domenica 2 ottobre 2011

Miguel Najdorf

Il polacco che conquistò l'Argentina


Miguel Najdorf scampò per caso all'Olocausto nel quale perse l'intera famiglia, vinse Campionati nazionali in due continenti diversi, svariate medaglie olimpiche, fu uno dei pochi a potersi vantare di aver giocato sia contro Capablanca che contro Kasparov, incrociò i legni contro almeno cinque Capi di Stato, amatissimo dal pubblico e dai colleghi (nei suoi tardi anni si videro torme di giovani GM fare letteralmente la fila per sfidarlo a gioco rapido e venire spesso sconfitti), il suo nome è indissolubilmente legato ad una variante tra le più giocate ed analizzate in assoluto, in breve, un uomo la cui vita merita di essere ricordata ancora una volta.

Moishe Mieczyslav Najdorf, nacque a Grodzisk Mazowiecki, una piccola cittadina della Polonia centrale situata a una trentina di chilometri a sudovest dalla capitale Varsavia (dove secondo altre fonti è nato), il 15 aprile 1910. La sua infanzia e la prima adolescenza trascorsero semplici senza nulla di rilevante, visse la vita normale di un figlio di una famiglia ebrea benestante, tra giochi, studi e preghiere. Entrò in contatto con gli scacchi relativamente tardi: quando aveva all'incirca 14 anni un amico di famiglia si recò a casa Najdorf per riprendere il proprio figlio che aveva passato la giornata con il giovane Moishe. Annoiandosi nell'attesa che il figlio finisse di prepararsi, chiese a Najdorf di giocare una partita. Forse questo non fu esattamente il primo incontro con il gioco, possiamo immaginare che almeno sapesse come muovere i pezzi. Sappiamo per certo però che, prevedibilmente, perse.

Difficile spiegare cosa faccia scattare certi meccanismi nella mente degli uomini, forse impossibile in quella di un quattordicenne: il giorno dopo Moishe comprò il suo primo manuale di scacchi (non sappiamo di che testo si sia trattato, ne conosciamo solo la lingua: il francese, che nell'Europa dell'est resisteva ancora bene all'avanzata dell'inglese come lingua internazionale). Ebbene, già al primo, piccolo, gradino, la carriera di Najdorf è avvolta dalla leggenda: dopo solo una settimana il ragazzo si sarebbe concesso la soddisfazione non solo di battere il padre dell'amico ma addirittura quella di concedergli il vantaggio di una torre! Fatto vero? Quasi sicuramente no, ma il punto non è assolutamente questo. Il punto è che ci piace pensare lo sia.

La passione per gli scacchi esplose: qualcuno ricorderà l'aneddoto della madre di Capablanca che gli nascondeva i pezzi, quella di Najdorf (di stampo genuinamente mitteleuropeo, più concreto) pare che invece bruciasse le scacchiere che il figlio si ostinava a comprare, sostenendo (probabilmente non a torto) che quel gioco demoniaco allontanasse il figlio dallo studio della matematica, materia nella quale il nostro pare avesse difficoltà.
 
I genitori di Miguel: Raisa e Gdalik Najdorf
 
Difficile ricostruire con esattezza i suoi esordi, ma appare probabile che il primo torneo al quale partecipò sia stato a Lodz nel 1928. Si segnalò rapidamente come giovane promettente, con una vocazione naturale per il gioco d'attacco, che preferisce la mossa “bella” a quella “giusta”. Venne notato da Akiba Rubinstein, allora leggenda vivente per gli scacchisti polacchi, che lo affidò alle cure di Dawid Przepiòrka (Campione Nazionale polacco e 2° nel Campionato del mondo per dilettanti alle spalle di Max Euwe nel 1928). Egli lo poté seguire per poco tempo, divenuto Presidente della Federazione polacca nel 1930 fu assorbito dagli impegni del nuovo lavoro (fu poi arrestato dalle autorità naziste durante la guerra e fucilato nell'aprile del 1940). Najdorf ebbe però l'enorme fortuna di trovare un nuovo insegnante in Savielly Tartakower, la cui influenza sul gioco del giovane Moishe fu determinante: per tutta la vita Najdorf si riferirà a lui come “Maestro”.

