Marion Dönhoff (1909-2002) è stata una grande signora del giornalismo europeo del XX secolo, come giornalista prima, come capo redattore poi e, infine, come direttore di «Die Zeit». Di antica famiglia prussiana, ha raccontato in Per l’onore. Aristocratici tedeschi contro Hitler la storia di Albrecht Bernstorf, Axel von dem Bussche, Fritz-Dietlof von der Schulenburg, Helmuth James Moltke, Peter Yorck von Wartenburg, Heinrich Lehndorff, Adam von Trott, gli uomini che costituirono la fronda aristocratica antinazista.
Marion Dönhoff
Titolo: Infanzia prussiana
Nel gennaio del 1945 Marion Dönhoff, erede di una delle grandi famiglie prussiane che avevano immense tenute nelle campagne presso Königsberg, dov’era nato Kant, attese che l’armata rossa fosse arrivata fino a pochi chilometri dalla sua residenza principale. Allora sellò il suo cavallo favorito, si avvolse in un mantello soffice e caldo e partì in direzione opposta, verso ovest senza mai voltarsi in dietro. Si fermò solo quando comprese che era arrivata la primavera. Più tardi intraprese con grande successo la carriera giornalistica diventando direttrice di «Die Zeit», sofisticatissima e anche un po’ snob rivista tedesca, e cercando fino alla fine – è morta nel 2002 – di respingere le accuse che gli alleati e non solo loro portavano agli altezzosi e presuntuosi militari prussiani di essere stati conniventi con Hitler. Per lei l’attentato del luglio 1944, in cui Hitler si salvò per una coincidenza straordinaria della sorte, organizzato da alcuni dei suoi amici personali, che erano quasi tutti ufficiali prussiani che portavano nomi come von Bismark o von Trotta, stava a provare che l’accusa non solo era sbagliata ma che bisognava prendere questo episodio come momento fondante di una nuova Germania ricostruita su basi non solo economiche, ma morali e spirituali. Infanzia prussiana appartiene al filone memorialistico che ha come capostipite Speak, memory del grande Nabokov. Senza fare del sentimentalismo, la Dönhoff ha il dono di ricreare un mondo che nel 1947 gli alleati avevano fatto sparire per decreto, come se la Storia fosse rimasta ad aspettare le loro decisioni, un mondo di cui sapevamo pochissimo, fatto di diritti ma anche o soprattutto di doveri, abitato da una popolazione magnifica, guidata con presa ferrea da una classe scelta non solo per meriti guerreschi, come vuole il luogo comune, ma per dirittura morale. Essere prussiani ha sempre significato per la Dönhoff non l’armata sul piede di guerra, come si sono sempre immaginati in Occidente, ma una società gerarchica compensata da un rispetto per le regole tale da impedire ogni sopruso. Ma tutto questo è detto incidentalmente, tra una festa e un ballo, con in giro una quantità inverosimile di palafrenieri, cocchieri, dispensieri. E visite del Kaiser e passeggiate nel giardino con i feldmarescialli che hanno sconfitto la Russia. E il racconto è così affascinante da accorgersi a malapena che dietro un certo sprezzo si nasconde una nostalgia che viene di solito chiamata struggente, per non definirla disperata: «Mi mancano il paesaggio, la natura, gli animali di quel mondo scomparso. E anche i rumori, quei rumori dalle mille sfaccettature, impressi per sempre nella mia memoria…» È solo dopo un bel po’ di pagine che ci ridestiamo dal torpore per formulare quelle domande che fin dall’inizio erano venute naturali. E dov’erano questi signori non nel luglio del 1944, ma negli anni Trenta quando Hitler prese il potere? E che cosa hanno fatto per difendere il loro onore, continuamente chiamato in causa dalla Dönhoff, quando il caporale austriaco portò la Germania, con la sua plica di aggressione, verso la più tremenda delle catastrofi? Forse in questo magnifico ritratto di un paese condannato alla sparizione, tra le molte cavalcate e i party in onore dei feldmarescialli, qualcosa non ha funzionato. Ed è abbastanza preoccupante che nessuno tra questi nobili prussiani, con tutta la loro dirittura morale, se ne sia accorto.
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