domenica 24 aprile 2011

Ida Schmidt ci descrive come ha vissuto la deportazione

L’estate del ’41 la nostra compagnia di danza si esibiva come tutti gli anni in diverse cittadine e paesi del Volga.
Alla fine del mese di giugno la guerra aveva raggiunto anche il nostro paese. Le truppe tedesche avevano attaccato l'Unione Sovietica.
La gente aveva paura e tanti dubbi ma nonostante ciò la vita nelle zone lontane dalle prime linee doveva continuare. La compagnia cambiò un po’ il suo programma adeguandolo alla situazione di guerra.

A fine agosto il nostro tour era finito e mi ricordo ancora bene quando siamo rientrati su un camion scoperto ad Engels: la nostra città.
Com’è al solito tra gli artisti che hanno successo, eravamo di buon umore, abbiamo cantato ed uno alla volta raccontavamo qualcosa di divertente. Questo cambiava improvvisamente entrando in città.
Non capimmo perché i colleghi del posto erano disperati. Parlavano disordinatamente tra di loro, alcuni piangevano ed era un caos. Mi ci è voluto un po' di tempo per capire la cosa più importante.
L’ordine era arrivato dall’alto, da Mosca: a tutti noi, tedeschi di Russia, ci è stato ordinato di lasciare la città entro le prossime 24 ore.
La guerra lo ha reso necessario. In mezzo alla popolazione tedesca nella regione del Volga ci sarebbero state molte spie e traditori, che sosterebbero i fascisti o collaborerebbero con loro nell’avanzata.

Questa era la versione ufficiale per l’ordine della deportazione.
I miei colleghi ed io eravamo sorpresi. Via da qui, ma dove, per quanto tempo? Noi traditori? Spie tra di noi? Queste domande ci giravano nella testa. Ma non c’era alcuna risposta.

Dopo un periodo di sbalordimento poi sono andata da mia sorella Valeria, dove vivevo. Lei e la sua famiglia e la nostra zia stavano facendo i pochi bagagli che c’era permesso portare. Un po’ di vestiti, coperte di lana ed alcuni attrezzi, tra cui un ascia e una sega.
Mia zia macellava i polli. La carne la metteva in un secchio e la spalmava con dello strutto, in modo che si conservasse per un po’ di tempo.
La mattina seguente i carri ed i cavalli erano già pronti sulla strada. Lì dovevamo mettere i nostri averi per il trasporto alla stazione. Tutto il resto dovevamo lasciare alle spalle, tutto l’arredamento della casa, compreso il pianoforte quasi nuovo su cui mia sorella e mio cognato suonavano volentieri. Anche gli animali domestici, la capra ed i gatti rimasero a casa.

C’è voluto quasi tutto il giorno affinché il treno merci fosse pronto alla partenza. E noi, membri del teatro tedesco, l’orchestra sinfonica e la compagnia di ballo, abbiamo avuto il vantaggio di trovare tutti insieme un posto sullo stesso vagone. Tutto questo lo aveva organizzato il sindaco di Engels, anche lui di origine tedesca, perché doveva venire anche lui con lo stesso treno. Così sono rimasta con mia sorella, la sua famiglia e i miei colleghi, almeno inizialmente.
Quando il treno lentamente uscì dalla stazione ed una parte della città ci passò davanti, scese un gran silenzio. Ciascuno di noi è stato solo con se stesso. Il futuro davanti a noi era come un muro nero, nulla era visibile.
I nostri pensieri vagavano nel passato. Ognuno guardava la sua vita passata. Avevo 20 anni e la mia vita da adulta, al di fuori della famiglia, era appena iniziata.
... E tutto questo deve finire bruscamente con la deportazione? Sarà possibile lavorare ancora come artista? Il diploma dal conservatorio non lo avevo ancora ricevuto. A questo rimuginavo mentre il treno ci portava ogni giorno un po' più ad est, in Siberia.
Nel nostro vagone si alternavano una profonda tristezza ed improvvise esplosioni di risate. Quando gli artisti sono insieme non possono essere sempre tristi.

Quando il treno si fermava per molto tempo in una stazione o su terreno aperto scendevamo ed allora uno di noi prendeva la fisarmonica o la balalaika e suonava qualcosa di divertente. Così, anche solo per un breve momento, non pensavamo alla situazione deprimente.

Mi ricordo molto bene la scena, quando mia sorella, che era in stato di gravidanza avanzata, all'improvviso iniziò a ballare. Ballava la polka ed alla fine girava come una trottola. E con le lacrime agli occhi ripeteva più volte "c’è la faremo, c’è la faremo!"
Ad Omsk, dove il nostro viaggio ancora non era finito, mia sorella ha partorito il suo terzo figlio in un angolo del vagone, nascosta a malapena solo da una coperta.
Dopo settimane, dopo un viaggio apparentemente interminabile, eravamo arrivati a Minusinsk, nella regione di Krasnojarsk. Inizialmente siamo stati alloggiati (la famiglia di mia sorella ed io) in una stanza da una russa.
Più tardi siamo riusciti a trovare un piccolo appartamento. Valeria non ha aspettato molto tempo; voleva prendere immediatamente contatto con il piccolo teatro della città per organizzare uno spettacolo. Erano permessi solo pezzi il lingua russa. Il marito era a capo di un trio e accompagnava lo spettacolo del teatro suonando.

Ma questo lavoro durò solo poche settimane. Già nel mese di novembre ’41 mio fratello ottenne il comando per l’esercito di lavoro, la Trudarmee. L’abbiamo salutato. Mi ricordo bene: lui sembrava diverso degli altri convocati della città perché aveva con se il suo violoncello.
E 'stato un triste addio. Non l’avremmo mai più visto. Poco tempo dopo, morì nella Trudarmee. Non abbiamo mai saputo le circostanze precise della sua morte. Ho preso il suo posto nel trio.

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