Nel 1930 giunse 6° al Campionato di Varsavia, l'anno successivo, a segnalare una rapida maturità, sarà invece 2°. Vinse un quadrangolare a nella capitale nel 1933 e nel 1934 vinse il Campionato di Varsavia giungendo inoltre 2° in un forte Torneo. Questa sua prima vittoria in un Campionato di livello nazionale lo riempe d'orgoglio: a 24 anni è considerato un giocatore tra i migliori del paese, rispettato da tutti e temuto da molti per il suo gioco aggressivo e fantasioso.

In uno di questi anni gioca anche la partita che Tartakower denominerà “l'Immortale polacca”: Najdorf, con il nero, sacrifica tutti i pezzi leggeri per dare matto alla 22ma. Le fonti sono discordi nel dirci esattamente quando Glucksberg, il suo avversario, ebbe il “privilegio” di divenire parte sconfitta di un'immortale: si parla del 1935 (Gonzàlez), del 1929 (it.wiki) o del 1928 (Kasparov).

Il 1934 è per lui un anno importante a livello personale: si sposò con la giovane pianista Genia, malgrado i genitori di lei non fossero entusiasti nell'affidare la figlia ad un ragazzo dal futuro economico non esattamente solidissimo (Najdorf aveva recentemente abbandonato gli studi universitari per dedicarsi a tempo pieno agli scacchi). La coppia ebbe presto una figlia, Lusha (Lucia).
 
Il giovane Najdorf assieme alla moglie
 
La carriera prosegue a spron battuto: nel 1935 si piazzò 2°-4° nel Campionato nazionale Polacco, alle spalle del Maestro Tartakower e quello stesso anno a Torun ebbe modo di dimostrare l'adagio “scarso è l'allievo che non supera il maestro”: un match contro Tartakower lo vide prevalere con +2 =2 -1. Nello stesso anno, ormai scacchista abbondantemente affermato, ha il privilegio di entrare nella nazionale olimpica polacca, allora grande potenza scacchistica: bronzo a The Hague 1928, oro a Amburgo 1930 (con Rubinstein a 15 su 17), argento a Praga 1931, quarto posto a Folkestone 1933 (fuori dal podio unicamente per una vittoria in meno rispetto alla Svezia). Alle olimpiadi di Varsavia otterrà 12 punti su 17, seconda migliore prestazione della squadra, contribuendo al ritorno sul podio della Polonia (Tartakower, Frydman, Friedmann e Makarczyk gli altri membri)

A Budapest nel 1936 una vittoria a pari merito con Lajos Steiner segnò il suo primo trionfo internazionale. Il 1936 fu anche l'anno di una delle maggiori soddisfazioni di Najdorf: nelle olimpiadi non ufficiali di Monaco ottenne 16 punti su 20 (+14 =4 -2) e la medaglia d'oro personale come seconda scacchiera (la Polonia sarà seconda alle spalle di una incredibile Ungheria: +20 =0 -0).
 
La Nazionale Polacca argento Olimpico 1936

Questa medaglia conquistata da un ebreo nella Germania nazista sarà sempre un caro ricordo motivo d'orgoglio per Najdorf. Il fatto ha dell'incredibile, ma a consegnargli quella medaglia fu l'avvocato appassionato di scacchi Hans Frank che durante la guerra sarà Governatore Generale della Germania in Polonia, il responsabile diretto della deportazione degli ebrei.

Ottenne poi un nuovo successo internazionale a Rosaska Slatina (Slovenia) nel 1937, oltre ad un terzo posto al Campionato polacco a Jurata.

Prima o poi doveva capitare ed è nel 1938 che “finalmente” Najdorf subì un disastroso 10° posto su 16 partecipanti (7 su 15) al Torneo di Lodz, ma si riprese subito con un 2° posto al Torneo B di Margate (+6 =1 -2), lo stesso evento che vide trionfare il Campione del Mondo Alekhine nel Torneo A. Tenterà l'anno successivo l'assalto proprio al Torneo A, dove però patì la forza degli invitati (tra gli altri Keres, Capablanca e Flohr) e i nove turni del torneo, che poco si adattavano al suo stile spregiudicato con il quale era facile cadere in qualche sconfitta, difficilmente recuperabile in un torneo breve: concluse 6° con 4 su 9, riuscendo a strappare una patta a Capablanca.

