“Ritorno a scuola”. L’educazione dei bambini e dei ragazzi ebrei a Venezia tra leggi razziali e dopo guerra.
Tragedie e orrori del passato e un monito al presente: il giorno della Memoria ricorda la Shoah ( sterminio del popolo ebraico) cercando testimoni diretti di un male che non è poi lontanissimo. Poco più di 50 anni fa l’Europa veniva attraversata dall’odio e da atti di crudeltà inaudita verso gli ebrei. Auschwitz come atto finale di un disegno perverso. Eppure c’è bisogno di ricordare, il male è ben lontano dall’esser stato sradicato. Dall’abbattimento dei cancelli del campo di sterminio, il ritorno alla vita è stato lento e doloroso. Una mostra storico – documentaria racconta le vicende di bambini e ragazzi ebrei a Venezia. Dall’espulsione dagli istituti scolastici in seguito alle Leggi razziali, fino al ritorno a scuola dopo la fine della guerra. La Casa della Memoria e della Storia del Novecento , a villa Hèriot alla Giudecca, propone un percorso che attraverso fotografie e documenti mette assieme pezzi di vita di chi ha tristemente vissuto in prima persona le atrocità. Voci narranti, Lia e Alba Finzi, due sorelle ebree scampate ai campi di sterminio e poi diventate maestre ed educatrici. La mostra è quasi un diario scolastico fatto di disegni e fotografie di classe, ricordi e testimonianze dirette. Da una sala all’altra, si mettono assieme pezzi di vita per recuperare un’ infanzia segnata dalla peggiore delle esperienze. Qualcuno non è mai tornato a scuola, la vita si è fermata dietro al cancello di un campo di sterminio ebreo. Nei lucidi racconti di Alba e Lia non c’è mai rancore per quello che hanno vissuto, mai una parola di odio verso chi ha voluto che il male si compisse. E a cosa servirebbe? Educare alla vita ha generato frutti migliori. Lo vedi nelle foto di quei bambini che sembrano voler solo diventare grandi e tornare ad essere felici.
«Frequentavo le elementari a Sant’ Angelo - racconta Lia Finzi –, avevo 10 anni e mi cacciarono dalla scuola come tutti gli altri bambini e insegnanti ebrei. Per noi l’unica possibilità era continuare a frequentare la scuola in Ghetto. 40 bambini dalle elementari all’ultimo anno del liceo seguiti da maestri e professori licenziati e cancellati persino dagli elenchi telefonici». Alcune famiglie ebree di Venezia capirono che il pericolo era imminente. Chi fuggì verso Roma, confidando nell’arrivo degli alleati americani, chi cercò di nascondersi nelle vicine campagne, chi fuggì in esilio. Per gli altri, sappiamo bene come andò a finire. Fino al 1943, i bambini ebrei riuscirono a continuare a frequentare le scuole, poi con l’inasprimento delle leggi razziali il tentativo di “farli sparire” si fece sempre più concreto.
La scuola in Ghetto fu organizzata con mezzi di fortuna. «Io studiavo medicina a Padova – racconta Alba Finzi – mi chiesero di occuparmi dei bambini che erano rimasti senza punti di riferimento. Accettai subito. Seguivo la 3°, 4°,5° elementare, otto bambini in tutto. Poi le classi si ingrandirono. Con la fine della guerra, la scuola proseguì il suo mandato fino agli anni ‘50». Roberto Bassi dedica il suo ricordo, affidato ad un video-racconto, agli amici che non sono più tornati. Rimangono le foto di classe scattate prima della tragedia con i nomi e i cognomi e quei bambini che tutto pensavano meno che ad un destino terribile. Al presente rimane il dolore e il compito di ricordare. Non sono poi così lontani quegli orrori.
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