Il Centro anziani del Quartiere Reno ha recuperato fotografie e documenti che i tedeschi abbandonarono durante la ritirata nella primavera '45. La Calzoni era uno dei laboratori in cui si sperimentavano tecnologie per Panzer, U-Boat e V1
Una parte delle "armi segrete" del Terzo reich nasceva tra il Pontelungo e la città sulle sponde di quel Reno omonimo al fiume caro ai tedeschi. Sfogliando l'album delle immagini per la prima volta raccolte dal centro anziani del quartiere alla periferia nord delle Due Torri, riappare questo scampolo di storia cittadina che ha per scenario i reparti della "Calzoni", l'antica fabbrica che rappresentava uno degli avamposti tecnologici bolognesi. Assieme alle foto sono spuntati, e quindi raccolti, anche documenti risalenti al periodo dal ' 42 alla Liberazione che attestano di come la fabbrica, requisita dai tedeschi e dichiarata off-limits per chiunque non fosse un operaio o un dirigente, costituisse uno dei tanti laboratori di Hitler in cui si sperimentavano e producevano nuove tecnologie belliche.
Il 28 maggio del ' 42, in occasione del trigesimo della morte del fondatore dell'azienda Alfredo Calzoni, il dirigente Renzo Anau, già circondato da ingegneri e funzionari tedeschi, scrive una relazione, ritrovata dopo il 25 aprile e ora riemersa dalle carte delle squadre partigiane, che rende l'idea dell'attività impostata dai nazisti. Si producevano "nuovi tipi di macchine utensili e tante costruzioni speciali" racconta Anau assieme a "cambi di velocità, trasmissioni, impianti idraulici, pompe, apparecchiature nautiche, materiali di fibro-cemento e pezzi per i carri armati", i famigerati "Panther t ank" della Wehrmacht. Questo in aggiunta a quella che appare come una specialità dell'azienda bolognese in tempo di guerra, vale a dire le bombe e i proiettili da cannone. Dopo l'unione con le fonderie "Parenti", la "Calzoni" è una delle più qualificate fabbriche capaci di lavorare i metalli. Ma è soprattutto su quelle "costruzioni speciali" che si concentra l'attenzione progettuale della ditta. Anche dalle testimonianze dei lavoratori del quartiere Reno si ha quasi la certezza che molte tecnologie di guerra fossero made in Bologna. Ivo Cerri, partigiano classe ' 26, compagno di Dante Drusiani ("Tempesta") uno degli attentatori che, in divisa nazista, fecero saltare un'intera ala del Baglioni sede del comando tedesco, lavorava come subfornitore della "Calzoni" in quegli anni. Ricorda che dentro l'azienda era stata ricavata una vasca lunga 20 metri , larga 10 e profonda 4 nella quale venivano provati i sistemi di sganciamento dei siluri che armavano i temibili "U-boat" della marina tedesca . Ma tra le "costruzioni speciali" erano probabilmente comprese molte parti del sistema di puntamento delle "V1", i primi missili della storia militare. Forse è proprio per questo che i bombardieri alleati si accanirono con estrema violenza sull'obbiettivo della fabbrica sulle sponde del Reno. Sono ancora gli ex partigiani del Pontelungo a ricordarci l'insistenza delle "Fortezze volanti" americane sui capannoni con 87 bombe ad alto potenziale sganciate tra i ' 44 e la Liberazione. Una quantità di tritolo impressionante che pochi altri obbiettivi hanno registrato. Dal massiccio martellamento sono rimaste macerie dalle quali ingegneri e dirigenti tedeschi scapparono nella primavera del ' 45 lasciando molte testimonianze di quello che si era prodotto per un triennio all'interno dell'azienda. Un materiale che le squadre partigiane del quartiere Reno hanno requisito e ora riunito costruendo una pagina di storia bolognese quasi del tutto inedita.
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