Ai primi di agosto del 1939 si imbarcò per l'Argentina assieme al resto della squadra olimpica polacca per recarsi a Buenos Aires, sede delle Olimpiadi di quell'anno. Il ritorno era previsto per la fine di settembre, la Storia decise diversamente: il 1° settembre 1939 nel pieno svolgimento dell'Olimpiade la Germania invase la Polonia, dando inizio, con le successive dichiarazioni di guerra di Francia e Inghilterra alla Germania, alla Seconda Guerra Mondiale.

Truppe tedesche rimuovono un blocco di confine tra Germania e Polonia
 
Chiaramente gli scacchi per i giocatori delle nazioni coinvolte, ma non solo per loro, passarono in secondo piano. L'Inghilterra abbandonò la competizione immediatamente e i suoi giocatori tornarono in patria. Al resto, cercò di provvedere, per quanto possibile, l'organizzazione argentina: la sfida tra Polonia e Germania  fu aggiudicata a tavolino come patta per 2 a 2 e quando la Germania, in corsa per l'oro, rifiutò lo stesso risultato per il proprio incontro con il Protettorato britannico di Palestina (il nucleo del futuro stato di Israele), non per antisemitismo ma perché i tedeschi contavano su un 4 a 0 netto in quella sfida, la federazione ospitante chiese alla propria nazionale di dividere (scelta difficile per una squadra in zona medaglie) similmente per 2 a 2 il risultato contro il Protettorato, fatto che convinse infine la Germania a fare lo stesso. il 19 settembre l'Olimpiade terminò (per cronaca: Oro per la Germania, Argento per la Polonia con Oro personale di Najdorf in seconda scacchiera, Bronzo per l'Estonia di Keres) e tanti giocatori dovettero prendere la difficile decisione di tornare o meno alle loro case.
 
Capablanca (per lui Oro personale come prima scacchiera) affronta Moshe Czerniak durante l'Olimpiade Argentina


Quella di Najdorf e degli altri polacchi (molti di origine ebrea) è in apparenza la decisione più facile: pur senza immaginare, senza poter immaginare, quello che sarebbe stato l'Olocausto, la politica del Reich verso gli ebrei era già abbondantemente nota. Inoltre durante l'ultima guerra la Germania aveva occupato la Polonia per tre anni e nulla sembrava ancora indicare che questa guerra dovesse eventualmente durare di meno, la blitzkrieg in Francia era ancora da venire (e comunque non dovette essere certo accolta con entusiasmo dagli esuli polacchi, che davvero videro la prospettiva della loro nazione divisa tra il Reich e l'URSS a tempo indeterminato farsi terribilmente reale). Ma in Polonia stavano le loro case, le loro famiglie, tutta la loro vita. Si poteva davvero abbandonare tutto? Lì sarebbero stati al sicuro ma non si sarebbe invece dovuto tornare indietro? Combattere per la propria patria o, eliminando tutta la retorica possibile, per i propri cari? Devono essere state notti lunghe di discussioni, le prime del Team polacco dopo le Olimpiadi... Fu presto accademia: in tre settimane la resistenza polacca fu infranta dalle divisioni corazzate tedesche: raggiungere la propria casa divenne impossibile. Najdorf e gli altri restarono in Argentina.

La questione di Danzica sulla copertina di un allora diffusa rivista scacchistica Argentina

Molti altri li imitarono: a eterno onore degli scacchi tedeschi la squadra vincitrice della medaglia d'oro approfittò dell'occasione per troncare i rapporti con il Regime, non uno dei giocatori tornò in Germania.

Scegliere di restare, scegliere di tornare...Mi permetto una breve divagazione per raccontare due storie, due scelte, per mostrare che, forse, se la vita ti vuole fregare, non hai mosse buone.

