lunedì 25 aprile 2011

Giovanni Palatucci, l'eroe che salvò 5 mila ebrei

Giovanni Palatucci, responsabile dell’ufficio stranieri in una delle più calde zone di confine, era un ingranaggio della burocrazia che, ogni qual volta doveva funzionare a danno dei profughi ebrei, si inceppava.

Giovanni Palatucci nacque a Montella (Avellino) il 31 maggio 1909.


Il 16 settembre 1936 cominciò a prestare servizio come Vice Commissario di Pubblica Sicurezza a Genova.

Il 15 novembre 1937 venne trasferito a Fiume dove assunse la responsabilità dell’ufficio stranieri della Questura: qui si poté rendere conto della disumana condizione in cui venivano trattati gli Ebrei.

"Ho la possibilità di fare un po’ di bene, e i beneficiati da me sono assai riconoscenti.
Nel complesso riscontro molte simpatie.
Di me non ho altro di speciale da comunicare".

È quanto scriveva l’8 dicembre 1941 il Palatucci in una lettera inviata ai genitori.

Quel “niente di speciale”, secondo quanto riferito dal delegato italiano alla prima Conferenza ebraica mondiale (tenutasi a Londra nel 1945), significò la salvezza di oltre cinquemila ebrei.

Giovanni Palatucci era un cattolico praticante; non sappiamo quali furono le sue prime reazioni alle leggi razziali, ma da parecchie testimonianze risulta chiaro come egli rifiutasse di farsi complice delle persecuzioni.

Egli non volle allontanarsi da Fiume neanche quando il Ministero dispose nell’aprile del 1939 il suo trasferimento a Caserta.

Rodolfo Grani, ebreo fiumano, che conobbe personalmente Palatucci, ricorda un primo grande salvataggio effettuato da quest’ultimo nel marzo del 1939.

Si trattava di 800 fuggiaschi che dovevano essere consegnati alla Gestapo.

Palatucci avvisò tempestivamente Grani, il quale, grazie all’intervento del Vescovo Isidoro Sain, fece nascondere i profughi nella vicina località di Abbazia sotto la protezione del Vescovado.

Quando nel giugno del 1940 scoppiò la guerra e gli israeliti di Fiume e dintorni furono arrestati ed accompagnati al campo di concentramento di Campagna, Palatucci raccomandò questi disgraziati alla benevolenza del suo zio, Vescovo di Campagna, il quale li accolse e diede loro un rifugio.

La figura del Vescovo, a partire dal giugno del 1940, si legò indissolubilmente con quella del nipote Giovanni; il giovane responsabile dell’Ufficio stranieri infatti, quando non era possibile far emigrare gli ebrei li inviava presso il campo di concentramento di Campagna affidandoli alla protezione dello zio Vescovo.

Per non avere ostacoli dal Prefetto e dal Questore, presentava loro la soluzione dell’internamento nell’Italia meridionale, come rimedio per liberarsi della presenza dei profughi che potevano costituire una minaccia per la sicurezza pubblica.

Anche l’avv. Barone Niel Sachs di Gric, che conobbe il Commissario Palatucci nell’espletare funzioni di legale di fiducia presso la Curia Vescovile di Fiume, in una sua lettera del 1952 indirizzata al Vescovo Palatucci, sottolineava quanto il funzionario sfidasse "l’ira dei suoi diretti superiori, il Prefetto ed il Questore di quel tempo.

Queste nobili parole del nostro indimenticabile martire risuonano dopo tanti anni ancora nelle mie orecchie e l’assicuro, Eccellenza Reverendissima, che nella lunga mia carriera non ho mai incontrato un più grande gentiluomo e galantuomo di Suo nipote".

Giovanni Palatucci, responsabile dell’ufficio stranieri in una delle più calde zone di confine, era un ingranaggio della burocrazia che, ogni qual volta doveva funzionare a danno dei profughi ebrei, si inceppava.

