sabato 7 maggio 2011

Quei 150 mila soldati ebrei di Hitler di cui nessuno ha mai osato parlare


UNO SCONVOLGENTE LIBRO DELLO STORICO EBREO BRYAN MARK RIGG


Quando la rivista di propaganda nazista “Signal” de- dicò la copertina al “soldato tedesco ideale”, nel 1939, non poteva certo immaginare che quel volto appartenesse ad un giovane ebreo, il Gefreiter Werner Goldberg. Questa la foto più sorprendente, delle tante di ufficiali, generali, ammiragli, membri del partito nazista, contenute nel libro del giovane storico ebreo Bryan Mark Rigg, laureato alla Yale University, “I soldati ebrei di Hitler” pubblicato recentemente da Newton & Compton nella collana “I Volti della Storia” (pagine 395, 16,90 euro).
Uno studio accurato, una documentazione quasi esasperata, durata anni di viaggi, di incontri, di esami dettagliati di documenti pubblici e privati, superando l’ostilità e il boicottaggio degli studiosi “ufficiali” della “questione ebraica”.
Nella prefazione, Rigg racconta d’essere stato ispirato alla ricerca dalla visione d’un film, “Europa, Europa” in cui si racconta la storia dell’ebreo Perel che, falsificando la propria identità, prestò servizio nella Wehrmacht e studiò in un collegio per la gioventù hitleriana dal 1941 al 1945.
Il film raccontava una vicenda reale. Tornato all’Università di Yale, dove frequentava il secondo anno di college, Rigg si mise al lavoro. Gli sarebbe bastato trovare una dozzina di Perel e ne avrebbe ricavato uno studio interessante. Ne trovò 150.000 e questo sconvolse tutte le sue certezze.
Gli storici avevano sempre parlato di una cifra irrisoria di ebrei o mezzi ebrei (Mischlinge) che avevano militato sotto la croce uncinata. Mai tuttavia, ricoprendo alte cariche.
Rigg iniziò una corsa contro il tempo, poiché quei veterani morivano ormai a migliaia di giorno in giorno. Si avvalse dell’effetto “valanga”, nel senso che ogni intervistato faceva i nomi di altri camerati. Quasi tutti si mostrarono disposti ad aprire le loro case e i loro cuori. In più autorizzarono il libero accesso ai fascicoli personali contenuti negli archivi. Vennero fuori documenti “che nessuno aveva mai esaminato prima” (siamo tra il 1994 e il ’98!) e “furono dette cose che non erano mai state dette prima”. Le loro vicende costituiscono la testimonianza diretta d’una storia oscura e raccapricciante.
Una storia che molti professori avrebbero preferito restasse nei cassetti. Ma Rigg appartiene a quella schiera ormai folta di storici ebrei che, sulla scia di Kath, Arendt, Kimmerling, Novick, Finkelstein e altri, vogliono la verità sull’Olocausto. La critica, quando non li accusa di filo-nazismo (come accade per Hanna Arendt), li considera “revisionisti” nell’accezione staliniana del termine.
Sono quelli che alla domanda «perché un ebreo scrive queste cose?», rispondono: «Perché un ebreo NON dovrebbe scrivere queste cose?».
Il suo lungo studio, i suoi documenti, i suoi testimoni, ci conducono in un mondo in cui avevamo sentito parlare in fretta e per accenni, ma che mai avevamo penetrato e di cui mai prima d’ora avevamo incontrato gli abitanti: il mondo dei “soldati ebrei di Hitler”.
Una popolazione, non uno sparuto gruppo come si è voluto far credere per oltre mezzo secolo. Una popolazione con i suoi generali, i suoi ufficiali, le sue truppe.
L’elenco di Rigg è sconvolgente. Il feldmaresciallo Erhard Milch, decorato da Hitler per la campagna del 1940 (aggressione della Norvegia). L’Oberbaurat della Marina e membro del partito nazista Franz Mendelssohn, discendente diretto del famoso filosofo ebreo Moses Mendelssohn. L’ammiraglio Bernhard Rogge decorato da Hitler e dall’imperatore del Giappone. Il comandante Paul Ascher, ufficiale di Stato maggiore sulla corazzata Bismarck. Gerhard Engel, maggiore aiutante militare di Hitler. Il generale Johannes Zukertort e suo fratello il generale Karl Zukertort. Il generale Gothard Heinrici. Il generale Karl Litzmann, “Staatsrat” e membro del partito nazista. Il generale Werner Larzahn decorato da Hitler. Il generale della Luftwaffe Helmut Wilberg dichiarato ariano da Hitler. Philipp Bouhler, Capo della Cancelleria del Fuhrer. Il maggiore Friedrich Gebhard, decorato da Hitler. Il superdecorato maggiore Heinz Rohr, l’eroe degli U-802, i sottomarini tedeschi. Il capitano Helmut Schmoeckel…
Segue una sfilza di ufficiali, sotto-ufficiali, soldati. Tutti ebrei, o mezzi ebrei o ebrei per un quarto o addirittura per il 37,5 per cento, come il Gefreiter Achim von Bredow.
Poi la ricerca scava impietosa fino ad un nome terribile: Reinhardt Heydrich, “la bestia bionda”, “Il Mosè biondo”, Capo dell’ufficio per la sicurezza del Reich, generale delle SS, “l’ingegnere dello sterminio”, diretto superiore di Heichmann.
Era ebreo Heydrich? Molti assicurano di sì. Di certo suo padre lo era. Di certo gli fu accordata da Hitler “l’esenzione”.È una foiba, il libro di Rigg, da cui si estraggono scheletri che si voleva dimenticare, nome e fatti da cancellare. Nomi di uomini che fecero la storia del XX secolo. Fatti che resero quella storia atroce.
E forse fu per prudenza che al processo di Norimberga non si parlò di Olocausto, ma, più genericamente, di crimini di guerra o contro l’umanità.
Forse fu per prudenza che tra gli imputati non sedesse Heichmann, esecutore degli ordini di Heydrich.
«Non potevamo immaginare – ricordava Yitzhak Zuckerman, capo della rivolta del ghetto di Varsavia – che gli ebrei avrebbero condotto alla morte altri ebrei». E Zuckerman non si riferiva soltanto agli ebrei della Wehrmacht, della Luftwaffe, della Marina o delle SS, ma soprattutto ai sonderkommandos, la polizia ebrea collaborazionista così efficacemente e drammaticamente narrata dall’ebreo Roman Polanski nel suo ultimo film “Il pianista”.
Perché dunque, un libro come questo di Rigg ci sconvolge tanto? Forse perché il peso della “soluzione finale” è insopportabile e scopriamo di poterlo distribuire su altre spalle, anche quelle ebree. Forse perché siamo ancora alle prese con la retorica del “caso Priebke”. Un ultranovantenne, ex ufficiale nazista, accusato di non aver disobbedito a ordini considerati disumani e che il libro di Rigg inevitabilmente pone a confronto con centinaia di generali e ufficiali ebrei che quegli ordini li eseguirono tanto bene da meritarsi le decorazioni e gli elogi di Hitler. Forse perché ci ha aiutato a capire che non esiste una “colpa collettiva” del popolo tedesco, così come non esiste una “innocenza collettiva” del popolo ebraico.

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