Vladimir Petrovs valutò che quella guerra non avrebbe toccato lui e la propria patria e decise quindi di tornare in lettonia. Ebbe il tempo di vedere nel 1940 la sua terra annessa forzatamente all'URSS, di vederla invasa dalla Germania nel 1941 mentre si trovava a Mosca per un torneo, di essere arrestato l'anno successivo con l'accusa di attività controrivoluzionarie (disse che in Lettonia le condizioni di vita erano migliori prima dell'annessione), di vedersi condannato di conseguenza (rileggetevi per favore l'”enormità” di quello che disse) a 10 anni di lavori forzati. Solo da dopo la caduta del Muro sappiamo che morì il 26 agosto 1943 nel Campo di lavoro di Kotlas

Ilmar Raud, suo “vicino” estone, preferì invece restare in Argentina. Anche lui vide da lontano la sua patria annessa all'URSS, ma ebbe poco tempo per piangerne il destino: morì di febbri tropicali il 17 luglio 1941 a Buenos Aires all'età di 28 anni.

Lontano da casa, senza sapere nulla della propria famiglia e dei propri amici, Najdorf si gettò anima e corpo negli scacchi: i risultati non furono deludenti. Gli anni della guerra, se dal punto di vista personale saranno stati inevitabilmente di un'incertezza devastante, da quello professionale furono fruttuosi:

1°-2° a Buenos Aires 1939, 1°-2° a Buenos Aires e 2° a Mar del Plata 1941, 1° a Mar del Plata 1942, 2° a Mar del Plata 1943, 1° al La Plata J.C e 1°-2° a Mar del Plata 1944 e infine 1° a Buenos Aires e 2° a Vina del Mar 1945.

La strada per Vina del Mar in una cartolina d'epoca

In quegli anni stabilì anche due record particolari: nel 1941 giocò una simultanea alla cieca contro 41 avversari, battendo largamente il precedente recond di Koltanoski (34, ma il record  argentino non fu mai omologato per mancanza dei controlli regolamentari), mentre nel 1943 si esibì in una simultanea “normale” contro 202 avversari (+182 =12 -8). Questi record Najdorf non li cercò per gloria o denaro, ma nella speranza che la notizia potesse giungere alla famiglia, furono una sorta di messaggio in bottiglia nel quale vi era scritto “Sono vivo, sto bene”.

Varsavia nel 1945
 
Finita la guerra Najdorf tornò in Polonia nella speranza di ritrovare i suoi cari. Doveva essere preparato a delle perdite, ma difficilmente poté realmente immaginare la devastazione subita dalla Polonia durante l'occupazione: ad attenderlo non c'è nessuno. La moglie, la figlia, i genitori, gli amici, i conoscenti sono tutti morti. Non c'è più nulla, più nessuno, che lo leghi alla sua terra natia: già nel 1944 aveva preso la nazionalità argentina, decise di vivere la per il resto della vita.

Najdorf stesso ha scritto di essere nato due volte: come Moishe Mieczyslav nel 1910 e, dopo la desolazione trovata in questo ritorno in Europa, nel 1946 come Miguel.

E Miguel Najdorf fu subito intenzionato a fare carriera. Con la fine della guerra fu di nuovo possibile lo svolgimento di tornei internazionali ai quali partecipassero giocatori provenienti da tutto il mondo. Un palcoscenico di livello sensibilmente più elevato di quello calcato sino a quel punto. Ne fu intimidito? No. Non ne era il tipo. Aveva sconfinata fiducia in se stesso, al punto che nel 1947 annunciò al mondo che presto sarebbe diventato Campione (ricordo appena che Alekhine morì nel 1946 e che queste parole Najdorf le pronunciò a “sede vacante”: con “presto” intendeva dire veramente “presto”). Si mise immediatamente a competere nel circuito europeo, ottenendo nel 1946 due primi posti a Praga e Barcellona e un 4° posto al fortissimo torneo di Groninga (vinto da Botvinnik, che Najdorf batté nello scontro diretto).

Aveva davvero le carte in regola per aspirare al Titolo?
Con quella cosa terribilmente stupida che è il senno di poi, probabilmente no. Ed è lui stesso che, in qualche modo, ce lo dice: “Non credo che i sovietici siano più bravi degli altri, è solo che sono più inclini a considerare gli scacchi come un lavoro anziché un gioco”. Per quanto creda che questa frase riesca a far sorridere con simpatia qualsiasi “amatore” del gioco, è però probabile che racchiuda in se la questione: il talento di Najdorf era sconfinato, al punto di poter competere contro chiunque. Ma mancava della costanza, della disciplina e della ricerca teorica necessarie nella nascente “era di Botvinnik” per poter primeggiare a livello assoluto. Mentre la nuova leva del dopoguerra affinava la teoria e aumentava a dismisura la preparazione casalinga, Najdorf diceva “Giocate con le mani, non con la testa”, indicando nell'istinto, nella capacità di “vedere” la scacchiera e in quella che lui chiamava la “filosofia dell'ottimismo” le abilità principali dello scacchista.

