Nell’inferno e ritorno, il racconto del sopravvissuto:
"Quei due anni nel lager che turbano le mie notti"
La testimonianza di Rosario Serpe, ex internato "Il rientro in bicicletta, dalla Prussia a Trento"
TRENTO. Furono 800 i trentini morti nei campi di concentramento in Germania. Io ringrazio Dio di essere tornato a casa, dopo due anni di prigionia a Stablack, nella Prussia orientale sul Mar Baltico. Da lì rientrai in Italia in bicicletta: dopo tre giorni di viaggio arrivai a Bronzolo, ai primi di agosto del 1945. I miei abitavano in provincia di Siracusa, e non sapevano più niente di me: se fossi vivo o morto. L'8 settembre del 1943 ero militare a Bressanone e ricoverato in infermeria per una dolorosa forma di intercolite.
Il giorno dopo, di mattina presto, eravamo a letto quando fecero irruzione dei soldati tedeschi con il mitra spianato, urlando frasi che non capivo ma che non facevano presagire nulla di buono. Ci portarono nella caserma del 231º Reggimento Fanteria - divisione Brennero.
Nel tardo pomeriggio del 12 settembre ci inquadrarono e ci caricarono su carri bestiame - cavalli 8, uomini 40, prigionieri 60 - proprio come bestie. Dovevano portarci alla stazione ferroviaria: nel tragitto, non ricordo di aver udito nessun commento degli abitanti del luogo. Solo le parole di un’anziana signora: "Pori fioi en do li porta...".
Poi ci fu il viaggio: durò tre giorni e tre notti, con sole tre soste di mezz’ora in aperta campagna per i bisogni fisiologici, adunata a suon di mitra e la paura di buscarsi qualche pallottola. In altre due fermate, in piccole stazioni ferroviarie, ci diedero un po’ di miglio dolce come cibo. Non posso dimenticare il ragazzo che, per tutta la durata del viaggio, continuò a cantare le parole del Nabucco di Verdi: "O mia patria sì bella e perduta".
Non lo rividi più. La sera del 15 settembre il treno si fermò: c’e ra stato un forte acquazzone ed era buio quando ci fecero scendere per portarci in un campo di concentramento che invece era illuminato a giorno. Ci chiusero in un recinto di filo spinato, dove si trovava una baracca che avrebbe potuto contenere al massimo 150 persone in letti a castello, ma dove eravamo il più di 300. Io e gli altri del mio convoglio dormimmo per terra, con lo zaino per cuscino e il pastrano come lenzuolo e coperta. Con me c’erano alcuni militari trentini di Trento e di Rovereto.
All'ingresso del campo c’era la scritta: "Arbeit macht frei", proprio come ad Auschwitz. "Il lavoro rende liberi": altro che, dovevamo fare i lavori più umili. Hitler aveva risolto il problema della manodopera... Il cibo era scarso: andavamo nei bidoni a cercare le bucce di patate. Ero arrivato al punto di pesare 46 chili.
L’unico aspetto positivo fu che imparai un po’ di francese e di tedesco che mi tornarono utili poi nella vita. I francesi erano stati i primi a finire nel campo. Uno di loro al nostro arrivo disse: “Guarda qui, arrivano anche quelli che hanno dichiarato guerra alla Francia”.
Alle nuove generazioni non ho nulla da dire. Solo chi ci è passato non può dimenticare. A distanza di 70 anni andare indietro con la memoria mi riempie di dolore. Ero un ragazzo di 23 anni e non sapevo una parola di tedesco: cercate di mettervi nei miei panni.
Rosario Serpe * ex Imi matricola 1º A. 1113
Presidente Federazione provinciale Anei (Associazione nazionale ex internati) - Trento
Nessun commento:
Posta un commento