domenica 16 ottobre 2011

Dachau


Tra tutti i pittori e i disegnatori arruolati nei “Combat Artists” della seconda guerra mondiale, solo due tentarono di riprodurre con i pennelli quel che avevano visto al momento della liberazione dei campi. Il primo fece un solo dipinto (vedi test “Buchenwald” su questo blog), gli altri non vollero neppure provarci. Il secondo, Brovsky Sagatelian, seguì la 45° Div. di fanteria americana che, il 29 aprile 1945, arrivò al cancello di Dachau (ancora una volta la fatidica scritta sul lavoro che rende liberi) e vide una situazione disperata.


 Più di 200.000 prigionieri erano “passati” per il lager, i sopravvissuti giacevano in condizioni disumane, molti morivano ancora perchè i primi soldati, nel tentativo di aiutarli, offrivano le loro “razioni k” e quel cibo in scatola non era per niente adatto al fisico di chi non mangiava da mesi.

Anche 3000 religiosi erano stati rinchiusi a Dachau, tra cui sacerdoti e vescovi. Era uno dei primi lager attivi, dove Hitler fece inizialmente rinchiudere migliaia di oppositori politici. Una delegazione del fascismo italiano, nel 1936, aveva fatto un viaggio a Monaco di Baviera (il campo dista appena 20 km), per studiare l’organizzazione e l’efficienza dei nazisti in materia di deportazione e internamento.

Giovanni Palatucci, Giusto e Beato, fu rinchiuso oltre quel cancello il 22 ottobre 1944 e morì nel campo il 19 febbraio 1945. Tra gli internati anche lo scrittore sloveno Boris Pahor. Sagatelian decise di dipingere quel che aveva visto nel campo, ma scelse di non riprodurre nessuna forma di vita, niente deportati, niente volti, neppure soldati liberatori: solo gli strumenti di messa a morte, le camere a gas, i forni crematori….in un vuoto, un silenzio, come se il “lavoro” di eliminazione fosse stato appena interrotto.

 Le sue opere sono custodite nello straordinario deposito dell’Army Art a Washington. Brovsky…. Sagatelian, il suo cognome armeno dice già qualcosa su questo pittore. Proprio dal suo essere di origine armena discende una particolare sensibilità che lo ha spinto comunque a dipingere (cosa che gli altri combat artist non sono riusciti a fare).

C’è una lunga storia di aiuto reciproco tra armeni ed ebrei negli anni drammatici dei loro genocidi. Nel 1915, molti armeni furono aiutati da famiglie ebree. Lo stesso ambasciatore americano in Turchia era un ebreo e riuscì ad ottenere l’attenzione del presidente sulla strage.

Diversi ebrei in fuga durante la Shoah furono aiutati da amici armeni. Poco dopo la liberazione a Dachau scoppiò anche una epidemia di tifo petecchiale (proprio come avvenne anche a Napoli dopo la liberazione) e le baracche furono abbattute nel tentativo di limitare il contagio. I prigionieri, man mano che si riprendevano, raccontavano storie allucinanti, violenze, torture, esperimenti su cavie umane per studiare la congelazione del corpo. Sconvolti da tutto ciò, molti soldati americani uccisero sul posto decine di aguzzini. Non era vita umana quella del campo, e non venne fuori alcuna forma di vita dai pennelli di Sagatelian.


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