domenica 8 luglio 2012

In memoria: Ernst Lossa


Ernst Lossa nasce ad Augusta il 1° novembre del 1929. Proviene da una famiglia Jenische, zingari ibridi li chiamano, di costume nomade, con una forte tradizione artistica. I suoi genitori oggi si chiamerebbero madonnari, dipingono figure religiose di città in città, viaggiando nella Germania meridionale. Ma gli zingari sono zingari, oggi come ieri, in Germania come in Italia, durante il nazismo come nelle civilissime democrazie. Il governo della Baviera nel 1905 inserisce i Lossa nello zigeuner book, il libro degli zingari, e con la salita al potere di Hitler la vita per queste famiglie diventa drammatica. Ernest è il maggiore di tre figli. I suoi genitori sono costretti a enormi sacrifici per mantenere la famiglia: ogni possibilità di vivere onestamente viene sconvolta dagli ordini di polizia nazisti che li perseguitano in quanto zingari e venditori ambulanti. La nascita del quarto figlio, nel mese di giugno, aggrava la situazione. Le autorità intervengono per spezzare la famiglia, togliendo ai genitori la patria potestà. Ernst ha 4 anni. La madre è già gravemente malata e di lì a poco morirà di tubercolosi. Il padre viene internato a Dachau e morirà nel campo di concentramento di Flossenburg. Ernst e le due sorelle vengono mandati nell’orfanotrofio di Augusta, sono etichettati come figli di zingari, quindi predisposti a turbe psichiche, e non si nutre la minima speranza di educare i bambini come buoni cittadini tedeschi produttivi e di domare la loro indole vivace e ribelle. Ernst però è un bambino dalle mille risorse, con un forte senso dell’adattamento e inizia a rifugiarsi in un mondo tutto suo fatto di sogni e di immaginazione. Per far fronte alle ingiustizie subite quotidianamente impara a mentire e a rubacchiare ciò di cui ha bisogno per sopravvivere, per giocare e per mantenere vivo il suo piccolo mondo di fantasia.

Nel 1940 le suore perdono la pazienza e la pietà che il loro abito imporrebbe. A soli 10 anni Lossa viene mandato in riformatorio: «Si tratta senza dubbio di uno psicopatico. È di buon cuore ma privo di volontà, instabile. Mentalmente quasi normodotato, ma impulsivo. Non potrà più migliorare in modo sostanziale». A 13 anni viene sottoposto alla perizia di un medico del Kaiser Wilhelm Institute di Antropologia, Ereditarietà umana ed Eugenetica: «Possiede capacità medie, non si lava ed è disordinato, gli manca quasi totalmente il senso dell’igiene sia per quanto riguarda il corpo sia per gli abiti; la sua ossessione a rubare sembra patologica, porta via, senza riflettere e senza un motivo, tutto quello che vede. Sue caratteristiche tipiche sono la chiusura e la falsità. In un interrogatorio sono stati osservati soprattutto il suo portamento non eretto e il suo sguardo sempre in agguato. A lui non manca la buona volontà. Dopo ogni guaio lui promette di migliorare, ma la sua buona volontà è troppo debole nei confronti della forza delle sue inclinazioni negative. Tramite il racconto di cose oscene, mette in pericolo i ragazzi del suo gruppo. Il lavoro manuale riesce a svolgerlo bene solo se viene osservato, appena ci si gira abbandona il lavoro ed inizia a fare delle scemenze. Questo giovane senza controllo è un pericolo per tutti e per questo deve essere rinchiuso. Non è possibile sopportarlo in un normale istituto, perché tutto l’ordinato lavoro di educazione di un intero gruppo soffre della presenza di un ragazzo anormale e asociale, per il quale non ci sono possibilità di un successo educativo». Il 20 aprile 1942 Lossa viene trasferito nel reparto pediatrico del Kaufbeuren Institute. Nella cartella clinica, così come nella diagnosi, non sono riportate le informazioni biografiche e manca totalmente l’anamnesi.

