All’indomani dell’avvento del regime nazista in Germania, al nuovo ministro che chiedeva notizie sullo stato della matematica all’università di Gottinga, finalmente liberata dall’influenza ebraica, David Hilbert rispondeva: «La matematica a Gottinga? Non esiste più». L’amarezza delle parole di uno dei giganti del XX secolo ci danno la misura precisa di quello che stava avvenendo. Le leggi razziali, oltre che ingiuste e crudeli, furono per la scienza tedesca un autentico sfacelo. Anche se rimanevano a lavorare nelle università tedesche molti scienziati di primo piano (oltre a Hilbert un esempio su tutti è quello di Werner Heisenberg, uno dei padri della meccanica quantistica), dalla Germania fuggirono molti scienziati di origine ebraica (e non). Einstein e molti altri si rifugiarono negli Stati Uniti. Tra questi, anche quella che il matematico russo Pavel Alexandrov definì “il più grande matematico donna di tutti i tempi”: Amalie Emmy Noether.
Non fu facile la vita di studiosa di Emmy Noether, come non lo è mai stata quella delle poche matematiche che la storia annovera. Le convenzioni sociali che volevano la donna impegnata in altre faccende e i pregiudizi sulle capacità intellettive femminili, soprattutto in campi ardui come la matematica, hanno sempre giocato un ruolo determinate e forse, anche se in misura minore, lo giocano ancora oggi nel creare un clima sfavorevole all’impegno delle donne nella ricerca di punta.
Non fu facile la sua formazione. Alla fine dell’ottocento a Erlangen, sua città natale, l’ordinamento scolastico impediva alle donne di iscriversi all’università e sostenere esami e ci volle un po’ di tempo perché le cose cambiassero ed Emmy potesse essere ammessa come studentessa a tutti gli effetti.
Ancora meno facile fu ottenere un riconoscimento accademico. Dopo la laurea lavorò per sette anni nel dipartimento di matematica, senza alcuna retribuzione economica. Nel 1915 Hilbert e Klein che animavano l’attività culturale dell’università di Gottinga, centro della matematica tedesca, la chiamarono a lavorare come assistente ma nonostante lo stesso Hilbert si prodigasse per assicurarle una posizione accademica degna del suo valore, i suoi sforzi furono vani. «Concedere la libera docenza a una donna? Giammai! Dopo questo nessuno le avrebbe più impedito di diventare professore e di partecipare al Senato accademico!». Di fronte a queste obiezioni, sostenute specialmente dai cattedratici appartenenti alle facoltà delle cosiddette scienze morali, sembra che Hilbert ebbe ad esclamare:«Signori, il senato non è mica un bagno pubblico!».
L’ambiente scientifico in cui lavorò Emmy fu di primissimo piano e lei ne fu protagonista. Negli anni venti Gottinga riuniva il meglio della matematica mondiale. Oltre a Hilbert e Klein, lavorò a fianco di matematici come Hermann Weyl, Richard Courant, Costantin Carathéodory, solo per ricordarne alcuni. Nel 1932, quando prese la parola al Congresso Internazionale dei Matematici di Zurigo, i suoi contributi allo studio dell’algebra erano riconosciuti come fondamentali: basti pensare che due anni prima uno dei suoi migliori allievi, Bartel Leender van der Waerden, dava alle stampe il volume Moderne Algebra, in gran parte basato sulle idee innovative di Emmy, oggi divenuto un classico e che può essere considerato come l’atto d’inizio dell’algebra moderna. E non solo i matematici guardavano con interesse all’opera di Emmy Noether, ma anche i fisici. Uno dei risultati più importanti che porta il suo nome è infatti il teorema di Noether, dove si dimostra l’equivalenza tra leggi di conservazione e simmetrie. Questo risultato ha aperto una nuova era nelle relazioni tra fisica e matematica, se è ben vero che lo studio delle simmetrie oggi è centrale nella fisica teorica.
Nonostante il grande prestigio conquistato durante il periodo di Gottinga, quando approderà negli Stati Uniti non troverà un riconoscimento accademico degno del suo valore. Mentre altri matematici e fisici riceveranno offerte da importanti università americane, la Noether si dovrà accontentare di un posto al collegio femminile Bryn Mawr. Anche se nei pressi di Princeton, non lo si può certo paragonare alla università di quella città o all’Institute for Advanced Study dove lavoravano Eintein, von Neumann, Gödel e lo stesso Hermann Weyl, anche lui fuggito da Gottinga. Ma Emmy, anche in quest’occasione, svolse il proprio lavoro con l’entusiasmo e l’impegno di sempre, pur nei pochi anni che le rimanevano da vivere.
Attorno alla “mamma dell’algebra”, come veniva chiamata, si formò un gruppo di matematici di grande valore, incoraggiati ed ispirati dalla sua grande personalità. «[…] aveva grande potere di stimolo e molti dei suoi suggerimenti presero la forma finale solo nel lavoro dei suoi allievi o collaboratori» scrisse di lei Hermann Weyl. Non solo geniale ma anche amabile, disinteressata, affettuosa e forte, tanto da non permettere ad una società ingiusta nei confronti delle aspirazioni femminili di intaccare queste sue grandi qualità. Una grande donna.
Nessun commento:
Posta un commento