Anita è una ragazza ebrea ungherese di 16 anni sopravvissuta ai lager nazisti. I suoi genitori, una famiglia di povera gente, sono stati deportati e avviati alle camere a gas. Al momento della liberazione, la ragazza non aveva nessuno cui rivolgersi, e quindi era stata internata in un orfanotrofio a Budapest. Tuttavia nei Suddeti a Zvikovec, territorio ceco a suo tempo occupato da tedeschi di fede nazista, quei tedeschi che sono stati la giustificazione dell’intervento militare e dell’occupazione della Cecoslovacchia da parte di Hitler, e ora affidato a reduci dalla guerra di liberazione e ad altri senza tetto, vive una sorella del padre, Monika, sposata ad Aron, con un figlio di un anno, e un giovane cognato, Eli, fratello di Aron. Monika pensa di liberare Anita dall’orfanotrofio e cerca di farla passare clandestinamente in Cecoslovacchia per farla vivere assieme alla sua famiglia.
Al confine dell’Ungheria con la Cecoslovacchia, viene a prenderla Eli, che si dimostra subito più interessato al corpo della ragazza che non ai suoi problemi di profuga clandestina. Già sul treno che li porterà a destinazione, si dedica a insidie sessuali di vario tipo. Anita sulle prime è sgomenta; ma Eli è un bel ragazzo, che sa essere anche simpatico, e la fanciulla finisce per cedere alla avance, alla quali comincia a trovare piacere. Questo rapporto, superficiale ma intensamente erotico, finirà per condizionare la sopravvivenza della ragazza presso la zia. Eli vieta alla ragazza di farne parola, e continuerà ad intensificare il rapporto anche nella casa di Zvikovec, dato che per ragioni di spazio, Eli e Anita vengono fatti dormire nella stessa stanza.
Anita ben presto scopre che i motivi che hanno indotto Monika a ospitarla, contengono anche un motivo pratico. Occorre una persona che faccia i lavori di casa, accudisca al bambino consentendo a lei e al marito di potersi prendere qualche svago.
La vita di Anita clandestina e ungherese, a questo punto si trova in difficoltà. Gli ungheresi, ex alleati dei nazisti, sono visti di mal’occhio dai Ceki che hanno subito l’invasione; la sua origine ebraica, non la mette al sicuro, almeno non in modo automatico.
Il suo stato d’animo è soffocato da situazioni contraddittorie che pesano sulla sua mente e sui suoi sentimenti. Da una parte il suo essere una sopravvissuta ai lager sembra che dia fastidio alla zia, che non ne vuol sentir parlare, mentre Anita vorrebbe confidarsi: quella parte della sua vita è fondamentale, le esperienze fatte, il dolore provato, la speranza cercata sono la sua uscita dall’infanzia e il suo ingresso nella maturità. Dall’altra parte il suo amore per Eli la porta a concedersi sempre di più al giovane che ne fa un giocattolo erotico, senza ricambiare minimamente un sentimento; Anita sente anche qui la contraddizione fra una mente che vorrebbe un rapporto d’amore, e un corpo disposto ad accettare una rapporto fatto solo di sesso. Un terzo protagonista che entra nei suoi turbamenti è il piccolo Roby, il figlio di Monika, verso il quale Anita riversa i suoi sentimenti d’amore, ma che la gelosia della madre cerca di impedire avvertendo una forma di gelosia.
A un certo momento, il suo essere clandestina non sfugge alla polizia che la imprigiona per una notte. Ma viene salvata da un esponente della comunità ebrea della città. Anita in questa occasione comincia a sentire parlare della Palestina e del progetto di molti ebrei sopravvissuti ai lager di trasferirsi nella Terra Promessa. Vi sono emissari di Israele che organizzano questa immigrazione, cercando di eludere il divieto degli inglesi e l’ostilità degli arabi.
Nell’ambiente di lavoro, che le sarà successivamente procurato dalla comunità ebraica, conosce un’altra ebrea che, verrà a sapere, partirà per Gerusalemme, con l’entusiasmo di chi va a costruire qualcosa di nuovo. Le perplessità di Anita aumentano, quando improvvisamente scopre di essere rimata incinta. I rapporti con Eli stanno dando i loro frutti. Ma Eli non vuole il figlio. Non ne vuol sapere di Anita. La costringe all’aborto. La gravidanza è in fase troppo avanzata per un aborto tradizionale, col raschiamento. Eli la porta a Praga dove gli è stato indicato uno specialista capace di intervenire in situazioni simili. Anita da una parte è entusiasta di andare a Praga, città che ha sempre sognato di visitare, ma drammaticamente preoccupata per un aborto che non vuole. Il figlio che sta crescendo nella sua pancia attrae tutto il suo amore. Il medico che dovrebbe fare l’aborto capisce la situazione, e fa in modo che Eli si allontani e che la fanciulla possa scappare. Anita si sente libera. Troverà una soluzione al suo peregrinare, ma una soluzione della quale farà parte il figlio che sta maturando il lei. La soluzione le sarà offerta da uno degli emissari di Israele, che la riconoscerà e le procurerà un posto per la Terra Promessa. Ma la avvertirà: la vita in Israele non sarà rose e fiori, ma duro lavoro e forse guerra per difendere lo stato neonato.
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Il libro sotto certi aspetti è bello. Soprattutto nella prima parte. Anita è una ragazza che ha vissuto un’esperienza terribile, e che sente il bisogno di parlarne perché la memoria non vada persa. Le sue perplessità, le sue ansie, sono descritte in modo avvincente e ci avvicinano a questa fanciulla che porta nel proprio cuore un profondo dolore che non riesce a comunicare. E così ci sentiamo a lei vicini quando subisce la violenza sui sentimenti da parte di Eli, che la usa come un giocattolo scatenando in lei ancora dolore. E il dolore del ricordo negato, assieme al dolore dell’amore cinicamente beffato sembrano fondersi in un unico immenso dolore che tuttavia fa in modo che Anita ami la vita, la difenda, la cerchi nel suo bambino, e alla fine la trovi nella Terra Promessa.
Tutta questa parte danno al romanzo una intensità che cattura il lettore, che lo fa partecipe della vita di Anita.
Meno riuscita secondo me è invece la parte finale del libro: la gravidanza, lo scontro fra Anita ed Eli sull’aborto, la fuga di Anita e la sua partenza per la Palestina. I fatti si svolgono molto rapidamente, quasi che le lunghe ma coinvolgenti peripezie fisiche ma anche spirituali di Anita, abbiano convinto la scrittrice a dar loro una conclusione. Ma proprio questa conclusione sembra essere una porta chiusa sui profondi problemi che, nel corso del racconto, la fanciulla ha manifestato e ci ha trasmesso.
Il titolo del libro non è un anacoluto, ma, ci avverte le stessa Edith Bruck, un verso di una poesia di Petöfi, altamente simbolica, e che la scrittrice riporta nel romanzo:
Quanta goccia c’è nell’oceano?
Quanta stella c’è nel cielo?
Quanto capello sulla testa dell’uomo?
E quanto male nel cuore?
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