Il lettore potrà andare a ritroso nella memoria ai bellissimi versi di Pavel Friedman (Praga 1921 - Auschwitz 1944), ragazzo ebreo deportato dai nazisti, che immortalò nella poesia "La farfalla" il senso stesso della sua gioventù negata.
L'ultima, proprio l'ultima,
di un giallo così intenso, così assolutamente giallo,
come una lacrima di sole quando cade sopra una roccia bianca
così gialla, così gialla!
L'ultima, volava in alto leggera,
aleggiava sicura per baciare il suo ultimo mondo.
Tra qualche giorno
sarà già la mia settima settimana di ghetto:
i miei mi hanno ritrovato qui
e qui mi chiamano i fiori di ruta
e il bianco candeliere di castagno nel cortile.
Ma qui non ho rivisto nessuna farfalla.
Quella dell'altra volta fu l'ultima:
le farfalle non vivono nel ghetto.
«Pavel, che fu anche rinchiuso nella fortezza ghetto di Terezin, oggi Repubblica Ceca, scrisse la poesia poco prima di morire - La Gestapo utilizzò Terezin come campo di concentramento per 144 mila ebrei, dei quali 33 mila morirono, la maggior parte a causa delle disumane condizioni di vita. Circa 88 mila prigionieri furono deportati verso Auschwitz ed altri campi di sterminio. Pavel fu uno di loro e lì trovò la morte».
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