domenica 8 luglio 2012

La Shoah in Brianza: la famiglia Gani


Tra i quaranta ebrei arrestati in Brianza e deportati nel contesto della politica di sterminio della Germania nazista, due storie: quella di Elisa Ancona da Lissone e quella della famiglia Gani da Seregno.

Elisa Ancona

Era nata il 10 ottobre 1863 a Ferrara. Prima di rifugiarsi a Lissone in seguito all’occupazione tedesca del nostro Paese dopo l’8 settembre 1943, abitava in via Nievo 26 a Milano. Era vedova di Achille Rossi. Risiedeva nel capoluogo lombardo dal 1902 ed era iscritta alla locale Comunità israelitica. L’anziana donna fu arrestata il 30 giugno 1944 a Lissone da militi della Guardia Nazionale Repubblicana e reclusa a San Vittore. Venne successivamente trasportata a Verona dove fu inclusa, il 2 agosto, nel trasporto proveniente da Fossoli e arrivato ad Auschwitz il 6 agosto 1944. Elisa Ancona, come avveniva per tutti gli anziani, fu avviata subito alle camere a gas; aveva quasi 81 anni.

La famiglia Gani

Giuseppe Gani nato il 16/08/1895 a Ioannina
Speranza Zaccar nata il 17/10/1900 a Corfù
Regina Gani nata il 7/12/1926 a Milano
Ester Gani nata il 19/7/1928 a Milano
Alberto Gani nato il 20/4/1934 a Milano

Questa è la famiglia Gani, la cui storia dà la misura di quanto sia stata terribile la persecuzione razziale in Brianza; due giovani genitori e tre ragazzi che furono vittime della scelleratezza dei militi fascisti che li arrestarono, cioè italiani come loro, e di un delatore che li denunciò, cioè di un seregnese, di un brianzolo, di un abitante della terra dove credettero di trovare rifugio e protezione.

La prima residenza di Giuseppe Gani in Italia è registrata nel 1918 a Milano. Il 1° ottobre 1925 sposò Speranza Zaccar, anche lei ebrea di origini greche. Dalla loro unione nacquero tre figli, Regina, Ester ed Alberto. Dal 1934 abitavano in corso Vercelli 9.

I Gani erano benestanti, Giuseppe era titolare di una ditta in proprio che si occupava di esportazione di tessuti.

Dopo l’emanazione delle leggi razziali nel 1938, la vita della famiglia Gani si complicò. Furono costretti ad inoltrare domanda per rimanere in Italia (1939), per poter conservare personale di servizio “ariano” (1939 e 1941), perché avevano alle dipendenze una donna di servizio. I figli furono emarginati da scuola. Regina che frequentava il corrispondente delle attuali scuole medie presso il liceo Manzoni di Milano, venne espulsa dall’istituto con altri 64 studenti.

Nell’autunno 1943, Giuseppe decise di far sfollare la famiglia in provincia, a Seregno, probabilmente con il duplice scopo di sfuggire ai bombardamenti alleati sulla città e alla caccia all’ebreo scatenata dai tedeschi e dai collaborazionisti fascisti della repubblica sociale.

Il 10 febbraio 1944, le autorità fasciste sequestrarono l’appartamento dei Gani con tutto ciò che vi era contenuto. Il 16 giugno la questura di Milano ne decretò la confisca. Il 29 febbraio la Banca Commerciale italiana, ottemperando alle normative antiebraiche vigenti, denunciò la liquidità dei Gani depositata presso la sua sede. Il 16 ottobre 1944 vengono confiscati i soldi suddetti, su decisione del capo della Provincia, con voltura a favore dello Stato.

Probabilmente a cavallo tra l’inverno 1943 e la primavera 1944, dalla casa di via Milano, situata nei pressi della stazione di Seregno, i Gani, per prudenza, cambiano nascondiglio: la madre con i tre figli alla Ca’ Bianca, edificio di fronte all’ospedale cittadino, in una cascina a due cortili chiusi, presso la famiglia Casati, mentre Giuseppe trova riparo in via Volta presso una delle figlie sposate del Casati. Il capofamiglia, Luigi Casati, era un contadino e antifascista convinto.

Alla fine del mese di agosto 1944, un mattino, un drappello di fascisti italiani accompagnati da un tedesco irruppe nell’abitazione dei Casati e arrestarono i Gani, madre e i tre figli. Giuseppe Gani era riuscito a sfuggire alle ricerche ma prima di notte fu anch’egli catturato. Di sicuro la delazione di un cittadino seregnese fu all’origine della spedizione.

Il 20 agosto le cinque persone delle famiglia Gani entrarono nelle celle di San Vittore a Milano. Il 7 settembre vennero trasferiti nel campo di raccolta di Bolzano-Gries. Rimasero diciassette giorni nelle baracche del campo altoatesino, dopo i diciotto trascorsi a san Vittore. Il 24 ottobre, sul convoglio n° 18 siglato RSHA (la sigla dell’istituzione delle SS deputata all’esecuzione dello sterminio in tutta Europa), partirono da Bolzano-Gries alla volta di Auschwitz. C’era un solo bambino su quel treno, alberto Gani, di dieci anni. Per quattro giorni viaggiarono stipati come bestie e martoriati dalla sete. Il 28 ottobre era ancora notte quando il convoglio s’incanalò sul binario che entrava nel lager di Auschwitz. In una scena da incubo, fra guardie che urlavano e i cani che abbaiavano, i prigionieri vennero fatti scendere; il dottor Mengele o uno dei suoi collaboratori li aspettavano per la selezione. Giuseppe, Speranza e il piccolo Alberto vennero inviati immediatamente alle camere a gas. Ester e Regina furono fra le 59 persone che superarono la selezione, come rivelano i documenti tedeschi conservati nell’archivio del museo di Auschwitz. Furono destinate al lavoro da schiave o a qualche postribolo nazista. Finirono poi nel lager di Bergen Belsen, dove venivano concentrate soprattutto le donne, e dall’11 febbraio 1945, data dell’ultimo avvistamento da parte di un testimone, non se ne seppe più nulla.
 
Tratto dal libro di Pietro Arienti
“Dalla Brianza ai lager del III Reich”


Pietro Arienti scrive a proposito della famiglia Gani: «Mi sono sempre chiesto se lo sconosciuto delatore l’abbia mai appresa questa storia, se mai siano apparse ancora davanti a sé le immagini di quel bambino e di quelle ragazze, pensando a come la loro vita sia potuta finire in cenere».

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