Nel Giardino dei giusti delle Nazioni, a Gerusalemme, dedicato a quelli che durante la seconda guerra mondiale (ma anche prima) salvarono cittadini ebrei dalle persecuzioni, tra nomi illustri e conosciuti al grande pubblico come Perlasca e Palatucci, un abitante di Oriago troverebbe inciso anche quello della sua concittadina Adele Zara.
Ma chi era Adele Zara ? Ce lo ricorda la triestina Fulvia Levi, sfollata dalla città giuliana nel luglio del 1943, dopo la caduta del fascismo: La storia della famiglia Levi si intreccerà, con Adele Zara, l’ancora di salvezza.
I Levi (padre, madre e la piccola Fulvia di 13 anni) andarono prima a Venezia dopo non poche peripezie, perchè nella città lagunare vivevano i parenti della sorella sposata, che raggiunsero poi tutti la Svizzera. La famiglia Levi invece, tramite un amico del padre, trovarono ospitalità in una casetta di Oriago, allora borgo contadino, vicino al fiume Brenta. Dopo circa un mese la proprietaria della casa, resasi conto che dava ospitalità a degli ebrei (ricordiamo che in Italia dal 1938 erano state promulgate le leggi razziali), consigliò ai Levi di chiedere aiuto a una famiglia lì accanto.
Era la famiglia di Adele Zara (nella foto), capostipite sempre attenta a quello che succedeva attorno, fumando l’inseparabile sigaro. Con le nipoti di Adele, la piccola Fulvia intrecciò una vera amicizia, così da trascorrere il tempo senza pensare a quello che accadeva fuori della mura di casa.
Continua la testimonianza di Fulvia Levi: “Per quasi due anni fummo assistiti, protetti e curati (la signora Adele era anche infermiera). Passavano i giorni, si può dire tranquilli, anche se per tre volte con la mia famiglia tentammo di passare in Svizzera, senza riuscirci. Troppi erano i controlli, frequenti le retate, nessun appoggio. A noi ebrei era negato qualsiasi diritto di esistere: soprusi, angherie, rastrellamenti ci minacciavano. Le leggi del 1938 erano niente davanti a questa nuova ondata di odio. La vita a Oriago trascorreva fra paure,allarmi, bombardamenti e frequenti visite dei tedeschi, che venivano a rifocillarsi; e di partigiani che si informavano su di noi, con la scusa di venire a acquistare le sigarette nella tabaccheria degli Zara.
Uscivamo pochissimo. Il parroco – quando poteva – mi dava qualche lezione di latino.
Ad un certo momento, mi ammalai gravemente; ricordo ancora il dottor Francesco Bonollo, che mi fece ricoverare all’ospedale di Dolo, facendomi fare le lastre sotto il falso nome di Fulvia Zara. In questa circostanza, la famiglia Zara ci stette ancora più vicina, procurandoci un altro alloggio nella stessa casa. La signora Adele si prese cura di me, mi tenne al caldo, mi procurò le medicine, mi fece da infermiera. Superai così anche la malattia.
Nel marzo del 1944 dovemmo fuggire veramente: la nostra presenza non era più un mistero e i partigiani ci avvisarono. Fummo aiutati a mettere le poche cose che avevamo nella borsa e, dopo un furioso bombardamento, lasciammo Oriago (nella foto a sinistra la signora Levi) e quella casa che era stata il nostro rifugio. Luciano Zara accompagnandoci a Venezia rischiò davvero molto. In città ci trovò un alloggio per la notte. Da allora dovemmo spostarci quasi in continuazione, ma non perdemmo mai i contatti con lcon i nostri protettori. Il 20 luglio del 1944 tornammo ancora una volta a Oriago. La famiglia Zara ci accolse con grande affetto, come fossimo loro familiari. Ricordo ancora il caldo abbraccio della signora Adele, le lacrime che versammo. Tutta quella grande famiglia (erano in 17) si premurò di procurarci medicinali, cibo, assistenza e denaro di cui eravamo sprovvisti.”
“Finalmente – conclude Fulvia Levi . il 28 aprile fummo liberati dai neozelandesi e dagli americani. Un giorno che non dimenticherò mai: due soldati ebrei vollero conoscerci, ci portarono cioccolata e sigarette.. Non mi rendevo conto che la guerra era veramente finita; che papà (foto) non avrebbe più detto “Meglio morire sotto una bomba americana che essere presi dai tedeschi”; che avrei finalmente riavuto una casa tutta mia;che avrei potuto frequentare la scuola, cantare, ballare, come le ragazze della mia età. Ma soprattutto parlare a voce alta, dopo i silenzi dei mesi passati. Avevamo evitato i campi di sterminio. Il mio infinito grazie, anche a nome dei miei genitori, va ai miei salvatori, in particolar modo alla famiglia Zara di Oriago”.
Uno scritto particolare su una targa in pietra d’Istria, riportata in uno storico edicio lungo la riviera del Brenta, in località Oriago di Mira, riporta queste parole : “Tra il 1943 e il 1945 parte della famiglia Levi di Trieste trovò rifugio in questa casa per volontà di Adele Zara (1882-1969) sfuggendo alla deportazione nazista. Per questo il nome di Adele è inciso nel Giardino dei Giusti delle Nazioni a Gerusalemme”. Nelle vicinanze dell’edificio, è stata deposta un’altra targa, sempre dedicata Adele Zara. Dice : “Ad Adele Zara, che coraggiosamente, con la complicità della famiglia e dell’intero paese di Oriago, salvò dalla deportazione Carlo, Elisa e Fulvia Levi di Trieste (1943-1945) mettendo a serio rischio sé stessa e i suoi. Perennemente
grata, Fulvia Levi ricorda e dedica questa targa”.
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