Umberto Vorchheimer, 76nne ebreo milanese trapiantato a Filadelfia, è riuscito a coronare il suo sogno lo scorso anno, quando ha ottenuto da Roma il riconferimento della cittadinanza italiana rubatagli dai fascisti nel ’39 a causa delle leggi razziali. Giorgina DeLeon Vitale, 83enne ebrea torinese emigrata in Connecticut, è stata meno fortunata. Lo scorso 29 agosto è stata stroncata da un tumore al seno, dopo una annosa e inutile lotta per riavere il passaporto italiano: un obbiettivo reso possibile dal fatto che Usa ed Italia ammettono entrambe la doppia cittadinanza.
Il passaporto di Stella Levi, sopravvissuta ad Auschwitz: quando nel 1998 ha chiesto al consolato di New York il suo rinnovo ha scoperto di aver perso la cittadinanza italiana.
Se il governo italiano non interviene subito, anche l’ultraottantenne Stella Levi teme di fare la stessa fine. Nata a Rodi, allora italiana, e sopravvissuta ad Auschwitz dove perse i genitori, quando si presentò al Consolato italiano di New York per rinnovare il passaporto scaduto, nel ’ 98, scoprì d’aver perso la cittadinanza italiana acquisendo quella statunitense. «Mi informarono che lo "statute of limitations" per riavere la doppia cittadinanza era scaduto", racconta la Levi, il numero A-24409 che ancora scotta sul braccio. Fu allora che apprese della 91/1992 che stabiliva, in via transitoria, la possibilità di riottenere la cittadinanza senza dover trasferire la residenza in Italia, facendo domanda entro il 31 dicembre 1997.
Oltre ad essere scaduta, tale legge non affrontava la spinosa questione dei tantissimi ebrei italiani costretti dal fascismo a scappare all’estero. Una lacuna tutta italiana. In Germania l’articolo 116 stabilisce che «tutti i tedeschi che dal ’33 al ’45 persero la cittadinanza per motivi politici, razziali o religiosi, e i loro discendenti, possono riacquistarla automaticamente facendone domanda». Il 31 ottobre 2008 la Spagna ha varato un decreto analogo.
Nonostante le responsabilità del regime fascista nel perseguitare ed esiliare gli ebrei italiani, nessun governo di destra o di sinistra se l’è mai sentita di correggere questo torto. «Mi dissero che "se vuoi ritornare italiana, devi andare a vivere in Italia per almeno due anni». E così, nonostante i problemi di salute, dovuti secondo i medici al lungo e debilitante soggiorno nel lager, Stella è stata costretta a trasferirsi per alcuni mesi presso il comune di Castello di Serravalle (Bologna) dove si trovano le figlie di suo fratello. «Ho fatto tutto ciò che fanno gli immigrati — racconta —: residenza, carta di identità, permesso di soggiorno, impronte digitali della Polizia di Bologna».
Alla fine è riuscita ad avere la residenza. Ma quando è venuto il momento di fare la richiesta di cittadinanza sono sorte nuove complicazioni. Dopo aver visto il suo vecchio passaporto italiano, la capoufficio del comune di Serravalle la informa che, per gli ex cittadini, un anno di residenza in Italia era sufficiente. Bastava consegnare il passaporto e il numero di registrazione presso l’anagrafe dove le avevano rilasciato il passaporto: New York.
Ma il suo tentativo di ottenere la trascrizione dal Consolato italiano di New York non ha avuto successo. «Una funzionaria mi disse di andare a fare ricerche presso l’anagrafe di Roma e di Milano dove, secondo lei, sarei registrata dal 1946, perché nei loro libri di me non v’è traccia. Per il governo italiano è come se non fossi mai esistita». Con l’aiuto di Riccardo Pacifici, presidente della comunità ebraica romana, ha scoperto che anche all’anagrafe della capitale non esiste un dossier a suo nome. Che fine hanno fatto, dunque, il suo certificato di nascita italiano e le successive, numerose registrazioni? La sua unica speranza, a questo punto, è un «miracolo» alla Vorchheimer: dopo che la sua storia era apparsa sul Corriere, si era infatti mobilitata Fiamma Nirenstein, vicepresidente della Commissione Affari Esteri della Camera, riuscendo a convincere il Ministero degli Interi a fare « un’eccezione » per il 76enne pensionato. «Ancora una volta, mi sento non una persona ma un numero — commenta Stella — un’entità invisibile e insignificante, in balia della burocrazia e chissà di quale destino».
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