"Alla radio scrivo un giorno una lettera per partecipare a un gioco, forse un concorso. Sono ancora nel cerchio di mia madre e così corro a fargliela leggere, prima d'imbucare il foglietto nitido dove ho sforzato la scrittura al meglio.
«Cara radio» comincia la letterina «sono una bambina ebrea...». Mia madre legge e con un grande gesto come di teatro comincia a strappare il foglio scritto in pezzi sempre più piccoli. La guardo sbalordita: che grande errore ci può mai essere? E anche se c'è da correggere, perché questo insolito rompere tutto? Dispetti così la mamma non li aveva mai fatti. Mamma non sembra arrabbiata, anzi, è quasi allegra e butta i pezzetti del mio lavoro in aria come se fossero coriandoli di carnevale. La guardo irosa e offesa. Anche mamma mi guarda, ma con una specie di ilare indulgenza: «Non sei una bambina ebrea, hai capito? Hai capito? Sei una bambina. Una bambina e basta».
E' la storia di una bambina durante la seconda guerra mondiale, una bambina di cui - ripensandoci - non viene neanche mai svelato il nome, ma che non è difficile avvicinare parzialmente alla stessa autrice. E' la storia di una bambina piemontese, come ce ne sono tante, tra il 1939 e il 1945, solo che questa bambina è anche ebrea e questi sono anni in cui essere ebrei voleva dire qualcosa. E' quindi con una prospettiva tutta particolare, da "mezza altezza", che Lia Levi racconta l'esperienza umana di tanti: i cambiamenti repentini, inesorabili e inspiegabili, le prime paure, le lontananze, i dubbi, la necessità di nascondersi... e da mezza altezza lo sguardo è ingenuo, talvolta anche crudelmente ingenuo e quindi il racconto procede lieve e, se possibile, anche con un che di divertito e impertinente.
In parte mi ha ricordato i capitoli iniziali dell'autobiografia di Carla Capponi (di cui avevo parlato poco tempo fa), quelli in cui vengono ricordati gli anni dell'infanzia, ma lì era comunque con voce di adulta che la scrittrice parlava, qui invece la maestria della Levi sta proprio nel riuscire a parlare dalla prima pagina all'ultima con voce di bambina. E' un racconto lungo piuttosto bello che nel 1994 ha anche vinto il Premio Elsa Morante - Opera prima. Un racconto che scivola via veloce; ma che, se proprio gli si vuole trovare un difetto, non è riuscito a coinvolgermi fino in fondo forse per una scrittura, a mio avviso, un tantino monotona. E' un libro che si può, o forse si deve, presentare ai ragazzi perché affronta una tematica importante partendo da un punto di vista a loro più vicino. Rimane in me la perplessità per lo stile, che invece non trovo particolarmente appetibile soprattutto per i più giovani, ma naturalmente questa è solo la mia impressione.
"noi lanciamo occhiate supplichevoli a nostra madre chiedendole, certo senza saperlo, di riconsegnarci il nostro lindo mondo, ordinato come i quaderni di «bella copia» che hanno un foglio bianco nella prima pagina in modo che ci si possa scrivere con cura nome, cognome e classe, dentro una bella cornicetta disegnata a piacere con foglie e fiori"
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