lunedì 10 ottobre 2011

«Si sarebbe dovuto reagire più rapidamente»


Nata a Zurigo, Madeleine Kunin era ambasciatrice degli Stati Uniti in Svizzera durante la crisi dei fondi ebraci in giacenza. Intervista in concomitanza con la pubblicazione del suo libro "Pearl, Politics and Power".
Nota femminista, Madeleine Kunin è un'ex responsabile dell'amministrazione Clinton. Attualmente fa campagna in favore di Hillary Clinton per l'investitura democratica nella corsa alla Casa Bianca. Unica americana ad aver governato uno stato dell'Unione - il Vermont - per tre mandati, deplora il fatto che ci siano meno donne in politica negli Stati Uniti che in Svizzera.

swissinfo: Lei è nata nel 1933 in una famiglia ebrea. In quali circostanze è emigrata negli Stati Uniti?

Madeleine Kunin: Avevo solo sei anni e mezzo quando lasciammo la Svizzera. Mio padre, attivo nell'importazione e nell'esportazione di scarpe, era morto nel 1936 e mia madre si occupò da sola di me e di mio fratello. Ho pochi ricordi della mia infanzia a Zurigo, ma sono ricordi felici.
Ero molto giovane e non ero cosciente di quel che si tramava allora in Europa. Mia madre, zurighese di nascita, prese la decisione di emigrare. Il motivo principale era fuggire dal pericolo dell'Olocausto, poiché si aveva molta paura, soprattutto nella comunità ebraica, che Hitler invadesse la Svizzera.

swissinfo: Nel 1996, è ritornata in svizzera come ambasciatrice degli Stati Uniti. Con un sentimento di rivincita?

M.K.: Piuttosto di fierezza e di gioia, poiché la mia mamma non si sarebbe mai sognata che potessi diventare ambasciatrice americana. Ciò nonostante, ci diceva spesso che "in America tutto è possibile". Coltivava il sogno tipico dell'emigrante di un futuro migliore.

swissinfo: Sin dal suo arrivo all'ambasciata, è stata assorbita dalla vicenda dei fondi ebraici in giacenza. Nel suo libro scrive che né lei né il Dipartimento di Stato vi aspettavate che la questione diventasse così enorme. Perché dunque ha raggiunto tali dimensioni?

M.K.: In primo luogo, continuavano a emergere nuove informazioni sui conti in giacenza, man mano che venivano pubblicati i documenti segreti sul ruolo della Svizzera durante la Seconda Guerra mondiale. Poi la questione si è allargata negli Stati Uniti, dove il Congresso ebraico mondiale era molto attivo e l'amministrazione Clinton sosteneva l'idea della restituzione degli averi ai loro titolari. Infine c'era una sensazione di emergenza poiché i superstiti erano molto anziani.

swissinfo: La vicenda sarebbe stata gestita più velocemente se il governo svizzero non avesse rifiutato di partecipare ai negoziati fra le banche e gli Stati Uniti?

M.K.: Questa vicenda avrebbe potuto essere gestita molto meglio se in Svizzera il governo e le banche avessero agito in modo giusto dopo la guerra! Ma per anni non hanno riconosciuto il problema. Quando questo è stato sollevato, nel 1996, avrebbero potuto ridurre i tempi reagendo rapidamente.

swissinfo: Il coinvolgimento dell'amministrazione Clinton e di Bill Clinton ha aggravato la situazione?

M.K.: Non mi ricordo che Bill Clinton abbia preso posizione pubblicamente e non credo che abbia aggravato la situazione. Da parte mia, il mio ruolo era di mantenere delle buone relazioni fra gli Stati Uniti e la Svizzera, pur incitando Berna ad agire.
Ciò nonostante negli Stati Uniti ci sono state molte esagerazioni sul ruolo della Svizzera durante la guerra. Il senatore D'Amato talvolta ha sfruttato la situazione. Benché io non approvassi tutte le tattiche utilizzate, come le minacce di boicottaggio delle banche e dei prodotti elvetici, credo che fosse finalemete ora di risolvere il problema degli averi in giacenza e di voltare pagina.

swissinfo: La pagina è definitivamente girata?

M.K.: Oggi non vedo alcun impatto della controversia sulle relazioni bilaterali. In linea generale il problema è stato risolto. Certo alcuni titolari di conti non hanno ancora stati ritrovati e alcune banche non hanno pagato tutto. Ma quel che conta è che la maggioranza degli svizzeri, soprattutto i giovani, ha riconosciuto che il problema doveva essere risolto.

swissinfo: Nella campagna presidenziale americana lei sostiene Hillary Clinton. Adesso è ora che la senatrice di New York sgomberi la via lasciandola a Barack Obama?

M.K.: Sosterrò Hillary Clinton finché deciderà di abbandonare. Quel momento non è ancora arrivato. Ha ancora una piccola probabilità di vincere, perché alcuni super delegati alla Convenzione democratica non hanno ancora preso posizione. La speranza è sottile, ma non è finita. Hillary è una lottatrice con una capacità di resistenza straordinaria.

swissinfo: E Barack Obama?

M.K.: È molto impressionnante e carismatico. Ha indotto molti giovani a partecipare al processo elettorale. Per il Partito democratico l'ideale sarebbe presentare un "ticket" congiunto con Barack et Hillary.

Ma qualsiasi cosa capiti, il nostro partito in novembre sarà unito contro John McCain. Non ho alcun dubbio in merito alla vittoria democratica. Anche se la campagna è già stata ricca di sorprese, gli americani sono talmente malcontenti da desiderare profondamente un cambiamento.

swissinfo: Quali dovranno essere le priorità del nuovo capo della Casa Bianca?

M.K.: Dapprima di farci uscire dall'Iraq. Quindi di rilanciare l'economia. Poi di ripristinare la reputazione degli Stati Uniti nel mondo di una grande democrazia che coopera positivamente con gli altri paesi.

swissinfo: Le americane hanno ottenuto il diritto di voto nel 1920, le svizzere nel 1971. Eppure gli Stati Uniti non hanno mai avuto una donna presidente, mentre la Svizzera ne ha già avute due. Inoltre, gli Stati Uniti sono al 69° posto su 187 paesi, nella classifica della proporzione femminile in parlamento. Perché hanno questo ritardo?

M.K.: Molte americane si allontanano dal processo politico, che è diventato orrendo e oneroso. In Svizzera è più civile. La Svizzera deve essere complimentata per lo spazio occupato dalle donne in politica. Ma bisogna riconoscere che la presidenza nella Confederazione è un posto nettamente meno importante che negli Stati Uniti.

Non credo che se non ci fosse più il bipartitismo le cose per le donne negli Stati Uniti cambierebbero. La situazione migliorerebbe se fossero imposte le quote. Infatti, nei paesi che hanno introdotto delle quote, la rappresentanza femminile è cresciuta.

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