sabato 9 luglio 2011

IN SEGNO DI GRATITUDINE


Una drammatica testimonianza di vita vissuta. In due toccanti memoriali, In segno di gratitudine e Senza Volto , i coniugi Gertrude e Samuel Goetz ricostruiscono la propria straordinaria esperienza di sopravvissuti alla Shoah. I Goetz, reduci da una delle pagine più dolorose e terrificanti della storia del Novecento, sono stati protagonisti, l’anno scorso, di una serata, organizzata dall’Associazione “Emergenze sud-Presidio del libro di Parabita”, in collaborazione con la Pro Loco di Ruffano e l’Associazione “Soap” di Ruffano, presso il Teatro di Via Paisiello a Ruffano.
Samuel e Gertrude Goetz, intellettuali ebrei di origine polacca e austriaca, che oggi vivono negli Stati Uniti, hanno intrecciato il proprio destino con quello della guerra e della segregazione razziale e la fuga dall’abominio e dalla repressione di un regime spietato e violento li ha portati in Italia dove, durante gli anni della seconda guerra mondiale, si rifugiarono per scampare alla persecuzione nazista.
Fu proprio il campo rifugiati di Santa Maria al Bagno, Nardò, ad accoglierli. Qui, i due perseguitati si conobbero e qui nacque il loro amore, prima di essere separati dalle vicende belliche e ritrovarsi poi nuovamente in America dove abitano tuttora, a Los Angeles, California, alla soglia degli ottant’anni, dopo una vita lunga e intensa ma piena di soddisfazioni.
Samuel e Gertrude Goetz sono tornati in Italia l’anno scorso per un ciclo di conferenze organizzate dall’Associazione Presidi del Libro e da Besa Editore. E Ruffano ha avuto l’onore di ospitarli la sera del 23 aprile 2010, quando i due autori sono stati intervistati da Sonia Cataldo, responsabile del Presidio del Libro Parabita, Paolo Vincenti, Presidente Pro Loco Ruffano e Elena Pistone dell’Associazione Soap Ruffano, per un’iniziativa promossa dalla Regione Puglia e dall’Associazione Presidi del Libro e patrocinata dal Comune di Ruffano.
Il primo memoriale è quello di Gertrude Goetz, “In segno di gratitudine”, nel quale l’autrice ripercorre la propria dolorosa esperienza di profuga ebrea negli anni della Seconda Guerra Mondiale. Dall’Austria, il paese di origine, che la aveva vista bambina felice e adolescente spensierata, all’Italia dove, insieme alla propria famiglia, compie un viaggio che dal Brennero la porta in Salento, nel campo profughi di Santa Maria al Bagno- Nardò dove, scrive l’autrice nella Prefazione “ all’età di dodici anni, compresi per la prima volta il significato di libertà, sicurezza e di conforto amichevole. Fu lì che io e i miei genitori ci rendemmo conto di non essere più in pericolo, di essere sopravvissuti e di aver riconquistato il diritto di vivere… In piedi su un’altura, vidi un paesaggio paradisiaco, una distesa di acqua di mare calma, di colore blu intenso e, sulla riva, un paesino pittoresco, Santa Maria. Fui letteralmente sopraffatta da un senso di rinnovata gioia di vivere e di speranza in un futuro migliore.” Qui, Gertrude conosce anche Samuel, l’amore della sua vita, prima di partire per gli Stati Uniti, ossia per il viaggio definitivo, in un paese dove, però, ritrova il suo amato compagno dal quale non si separerà più per tutta la vita. “Santa Maria rappresenta anche il periodo della ripresa degli studi. Iscritta al Liceo di Nardò, vi fui accolta con calore”, scrive ancora Gertrude. “Eravamo sopravvissuti, avevamo un tetto, eravamo provvisti di tutto il necessario e avevamo trovato la calda ospitalità della piccola comunità di Santa Maria. Sulla sua spiaggia conobbi molti italiani e feci amicizia con un giovane più grande di me di tre anni che ancora oggi, a distanza di cinquantacinque anni, è il mio compagno di vita. Ho serbato per me il ricordo dei giorni trascorsi a Santa Maria e l’ho condiviso con i figli e con i miei numerosi nipoti che non vedono l’ora di visitare Santa Maria e ammirare con i loro occhi quel che hanno ascoltato dalle mie parole”.
Il libro reca una Prefazione di Fabrizio Lelli e una Postfazione di Paolo Pisacane, presidente Associazione Pro Murales Ebraici Santa Maria al Bagno. E proprio la madre e la zia di Pisacane compaiono, insieme a Gertrude, nella bella foto in bianco e nero che campeggia sulla copertina del libro; una foto che ritrae tre belle ragazze sedute sugli scogli di Santa Maria al Bagno con, alle spalle, il nostro inconfondibile Mare Ionio salentino. Nel 1949, Gertrude venne ammessa negli Stati Uniti d’America e si stabilì a Los Angeles- California, dove ha conseguito diverse lauree e ha lavorato come bibliotecaria e insegnante in un liceo. Ora è in pensione ma ancora molto attiva sul fronte della promozione culturale e della memoria storica, come il suo soggiorno dell’anno scorso in Salento conferma.


“Senza volto “ è invece il titolo del libro di Samuel Goetz, ebreo di origine polacca che a differenza della moglie ha vissuto in prima persona l’esperienza di internato in un campo di concentramento nazista, ad Ebensee (Austria) e a Cracovia. Nel suo memoriale, ricostruisce con una lucida analisi gli anni di quel cammino di dolore e poi, capitolo dopo capitolo, tutte le peripezie di un’avventura umana davvero incredibile ma, per un inspiegabile disegno del destino, dal lieto fine; ed è proprio la sua sopravvivenza che lo ha fatto, e lo fa ancora, un privilegiato, una persona diversa, da tante altre come lui che hanno invece trovato la morte nei lager . Dopo la narrazione degli anni bui, di deportato e profugo in Italia, Samuel ricostruisce, nell’ultima parte del libro, gli anni della ritrovata serenità, della nuova vita in America, dove è stato professore alla UCLA, l’Università di Los Angeles, città in cui egli ha vissuto e vive tuttora insieme alla sua numerosa famiglia.
L’autore dice di essersi interrogato spesso sull’utilità di scrivere un libro su quella drammatica esperienza, ferita aperta nel cuore dell’Europa del Novecento, abominio inenarrabile, che egli stesso definisce “un tradimento della storia”. Ma gli accadimenti politici degli anni Ottanta e Novanta con quelle ondate di revisionismo storico in cui “pseudo scienziati”, come li definisce Sam, cercavano di negare l’evidenza storica dell’Olocausto e dei campi di sterminio, lo hanno convinto a mettere nero su bianco la propria esperienza, a futura memoria.
La rabbia, la frustrazione, il bisogno di reagire ai negazionisti, unite al desiderio di raccontare ai propri figli ed ai propri nipoti quello che era successo, lo hanno portato a farsi attivista in questa nobile causa di salvaguardia della memoria storica. Ed è proprio la testimonianza diretta dei protagonisti di quegli anni, come Sam e Gertri Goetz , che aiuta anche noi a non dimenticare l’Olocausto, a non dimenticare a quali degenerazioni può arrivare la bestia umana quando è assetata di sangue. E un incontro così emozionante come quello con i coniugi Goetz aiuta anche una piccola comunità del nostro Salento a capire che non è solo il mese della memoria che ci può far riflettere su quello che è stato e su quello che ancora è la nostra storia.

Nessun commento:

Posta un commento