Cresciuto prima e maturato poi negli scacchi degli anni '30 – primi '40 era sicuramente tra i migliori esponenti di quel tipo di scacchi, intesi come gioco e come filosofia, ma naturalmente non poté prevedere, nessuno del resto poté (basti ricordare che gli americani, dominatori fino ad allora, considerarono il radio match USA - URSS del 1945 come uno stravagante divertimento: persero 4 ½ a 15 ½), l'incredibile arrivo sulla scena della Scuola Sovietica.

Un'occasione per realizzare l'alto obiettivo sembrò presentarsi immediatamente: com'è noto la FIDE lavorò per ridare al mondo un Campione dopo la morte di Alekhine, lavoro che si concluse con il Campionato del Mondo del 1948. Sei giocatori si sarebbero dovuti affrontare per determinare il nuovo campione: Botvinnik, Smyslov, Keres (URSS), Euwe (Olanda), Reshevsky e Fine (Stati Uniti). Fine però declinò l'invito, per motivi mai del tutto chiariti. Ufficialmente, dopo che durante la Guerra effettivamente si era progressivamente allontanato dagli scacchi, disse che non poteva permettersi interruzioni alla sua tesi di Dottorato, ma pare anche che disse di non aver intenzione di sprecare tre mesi della sua vita guardando i sovietici passarsi le partite...

Liberatosi un posto, la scelta ovvia parve quella di Najdorf, che rappresentava l'equivalente sudamericano di Reshevsky e Fine: il meglio del continente. Ma i sovietici lo considerarono un ospite sgradito: la sua vittoria contro Botvinnik del 1946 gli si ritorse contro e ci si accordò per un torneo a cinque.

Reuben Fine in una curiosa immagine del 1945

Sfumata la chance di passare per la "porta principale" della chiara fama Najdorf si preparò per quella “di servizio” rappresentata dal ciclo mondiale dei tornei zonali e interzonali. L'interzonale del 1949 lo vide giungere 6°. Solo per i primi cinque era prevista l'avanzata al Torneo dei Candidati che lui ottenne però grazie al ritiro di Fine, Reshevsky ed Euwe. Il successivo torneo dei Candidati di Budapest lo vide piazzarsi 5°, primo tra i non-sovietici. Forse fu durante questo ciclo che realizzò davvero cosa voleva dire essere “inclini a considerare gli scacchi come un lavoro”.

A proposito di lavoro, Najdorf ebbe la fortuna di risolvere quello che per la stragrande maggioranza degli scacchisti anche professionisti è il vero problema: le bollette. Nel 1949 si recò a New York per un match contro Fine, che pareggiò 4 a 4, e durante la permanenza in città una nota ditta assicuratrice gli offrì di divenire agente rappresentante per Buenos Aires. Najdorf accettò l'offerta e fece un ottimo lavoro: in capo a qualche anno divenne responsabile per tutta l'Argentina, con uno stipendio tale da renderlo uno degli scacchisti più benestanti visti sino ad allora, fatto che lo lasciò in grado di pensare agli scacchi serenamente. Il viaggio negli stati uniti creò anche gli accordi per una sfida con Reshevsky (allora campione statunitense) che venne ribattezzata ufficiosamente (e forse anche un po' pomposamente) Campionato del Mondo Libero: Najdorf perse nettamente l'andata (1952, 7 a 11) e di misura il ritorno (1953, 8.5 a 9.5). Nel frattempo fu nominato Grande Maestro dalla FIDE nella lista inugurale del 1950.

Ritentò l'assalto al Titolo giungendo 6° al Torneo dei Candidati di Zurigo del 1953, dove vinse il premio di bellezza per la sua vittoria contro Mark Tajmanov.

