Calogero Marrone, il capo dell'Ufficio anagrafe di Varese che morì nel campo di concentramento di Dachau per aver aiutato moltissimi ebrei a varcare il confine svizzero durante l'occupazione nazista, poteva a sua volta essere ebreo. È solo un'ipotesi che nulla toglie e nulla aggiunge al valore civile e morale del gesto di quest'uomo, ma un'inconsapevole appartenenza al popolo d'Israele rende certamente più affascinante la sua storia.
L'obiezione a questa ipotesi è che dopo la cacciata di tutti gli ebrei dal regno di Spagna, avvenuta nel 1492 con l'editto di Isabella di Castiglia, nell'Italia meridionale e in Sicilia non ci sono state più comunità ebraiche. Pertanto Calogero Marrone che era siciliano, di Favara in provincia di Agrigento, non poteva essere ebreo. C'è però una storia, realmente accaduta, raccontata da Stefano Jesurum, giornalista del "Corriere della Sera", nel libro "Raccontalo ai tuoi figli " (Baldini e Castoldi) e ripresa da Patrizia Reinach Sabbadini nel libro "La cultura ebraica" (Einaudi), che potrebbe confermare il contrario.
Jesurum racconta una vicenda avvenuta intorno al 1960. Un gruppo di emigranti siciliani si stabilisce a Liegi, in Belgio. È il posto che fa per loro, sono minatori e lì ci sono le miniere. Sono circa un'ottantina, vestiti di velluto, un po' tarchiati, mani grandi e coppola calcata in testa. Al sorgere della prima stella di ogni shabbat (il sabato ebraico) si presentano al tempio, ovvero la sinagoga, per partecipare alla funzione. Dicono di essere ebrei siciliani. È una cosa impossibile, secondo gli esperti, perché comunità ebraiche nel sud dell'Italia non ce ne sono ormai dalla notte dei tempi.
Il rabbino belga Dreyfuss si mette in contatto con quello di Roma per avere informazioni su questo strano gruppo. Da Roma confermano: da secoli ormai non ci sono comunità ebraiche in Sicilia. Il rabbino italiano, però, vuole vederci chiaro e parte per la Sicilia e lì scopre il mistero: sono discendenti dei marrani, ebrei convertiti con la forza al cattolicesimo. Si erano fatti battezzare ma, per quattrocento anni nel segreto delle loro abitazioni, avevano continuato a professare la religione ebraica e a tramandarne la cultura di padre in figlio. Avevano tutti un doppio nome, quello ufficiale conosciuto da tutti e quello che conoscevano soltanto i vecchi della comunità. Sulle loro tombe non c'erano croci, a Pasqua facevano il pane senza lievito e al sabato mettevano le candele sulla tavola.
Dopo la convocazione a Roma per essere istruiti dal rabbino e dopo la visita del mohel (la persona che nella comunità ebraica si occupa della circoncisione) per porre rimedio ai danni delle circoncisioni fatte in casa, negli anni Settanta il gruppo emigra nuovamente, questa volta in Eretz Israel, per lavorare nelle miniere di rame israeliane. Molti si sposeranno e andranno a vivere a Be' er Sheva. I loro discendenti portano i nomi di quegli antichi padri: Siracusa, Gucciardo, Russo, Tidona, Pellicciotti, Vitale e Marrone.
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