Valentin Faltlhauser era il direttore della clinica. In passato era stato uno psichiatra progressista. Kaufbeuren, insieme ad Hadamar, Grafeneck, Brandenburg e Hartheim ed altri, era un ospedale psichiatrico in cui si praticava l’eutanasia secondo il progetto di Aktion T4. Il progetto non era una delle tante assurdità del nazismo, ma al contrario era il risultato delle più avanzate ricerche in campo medico-scientifico ed economico. Non era attuato da quei nazisti pazzi e sanguinari che vediamo nei film il Giorno della Memoria, ma da medici, psichiatri, luminari che seguivano un ragionamento drammaticamente logico, rivolto soprattutto ai propri cittadini: migliorare la nazione tedesca e da lì il genere umano eliminando “chi rallenta la marcia”, chi è portatore di malattie ereditarie, soprattutto mentali, handicap per cui non esiste cura. Queste persone risultavano a carico dello Stato senza essere produttive, senza dare alcun contributo alla crescita e al miglioramento del Paese. Sacrificare pochi esseri imperfetti per il bene di tutti. Se vi sembra un ragionamento già sentito, da qualche politico o da qualche uomo comune, preoccupatevi pure perché è proprio così. I principi dell’eugenetica, che avevano già portato alla sterilizzazione di “malati” in tutto il mondo nei primi decenni del Novecento, con l’America a fare da apripista, si erano evoluti in esperimenti su cavie umane e inconsapevoli e in eutanasia. Nel 1941 il programma ufficiale di eutanasia (quella che si faceva nelle camere a gas e nei forni crematori) venne sospeso, ma al suo posto si iniziò a svolgere l’eutanasia selvaggia. In un modo o nell’altro queste persone dovevano morire. Faltlhauser negli anni Venti e Trenta aveva creato degli ambulatori esemplari e si era dichiarato contrario all’eutanasia, ma vedendo i risultati di Aktion T4 e come questa avesse diminuito le spese dello Stato, decise di darsi da fare. Inventò così la Dieta E: tutti quei pazienti che prima sarebbero stati sottoposti al “trattamento” dell’eutanasia, venivano alimentati con una dieta «assolutamente povera di grassi». Entro 3 mesi i pazienti morivano di edema da fame. La mortalità negli ospedali psichiatrici aumentò esponenzialmente fino alla fine della guerra e anche dopo, almeno fino al 1947.

Ernst Lossa viene internato proprio a Kaufbeuren e sottoposto alla Dieta E. Ma Lossa è un bambino speciale. Viene trasferito ancora alla filiale di Irsee, il braccio della morte di Kaufbeuren. Qui si resiste 3 settimane al massimo: se non muori di fame ti fanno un’iniezione letale di barbiturici o morfina. Ma la sua voglia di vivere è talmente forte che Lossa resiste un anno e mezzo, aggrappato alla vita con le unghie e con i denti come solo un bambino può fare in una situazione tanto orribile e ingiusta. Dai rapporti della cartella clinica:

10.06.1943: «È un ragazzo vivace, scaltro, pieno di piccole malvagità e cattiverie, se si cerca di prendere il sopravvento su di lui è arrogante e monello. È incline alla scontentezza ed alla ribellione. Ha bisogno di un trattamento energico, ritiene la bontà debolezza.»

25.7.1943: «Facilmente irritabile, collabora con gli infermieri svolgendo piccole commissioni ma non in modo costante. A volte è vivace, altre irritato e scontroso, ha un’essenza irrequieta, ruba tutto quello che vede, spia le piccole debolezze che lo circondano, difficile da trattare.»

9.12.1943: «I1 tentativo intrapreso poco tempo fa di farlo lavorare fallisce. L. rubava tutto quello che poteva, particolarmente le chiavi; riuscito ad entrare nella dispensa delle mele le ha spartite con gli altri pazienti. Bugiardo, ladresco, brutale. Per la sua evidente tendenza antisociale non può più essere inserito nel gruppo di lavoro della casa.»

9.8.1944: «È fallito un nuovo tentativo di lavoro. L. ha iniziato a rubare, si nascondeva, creava difficoltà, fa delle scemenze.»
Secondo le testimonianze di ex dipendenti della struttura sanitaria Lossa si era reso conto delle uccisioni mirate nell’istituto e probabilmente fu proprio questo che spinse il direttore amministrativo Joseph Frick e Valentin Faltlhauser ad accelerare la morte di Lossa. Lossa sapeva che sarebbe morto presto, aveva capito tutto. Quel pomeriggio lasciò a un infermiere una sua foto con scritto in memoria. «Spero di morire quando sei di turno tu, così mi metti bene nella bara».

9.8.1944: «Exitus: eutanatizzato». Lossa viene ucciso da un’infermiera di nome Pauline Kneissler con un’iniezione di morfina-scopolamina. A lui avevano detto che era un vaccino contro il tifo. Non facciamoci ingannare dal nome dolce di “buona morte”, l’eutanasia praticata in questi ospedali di dolce non aveva proprio niente, ma si avvicinava molto di più alla tortura. I pazienti, molto spesso bambini, a cui veniva fatta l’iniezione impiegavano dalle 3 ore a diversi giorni, come nel caso di Lossa, per morire. L’infermiera Kneissler era stata chiamata in quanto specializzata nell’attuazione dell’eutanasia. «Mi era chiaro che l’unico scopo era quello di uccidere i soprannominati pazienti. Ricevevo il compito di svolgere l’eutanasia dal direttore durante la visita o dall’ufficio dell’ispettore dell’amministrazione». Pauline Kneissler, andata a processo per aver eutanatizzato 250 bambini, ha verbalizzato più volte che la morte inferta per pietà è quella forma di morte che si concede anche a qualunque animale. Valentin Faltlhauser, come motivazione, ha nominato in primo luogo la compassione per giustificare la sua partecipazione. Nel suo processo penale egli affermava: «In ogni caso ho agito non con l’intenzione di compiere un delitto, ma al contrario permeato dalla consapevolezza di agire in modo misericordioso verso questi esseri infelici, con l’intenzione di liberarli dalla loro sofferenza per la quale oggi non esiste salvezza con i mezzi a noi conosciuti e non esiste sollievo, quindi con la consapevolezza di agire come medico autentico e cosciente.»

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