L'Interzonale di Goteborg del 1955 lo vide piazzarsi 12° (9.5 su 20) e fu per lui finalmente la realizzazione del fatto che il Titolo mondiale non era alla sua portata. Rimanendo un temibilissimo giocatore da tornei e considerato uno dei migliori dieci giocatori del mondo, smise però di partecipare ai cicli mondiali (giocherà anni dopo lo Zonale di Mar del Plata nel 1969, dove giunse 1°-2°, ma apparentemente al solo scopo di “controllarsi la forma”, rinuncerà infatti a giocare il successivo Interzonale).

Il 1956 è per Miguel un anno triste. Due primi posti (Santa Fe e Montevideo) e un 6° (su 16, nel difficile Alekhine memorial), ma dal punto di vista personale dovette subire due lutti importanti: alla morte della seconda moglie si sommò la notizia della morte a Parigi del suo Maestro Tartakover.
 
Coppa Piatigorsky: li riconoscete tutti?
Najdorf, Fischer, Portisch, Larsen, Ivkov, Unzicker

La sua carriera continuò a lungo, giusto per segnalare i successi principali: 1° a Mar del Plata 1959 (davanti a Bobby Fischer), 1° ad Amsterdam 1962, 1° a L'Avana Capablanca memorial 1962 (probabilmente il suo miglior risultato: si piazzò davanti a Boris Spassky, Lev Polugaevsky, Vasilij Smylov e Svetozar Gligoric), 3°-4° alla Coppa Piatigorsky 1963, nel 1970 a 60 anni fu in grado di fermare Michail Tal (che di anni ne aveva 34) sul 2 pari nel loro match interno alla sfida URSS-Resto del Mondo, il palmares prosegue sino agli anni 80. Bisogna ricordare infatti che la carriera di Najdorf si estese per 60 anni, tra i più longevi di sempre alle spalle di Korchnoi, Smylov e Reshevsky, anni nei quali fu attivissimo.

Partecipò a 14 Olimpiadi degli scacchi (3 con la Polonia e 11 con l'Argentina), stabilendo il record imbattuto ad oggi di 222 partite (+94 =104 -25, 4 argenti e 3 bronzi di squadra, 3 ori e 1 bronzo personali), vinse sette campionati argentini, ebbe modo di giocare contro tutti i campioni del mondo da Capablanca a Kasparov incluso (contro Alekhine unicamente in simultanea), ed ebbe modo di giocare contro personalità politiche di ogni genere, finendo con il diventare quasi letteralmente, lui apolitico per natura, un ambasciatore dell'Argentina, di tutto il Sud America e ovviamente degli scacchi: in simultanee o partire casuali affrontò tra gli altri Churchill, il Maresciallo Tito, forse Kennedy, Peron, Khrushchev, lo Scià di Persia, Castro e Guevara...
 
Una caratteristica di Najdorf che va ricordata è che piaceva a tutti: il suo carattere gioioso, la sua esuberanza, la sua correttezza dentro e fuori la scacchiera lo resero popolarissimo non solo tra i fan ma tra i giocatori stessi. Durante le partite dei tornei aveva l'abitudine di fermare quelli che passavano al suo tavolo e di chiedergli “Come sono messo? Che mossa consigli?”, ovviamente la cosa era ed è altamente irregolare ma nessuno mai se ne lamentò: Miguel era fatto così (forse fece eccezione Boleslasky: Najdorf gli chiese consigli sulla partita senza ricordare che proprio il sovietico era il suo avversario!). Altra sua abitudine era quella di seguire le altre partite e questo lo fanno tutti, va bene. Ma lui quando trovava una posizione che lo interessava si sedeva al tavolo e iniziava a pensare. Il giocatore dall'altra parte sorrideva, chiedendosi se l'Argentino avrebbe finito con il muovere. Dopodiché arrivava il “proprietario” della partita e gli chiedeva se cortesemente poteva lasciargli il posto...
 
Negli ultimi anni
 
Miguel Najdorf morì il 4 luglio 1997, colpito da un attacco cardiaco, mentre si trovava in un casinò di Malaga. E' sepolto assieme alla seconda moglie. L'epitaffio sulla tomba recita “Qui giace un uomo che seppe vivere”.

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