'estate, ricopriva ancora tale carica quando migliaia di ebrei, a seguito dell'invasione sovietica, si accalcarono fuori del consolato giapponese nella speranza di ottenere un visto per il Giappone.
La politica migratoria di Tokyo era severa e solo chi dimostrava di avere denaro a sufficienza poteva ottenere un visto; la massa di ebrei in attesa, avendo visti espropriati i propri beni, dai tedeschi o dai russi, non era nelle condizioni di soddisfare questa condizione. D'altra parte, però, il Giappone, diversamente dalla Germania e, poi, dall'Italia, non aveva motivi di rancore contro gli ebrei, anzi: fu, per esempio, il prestito di 196 milioni di dollari da parte di un banchiere ebreo di New York, Jacob Schiff, a permettere al Giappone di vincere la guerra contro la Russia nel 1905. Sugihara chiamò varie volte Tokyo per avere istruzioni sul comportamento da tenere; le risposte che ricevette furono interlocutorie, se non negative. Il tempo stringeva e la situazione era ormai insostenibile con migliaia di ebrei che circondavano il consolato. Una decisione doveva essere presa subito; Sugihara era in una posizione critica: ubbidire al governo o ubbidire al suo istinto e ai suoi sentimenti ? Disobbedire al governo avrebbe significato la fine della sua carriera e anche la famiglia ne avrebbe risentito, ma, d'altra parte, negare quei visti voleva dire mandare a morte certa centinaia, se non migliaia di esseri umani. Per un cristiano, quale lui era, non potevano però esserci dilemmi: lui stesso ripeteva che doveva scegliere tra l'ubbidire al suo governo o a Dio.
La madre veniva da una famiglia di samurai; Chiume, educato alla morale dei guerrieri, aveva un grande senso dell'onore, dell'etica, dell'amore per la famiglia e di tutte quegli insegnamenti del perfetto samurai. Spesso ripeteva un'antica massima samurai secondo la quale neanche un cacciatore poteva uccidere un uccello se questi veniva da lui per cercare rifugio. Sugihara era anche sinceramente religioso e sentiva forti i sentimenti dell'amore verso i più deboli e dellaiuto verso chi vive nella sofferenza.
Così prese l'iniziativa e cominciò a distribuire visti a chiunque ne facesse richiesta. Fu un atto di disubbidienza che salvò la vita a migliaia di ebrei. Sugihara e sua mogle compilarono visti per tutto il mese di agosto (il 4 settembre, per ordine delle autorità sovietiche, il consolato dovette chiudere), lavorando anche venti ore al giorno ad una media di circa 300 visti giornalieri; a fine giornata la moglie doveva massaggiare la mano di Chiune. Era una lotta contro il tempo e la folla di disperati attendeva all'esterno giorno e notte. Testimoni raccontarono che continuò a compilare visti anche sul treno - che lo stava portando fuori Kaunas dopo la chiusura del consolato - per gettarli poi dal finestrino sulla folla in attesa.
Nessuno conosce il numero esatto di visti, singoli o famigliari, compilati da Sugihara, ma furono migliaia le vite salvate; i numeri sono impressionanti e vanno, a seconda della fonte, da un minimo di 6.000 fino a 10.000 ebrei che usufruirono del lasciapassare che li condusse in salvo.
Una volta entrati in possesso del prezioso visto, presero il treno per Mosca e poi, da lì, fino aVladivostock da dove, per nave, raggiunsero il porto giapponese di Kobe. Qui vennero accolti dall'ambasciatore polacco; molti decisero di rimanere in Giappone mentre altri presero la strada di Curacao e della Guiana Olandese, degli Stati Uniti, del Canada, dell'Australia e di altri paesi anglofoni. Molti, ancora, vennero trasferiti a Shanghai dove vissero sotto la protezione del governo nipponico.
Successivamente Sugihara venne assegnato ad altri incarichi diplomatici in Europa. Si trovava in Romania quando, sul finire delle guerra venne catturato dai Sovietici. Passò diciotto mesi in un campo di prigionia nell'Unione Sovietica e, nel 1946, una volta liberato, fece ritorno in Patria. Nel 1947 venne definitivamente congedato dal Ministero degli Esteri. Negli anni successivi fece vari lavori, anche umili, per mantenere la famiglia, dal 1960 al 1975 visse e lavorò in Unione Sovietica. Qui, per non farsi riconoscere, usò il nome di Sempo Sugiwara che altro non era che una lettura diversa dei Kanji del suo nome. Dalla fine della guerra, non parlò mai del suo gesto eroico, ma sul finire degli anni '60 venne rintracciato - grazie alla caparbietà di un ebreo che, grazie a lui ebbe salva la vita - dal governo israeliano che lo invitò ufficialmente a Gerusalemme. Lo stesso governo israeliano, nel 1985, lo insignì del titolo di "Giusto fra le Nazioni". Il 31 luglio dell'anno successivo Chiume Sugihara morì e adesso i suoi resti riposano a Gerusalemme nei pressi del Museo dell'Olocausto.
La moglie Yukiko - i due si sposarono dopo il ritorno di Sugihara dalla Manciuria -, che diede il suo contributo nella produzione dei visti, continuò fino alla sua morte, avvenuta nel 2008, a conservare e a diffondere il ricordo di suo marito; un eroe che disobbedì ai superiori pur di salvare degli esseri umani.
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