domenica 10 aprile 2011

DIETRICH BONHOEFFER: UN TEOLOGO CONTRO HITLER

Il 9 aprile del 1945, all’alba di un lunedì dopo Pasqua, nel carcere di Flossenbürg, moriva impiccato Dietrich Bonhoeffer, pastore protestante, teologo fra i più importanti e ispirati del Novecento. I testimoni raccontano di averlo visto raccogliersi in preghiera prima di essere condotto al patibolo e, ancora, subito prima di essere giustiziato.
Era nato a Breslau in una famiglia della più ricca borghesia tedesca nel 1906. Aveva studiato a Tubinga, a Roma, a Berlino. Dopo una breve parentesi pastorale a Barcellona, aveva ottenuto la libera docenza presso la facoltà teologica di Berlino. Era stato a Bonn discepolo del celebre teologo Karl Barth. Da subito diventato famoso per l’acutezza spirituale e la profondità dottrinale delle sue opere, viaggiò a Londra a Sofia a New York; si recò per motivi di studio in Danimarca, in Svezia e poi in Italia, in Messico, in Norvegia e a Stoccolma, in Svizzera per incontrare un’altra volta Karl Barth, l’antico maestro. Di nuovo in Svizzera per aiutare clandestinamente un gruppo di ebrei a mettersi in salvo. La Gestapo, insospettita dai suoi continui viaggi, lo tenne d’occhio fino a quando lo arrestò. Già dal 1940 Dietrich aveva ricevuto il divieto di esercitare il ministero ecclesiastico. Impiegato presso l’Abwehr, i servizi segreti militari tedeschi, in realtà fu un membro attivo della resistenza e appoggiò, utilizzando i suoi numerosi e importanti contatti pastorali all’estero, il cognato Hans Dohnanyi che, con la complicità del colonnello Oster, dell’ammiraglio Canaris e di altri, invano tentò un attentato ai danni del Führer. Nel giugno del 1942 incontrò Maria von Wedemayer. Un amore epistolare delicato e breve, della durata di qualche primavera, che sopravvivrà al tempo e alla memoria. Si nutrirà di parole, di attimi. Saprà vincere il duro regime del carcere, forte di una fedeltà incrollabile, di un’intima assoluta certezza, di una condivisione spirituale piena.
“Ho tracciato col gesso una linea intorno al mio letto, larga all’incirca come la tua cella. Ci sono un tavolo e una sedia, come io m’immagino. E quando sono seduta lì, credo quasi di essere insieme a te“. Gli scriveva Maria in una lettera datata 26 aprile del 1944.
Maria seppe della sua esecuzione solo dopo la fine della guerra, nell’estate del 1945. Di lui rimase solo un libro di Goethe, che le guardie del carcere provvidero prontamente a bruciare. La Bibbia era andata perduta prima. Una copia di Plutarco, con il suo nome e il suo indirizzo scritti a grandi lettere con una matita spuntata, la aveva abbandonata lui stesso di proposito in una cella del carcere di Schönberg perché qualcuno, trovandola, avrebbe potuto così documentare il suo passaggio. Era un testo che aveva chiesto, già recluso, ai suoi genitori come regalo per il suo ultimo compleanno. Questo libro, testimone prezioso e unico, fu restituito alla famiglia dopo la caduta del nazismo da un prigioniero compagno di cella, fortunatamente scampato alla morte, che l’aveva custodito come un’autentica reliquia.
Bonhoeffer fu il teologo di spicco della “Chiesa confessante”, quella parte di clero cioè che lottava contro la morbida tolleranza della Chiesa evangelica tedesca nei confronti del nazismo. Coraggiosamente levò alta la sua voce in difesa della questione ebraica (Die Kirke vor der Judenfrage, 1933). Criticò fin dai suoi esordi l’idea ascetica di fuggire il mondo, molto incoraggiata dai teologi suoi contemporanei, sostenendo l’irrinunciabile ruolo del cristiano a misurarsi con la realtà della Storia. Nell’Etica afferma che “Gesù Cristo è il luogo in cui Dio e la realtà del mondo sono riconciliati”. Non esseri privilegiati, dunque, definisce i cristiani ma abitanti del mondo, testimoni chiamati a vivere la fede con atti ordinari che “non impegnano la vita”. Dio non è concepito, infatti, dal teologo come un “Dio utile”, soluzione cercata e necessaria alle domande e ai problemi sollevati dalla filosofia ma come un “Dio inutile”. Un Dio liberato, cioè, dagli orpelli e dalle incrostazioni della religione, definita transitoria e ambigua; svincolato da tutto ciò che lo rende necessario e insostituibile nel pensiero dell’Uomo. Un Dio che scandalizza perché umiliato e deriso nella figura del Cristo. Che, nonostante tutto, vuol essere riconosciuto dall’Uomo e scelto da lui perché lontano dalle logiche del potere. Per Bonhoeffer l’annuncio cristiano è annuncio antireligioso. La sua però non è l’antireligiosità di Feuerbach. L’Uomo, per il teologo tedesco, non deve distinguersi dal mondo ma diventarne parte. Per gioirvi, per soffrirvi, semplicemente per vivervi. La trascendenza di Gesù consiste, dunque, nell’”essere per gli altri”. Non è onnipotenza, onniscienza, onnipresenza. “La Chiesa è Chiesa soltanto se esiste per gli altri”. Deve vivere dunque delle offerte spontanee e donare il sovrappiù a chi si trovi nel bisogno. Una Chiesa serva ma non schiava, che viva più di esempio che di concetti.
In carcere, nella logorante incertezza del domani, Bonhoeffer meditò a lungo sul ruolo del credente nella società del suo tempo. Sul disonore di una prigionia che lo additava alle masse come un volgare delinquente, sovversivo e ingrato. Traditore di uno Stato e di un regime che si vantavano pubblicamente della benedizione di Dio e degli uomini. Un Dio che, per quanto creduto “absconditus” da Isaia, Lutero e Pascal o annunciato “morto” dalla gaia scienza di un occidente decadente e marcio, silenziosamente operava nella Storia per guidare col braccio teso della sua misericordia l’incerto cammino degli uomini.
La Chiesa cattolica dal dopo guerra s’interroga se Dietrich Bonhoffer non sia stato, con il suo pensiero, il vero anticipatore di quel rinnovamento che visse nel Concilio Vaticano II una delle più grandi avventure dello spirito.
Tra le rovine fumanti di una straziata Germania, la sua voce, trasformata dalla fede nella stessa voce del Cristo, confortava, per una sublime preghiera, i poveri compagni di cella, quotidianamente sacrificati dalla stupida follia nazista.
Titanico testimone del suo tempo, di lui ci restano le parole e le opere, il pensiero, il sacrificio “pasquale” della vita. Eredità straordinaria, indelebilmente fissata nella nostra memoria insieme al ricordo di quello che veramente fu: un Uomo Giusto.

Nessun commento:

Posta un commento