Toscana, 1944. Dopo l’armistizio (8 settembre 1943) le truppe americane si trovano in Italia per liberare la nazione dall’esercito tedesco. La 92° divisione, soprannominata “Buffalo soldiers” e composta unicamente da militari di colore, avendo perso i contatti con il resto dell’esercito statunitense, si rifugia in un villaggio sulle montagne. Uno dei soldati porta con sé un bambino scampato al massacro di Sant’Anna di Stazzema. Nonostante le diversità culturali e i drammi che la guerra sta comportando, i soldati e gli abitanti del villaggio riescono a instaurare un rapporto di profonda comprensione ed empatia.
Il pretesto del nucleo narrativo si apre con un duplice movimento di macchina ad avanzare che rasenta il pavimento (come i soldati che in battaglia si muovono strisciando per non farsi vedere) e va a dissolvere una distanza spaziale, New York con Roma. Siamo nel 1983, un omicidio e il ritrovamento della testa di un’antica statua (apparentemente inspiegabili) riaprono le ferite di una guerra, la Seconda Guerra Mondiale, che nel suo immaginario fino ad oggi non aveva ancora dato spazio agli americani di colore e al loro contributo nel processo di liberazione del territorio italiano. Abbandonata la linearità del percorso si entra in un vortice di sovrapposizioni del passato, flashback nel flashback fino al 1943, anno in cui l’esercito americano decide di tentare un esperimento dopo la pressione della stampa “negra” e di Eleanor Roosvelt costituendo una divisione di soldati di colore che viene mandata a combattere in Italia. Ma i neri avevano già partecipato ad avvenimenti bellici e il precedente cinematografico si trova in Glory - Uomini di Gloria (1984).
Grazie ai racconti (ma non solo) dello zio di James McBride, autore del libro da cui è ispirato il film e che Spike Lee ha voluto anche come sceneggiatore, Miracolo a Sant’Anna diventa l’occasione per parlare di una parte di Storia che fino ad ora ci sembrava di conoscere bene, almeno per quanto riguarda il suo apparato iconografico. Oltre ai tedeschi biondi, con gli occhi azzurri e l’aria impassibile, ai liberatori (bianchi) americani con le sigarette e la cioccolata sempre a portata di mano, da oggi bisognerà ricordarsi che in Sicilia sono sbarcati anche i soldati neri, ugualmente muniti di sigarette e dolci. La rivendicazione del regista afroamericano non può non rimandare all’attualità della campagna presidenziale USA che si concluderà nel novembre 2008 e che vede per la prima volta nella storia degli Stati Uniti un candidato di colore nella corsa alla Casa Bianca.
Ma Miracolo a Sant’Anna è molto di più. Lo spessore del film è dato dalla sovrapposizione di più livelli narrativi ed emotivi, fondamentale quello della storia “miracolosa” del bambino scampato al massacro di Sant’Anna di Stazzema (avvenimento realmente accaduto il 12 agosto 1994 quando i tedeschi hanno ucciso 560 civili). Angelo è una sorta di condensazione del cinema e della letteratura neorealista che tanto ha avuto a che fare con i bambini e con l’effetto della guerra su di loro.
Il tappeto musicale è quanto mai perfetto nell’amplificare ed esaltare l’emotività scenica, merito del jazzista Terrence Blanchard già collaboratore di Spike Lee in Mo’ better Blues, Malcom X e Inside Man. Resta sullo sfondo, volutamente, tutta la vicenda della resistenza partigiana, restituita insieme alle inevitabili contraddizioni (che fanno parte, è bene ricordarlo, dell’essenza umana) con piglio documentaristico. E in epoca di revisionismi non è poco.
TRAILER IN ITALIANO:
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