Studiosi rigorosi e intellettuali di spicco hanno scritto tanto sul nazismo e sulla sua aberrante ideologia. Molto, però, rimane ancora da scoprire. Molte sono, infatti, le tracce sommerse da far riaffiorare, dovute alla discrezione di chi ne è stato protagonista o a una concezione della storia che prende in considerazione solo gli eventi trascurando chi, silenziosamente ma operativamente, vi ha collaborato.
Il fallito attentato del 20 luglio 1944 contro Hitler è stato ricostruito in tutti i suoi particolari, le sue conseguenze di Sippenhaft, di ritorsione contro i familiari dei congiurati. Ma c’è ancora da riflettere. La vicenda della contessa Nina Schenk von Stauffenberg, consorte dell’eroe Claus, è emblematica per dignità, forza femminile e percezione della tragicità degli eventi.
La coppia, appartenente alla grande nobiltà tedesca, si conobbe quando era poco più che adolescente, riconoscendo nel partner il grande amore della vita. Nina, figlia unica, seppe assumersi il peso che comportava diventare moglie di un militare dello Stato maggiore. Nacquero quattro figli nella casa di Bamberg, quattro ragazzi che amavano scorrazzare nei vasti spazi della tenuta avita di Lautlingen, ospiti del castello dei nonni von Stauffenberg. Un mondo socialmente elevato, legato all’etichetta di corte, alla cultura, all’arte e alla vita di società.
Claus von Stauffenberg, dopo il grave incidente occorsogli in Africa nel 1943 (un attacco aereo a bassa quota lo privò della mano destra e di un occhio), non si lasciò piegare. L’educazione ricevuta dagli Stauffenberg al senso del dovere, delle responsabilità e della lealtà, fece loro ben comprendere la menzogna sottesa all’ideologia nazista e al pericolo incombente sulla Germania e su tutta l’Europa. I coniugi quindi non esitarono: si schierarono con la resistenza a loro rischio e pericolo. Si trattava di lottare per dare un volto nuovo alla patria e ritrovare la libertà.
Nina sottolinea che «può sembrare patetico ma [Claus] ha scelto coscientemente la via per una strada eroica». Ella accettò che il marito facesse parte dei congiurati, ben sapendo quale sorte le sarebbe toccata se tutto non fosse andato a segno. Hitler sopravvisse, si vendicò e furioso ebbe a esclamare: «La famiglia Stauffenberg sarà annientata fino al suo ultimo membro». Questa la didascalia posta sotto la fotografia che ritrae i quarantadue discendenti della coraggiosa coppia.
Quando Nina fu strappata ai suoi quattro bambini, portata prima in carcere e poi a Ravensbrück, era in attesa. Kostanze sarebbe nata malgrado le privazioni subite dalla madre, malgrado il dolore per l’esecuzione del marito e di tanti membri della famiglia. Proprio questa bimba, Kostanze von Stauffenberg, è l’autrice di Nina Schenk von Stauffenberg. Un portrait (Paris, Èdition des Syrtes, 2011, pagine 171, euro 20), che fa uscire dall’ombra una grande donna che resse a interrogatori durissimi con fermezza incrollabile, giocando la carta della «casalinga stupida che si occupava soltanto di figli, di parti e di pannolini», riuscendo a far credere di ignorare tutto dell’attività del consorte. Nina seppe così salvare la sua vita e quella della neonata, malgrado una deportazione e un isolamento rigorosissimi. Ignorando, oltretutto, la sorte degli altri figli, rinchiusi in un orfanotrofio sotto falso nome e in attesa di essere adottati per cancellare gli Stauffenberg dalla faccia della terra.
Nina afferrava immediatamente la situazione e intravedeva i pericoli. Perciò dopo il fallito putsch si assunse una decisione gravissima, volta a preservare la vita dei suoi figli: chiamò i maggiori, di dieci e otto anni, e disse loro «Papà si è sbagliato, per questo è stato fucilato. Che la Provvidenza protegga il nostro beneamato Führer». La madre aveva intuito l’unica via che avrebbe salvato la vita ai suoi figli, temendo che i due ragazzi fierissimi del loro padre pronunciassero qualche frase che li avrebbe portati alla morte. Solo dopo la guerra vennero a sapere il vero ruolo del padre, potendo così ritornare al loro sano orgoglio di figli.
In tutte le sue traversie Nina si contraddistinse per forza d’animo, coraggio, resistenza psichica e profondo desiderio di rivedere tutti i suoi figli sani e salvi. Peripezia dopo peripezia, e con una neonata ammalata in braccio, una volta libera Nina ebbe l’audacia di percorrere la Germania vinta e occupata, alla ricerca della prole che poté riabbracciare solo nel giugno 1945.
Un’ultima battaglia avrebbe dovuto sferrare: tutti i beni degli Stauffenberg e degli Schenk erano stati confiscati e le case saccheggiate. Rimasta senza un soldo con solo il castello di Lautlingen (e i giardini ridotti ad orto), anche questa volta vinse. Nina ricostruì, infatti, pezzo per pezzo la casa distrutta dei suoi genitori. Poté così riportare i suoi cinque figli a Bamberg, continuando nel suo dignitoso silenzio sulle avventure dolorose della guerra, finché la figlia la convinse a narrare una cronaca di famiglia.
Con l’ardimento e la fermezza di Nina, reagirono anche le altre mogli dei congiurati del 20 luglio. Una storia di donne che merita di essere riscoperta e fatta conoscere.
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