Un’altra testimonianza del suo modo di agire è senza dubbio il racconto dell’ebrea austriaca Rozsi Neumann, salvata con suo marito da Palatucci: "Con il suo aiuto fummo poi liberati e potemmo salvarci la vita".

La signora Neumann, in una lettera all’ormai famoso zio Vescovo, con una lettera del 26 giugno 1953, scrisse: "Credo che questa mia breve narrazione possa far conoscere la tempra di quest’uomo, che, in tempi tanto difficili... è andato oltre il comandamento Ama il prossimo tuo come te stesso.

Il suo nome dovrà essere ripetuto con rispetto e venerazione dalle future generazioni di Israele".

Palatucci subiva pressioni e controlli in continuazione.

Un ispettore effettuò un controllo il 23 luglio 1943, ma trovò solo elenchi di stranieri non residenti più in Italia da moltissimo tempo e ne trasse solo la convinzione che il giovane funzionario non si fosse mai curato di seguire gli stranieri con la dovuta vigilanza.

A Palatucci giunse solo il biasimo per aver reso praticamente inefficiente il servizio stranieri.

Ma l’ispezione, probabilmente, fu la conseguenza dei rapporti tesi con i diretti superiori.

Dopo l'8 settembre 1943, in seguito alla creazione della Repubblica Sociale ed il disfacimento dell’esercito italiano, Palatucci rimase il solo in quella città a rappresentare la faccia di una parte dell’Italia che non voleva essere complice dell'olocausto.

Nel novembre del 1943 il territorio di Fiume diventò una vera e propria regione militare comandata dai nazisti.


Lo Stato italiano di fatto in quel vasto territorio non esisteva più.

In un contesto drammatico, Giovanni Palatucci decise di rimanere a Fiume, diventando capo di una Questura fantasma e continuandosi a rifiutare di consegnare ai nazisti anche un solo ebreo, anche a costo di mettere a repentaglio la propria vita.

Il Console svizzero a Trieste, amico di Palatucci, lo mise sull’avviso che anche lui era in pericolo e lo invitò a trasferirsi in Svizzera.

Palatucci aiutò ad espatriare la donna ebrea di cui era innamorato, ma rimase ancora a Fiume: disse all’amico svizzero che non se la sentiva di "abbandonare nelle mani dei nazisti gli italiani e gli ebrei di Fiume".

Prese contatto con i partigiani italiani e, sotto il nome di Danieli, mise in piedi un progetto, da far giungere agli alleati, per creare, terminato il conflitto mondiale, uno Stato libero di Fiume.

Nel febbraio Palatucci venne nominato Questore reggente di Fiume, ma lo Stato praticamente non esisteva più.

In questo modo poté aiutare gli ebrei solo clandestinamente: fece sparire gli schedari, diede soldi a quelli che avevano bisogno di nascondersi, riuscì a procurare a qualcuno il passaggio per Bari su navi di paesi neutrali.

I nazisti, messi sull’avviso da spie e non fidandosi più di lui gli perquisirono la casa.

Palatucci ingiunse allora all’ufficio anagrafico del Comune di non rilasciare più certificati ai nazisti, se non dietro sua autorizzazione, allo scopo di conoscere in anticipo le razzie organizzate dalle SS.

Difatti, poco prima di una grande retata di ebre organizzata dal Capitano delle SS Hoepener, Palatucci riuscì a preavvertire gli interessati aiutandoli a nascondersi.

A questo punto il Capitano nazista capì di essere stato beffato; a quel punto anche i partigiani consigliarono a Palatucci di lasciare Fiume; ma egli rimase ancora.

Il 13 settembre 1944 Palatucci venne arrestato dalla Gestapo e tradotto nel carcere di Trieste; il 22 ottobre fu poi trasferito nel campo di sterminio di Dachau dove, a pochi giorni dalla Liberazione e a soli 36 anni, trovò la morte, ucciso dalle sevizie e dalle privazioni o, forse, da raffiche di un mitra.

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