La Svizzera è tra i 49 paesi che prendono parte al vertice organizzato dalla Repubblica Ceca sul tema dei beni trafugati durante la Shoah. Un'occasione per fare un po' di luce su un capitolo buio del passato.
Migliaia di opere d'arte appartenute a famiglie ebraiche sono state trafugate dai nazisti negli anni Trenta-Quaranta. Parte del bottino era finito anche nei forzieri svizzeri. Oggi trovare gli oggetti rubati e raggiungere un accordo sul loro destino non è sempre facile.
La conferenza Holocaust Era Assets Conference, che ha aperto i battenti venerdì a Praga, riunisce attorno ad un tavolo esperti, rappresentanti di organizzazioni non governative, esponenti di gruppi ebraici e diplomatici. La conferenza internazionale intende soffermarsi su diverse tematiche legate alla Shoah, in particolare nei settori dell'educazione, del ricordo, dei beni immobiliari, dell'arte trafugata e dei beni culturali ebraici.
Opere d'arte trafugate dai nazisti, non si smette mai di fare luce.
Il portavoce della delegazione svizzera, Benno Widmer, ha detto a swissinfo che il nostro Paese attribuisce una grande importanza a tutte le questioni legate alla Shoah. La Svizzera, del resto, ha dapprima partecipato a Oslo a una riunione plenaria della Task Force for International Cooperation on Holocaust Education, Remembrance and Research (ITF), gruppo operativo di cui la Confederazione è membro dal 2004.
Uno degli obiettivi dell'appuntamento di Praga è verificare i progressi registrati in dieci anni, ossia dall'enunciazione dei Principi di Washington sanciti nel 1998. Questa convenzione, cui ha aderito anche la Svizzera, prevede che i paesi firmatari collaborino al ritrovo dei beni rubati, aprendo i rispettivi archivi e formulando soluzioni eque nel processo di restituzione ai legittimi proprietari o ai discendenti.
"L'impegno della Svizzera nel sostenere questi principi – dichiara Widmer - mostra che il nostro Paese prende molto sul serio la questione dei beni trafugati dai nazisti. La conferenza di Praga rappresenta un'opportunità per ribadire la collaborazione della Svizzera, sempre pronta a giocare un ruolo attivo nel risolvere problemi ancora in sospeso".
Un lauto bottino di beni rubati.
In base alle stime di diverse organizzazioni ebraiche, sarebbero circa 650 mila gli oggetti sacri e le opere d'arte sottratti agli ebrei e alle vittime dell'Olocausto. Un furto di dimensioni impressionanti, tanto da essere ritenuto il più grande furto di massa di tutti i tempi. Su molti di questi beni misero le mani numerosi gerarchi nazisti.
Parte delle opere d'arte trafugate dai nazisti, finirono in Svizzera; nel 1946 fu comunque varata una legge che ne prevedeva la restituzione ai legittimi proprietari. "Nel 1950 - sostiene l'esperto tedesco Andrea Raschèr - settantasette dipinti rubati furono restituiti a collezionisti francesi o a ricettatori di opere d'arte".
La questione fu messa in fondo ad un cassetto durante la Guerra fredda, ma negli anni Novanta tornò in superficie, grazie ad un articolo dello storico Thomas Buomberger, secondo cui alcuni ricettatori svizzeri di opere d'arte non furono altro che lo strumento dei nazisti nel traffico dei beni trafugati.
Le rivelezioni dello storico coincisero, come noto, con l'esplosione dello scandalo degli averi ebraici in Svizzera, che mise sotto pressione le banche elvetiche.
La situazione in Svizzera.
Andrea Raschèr - quando era supplente del capo del servizio giuridico beni culturali dell'Ufficio federale della cultura – elaborò un progetto per monitorare i beni giunti in Svizzera dopo la presa del potere da parte dei nazisti, oppure trafugati durante il conflitto e smerciati o transitati nel nostro paese. Progetto completato dalla pubblicazione, di una quarantina di pagine, "Beni cultuali di proprietà della Confederazione – Indagine sul periodo tra il 1933 e il 1945".
L'anno dopo la pubblicazione del rapporto, nel 1999, Raschèr creò un ufficio specializzato nel reperimento di beni rubati e nel fornire la consulenza necessaria a musei, fondazioni, cantoni e altre istituzioni. Grazie al suo intervento, molti casi si risolsero molto presto come, per esempio, la restituzione di un dipinto alla famiglia Silberberg da parte del Museo d'arte dei Grigioni.
Raschèr ritiene che la Commissione Bergier, istituita dal Consiglio federale per fare luce sul ruolo della Svizzera durante la Seconda guerra mondiale, non abbia fatto pienamente uso della possibilità di accedere agli archivi pubblici e privati per approfondire le proprie ricerche.
Un'occasione persa, dunque, per quando riguarda il patrimonio artistico trafugato dai nazisti. Il consulente ha tuttavia aggiunto che non è possibile sapere esattamente quante opere rubate siano ancora custodite in Svizzera; molte di essere fanno infatti parte di collezioni private.
La punta dell'iceberg.
L'esperto è convinto di una cosa: "Siamo di fronte alla classica punta dell'iceberg. Sono sicuro che nei prossimi dieci anni altre opere rubate torneranno a galla. Il rapporto con l'arte e con il mercato dell'arte, è spesso una questione di generazioni".
Secondo Raschèr, quando si ha a che fare con opere rubate, quel che conta è trovare soluzioni giuste ed eque, poiché non tutti gli attuali proprietari conoscono la provenienza delle opere possedute. A suo parere, sarebbe tuttavia importante che la Svizzera si dotasse di una legge specifica, come la Germania e l'Austria, sulle opere d'arte trafugate.
Da questo punto di vista, la conferenza di Praga costituisce un'occasione per sensibilizzare maggiormente gli esperti e per condividere esperienze nella soluzione dei casi; l'apertura degli archivi rappresenta, per esempio, una misura molto importante per la rintracciabilità dei beni sottratti illecitamente.
"Sono passati settant'anni. Non possiamo cancellare quanto è successo, ma in tutto questo tempo – conclude Raschèr – possiamo aver imparato molte cose. Come essere consapevoli di non volere più perpetuare un'ingiustizia iniziata 70 anni fa".
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