Essere in possesso e utilizzare un apparecchio radio per captare notizie di qualunque genere era “streng verboten”. Chi era “pescato con le mani nel sacco” veniva denunciato al tribunale militare e punito rigorosamente.
Ma gli internati del campo di Sandbost...el non si curarono di quel “Verboten” ed un gruppetto di loro riuscì, con mezzi di ripiego, possedendo una sola valvola 1Q5, a mettere insieme un aggeggio che, pur nella sua povertà e nel suo modesto aspetto, riusciva a captare notizie radiofoniche.
Fu denominata “Caterina” ed era figlia della disperazione e della genialità italiana.
La “Caterina” era una trappoletta di 9x10x5 cm nata nel campo di concentramento di Sandbostel e per quanto la Gestapo ne conoscesse l’esistenza e la cercasse rabbiosamente, non riuscì a scoprirla mai. Anzi, riuscì ad andarsene da quel campo per entrare in quello di Fallingbostel dove divenne fonte di informazioni internazionali e fece, infine, urlare d’entusiasmo il comandante americano arrivato con le truppe liberatrici: la voleva ad ogni costo ma dovette accontentarsi di scattarle un quantità enorme di fotografie, perché la Caterina era troppo importante per chi l’aveva costruita e ne aveva fatto l’unica arma di difesa spirituale, alleviò, infatti, l'angoscia della prigionia di migliaia di uomini, grazie alle notizie ricevute da Radio Londra, Berlino, Parigi, Busto Arsizio, e Bari che annunciavano l'approssimarsi della liberazione.
Nacque dal niente, in senso relativo, naturalmente. Come Dio creò Eva partendo da una costola di Adamo, i costruttori di Caterina partirono da una piccola valvola. Questa valvolina “1Q5”, introdotta furtivamente nel lager, nascosta nella borraccia del tenente Martignago, vero e proprio mago nell'organizzazione della sorveglianza, era anche l’unico pezzo non arrangiato di tutta la Caterina. Attorno alla valvola, con infinita pazienza e dopo mesi di esperimenti, il capitano Aldo Angiolillo e il sottotenente Oliviero Olivero costruirono quella che può essere definita la “Radio della Speranza”.
Ora che siamo immersi in un'epoca dove transistor e circuiti stampati troneggiano dall'alto della loro vastissima diffusione e nella quale epoca la tecnica ha raggiunto livelli fino a poco tempo fa quasi impensabili, la vicenda di Radio Caterina ci trasporta in un'altra dimensione, più semplice e anche più primitiva, ma sicuramente affascinante.
Il nome stesso che fu dato a questa radio, Caterina appunto, ha il sapore dell'estrema semplicità dell'invenzione. Ed è proprio da cose comuni che è nato questo marchingegno.
La costruzione di Radio Caterina può aiutare a comprendere l'ingegnosità di questi nostri ufficiali.
Gruppo bobine, antenna, sintonia e variometro consistente in un portasapone da barba, un filo di rame smaltato, tolto dalla dinamo di una bicicletta di un militare tedesco (denominato perciò “filo del crucco”) e cera di candela, che funzionava egregiamente, chiamata “paraffina”.
Il condensatore variabile, invece, era stato costruito con lamiere di barattoli e, per isolante, con della celluloide, ricavata da buste portatessera.
Il condensatore fisso era stato costruito con stagnola e cartine di sigarette.
La leva di manovra di un condensatore variabile era un ritaglio di latta verniciato di catrame.
La resistenza aveva preso vita partendo dalla grafite per matite, mentre la batteria di accensione era stata costruita con il carbone e la polvere recuperati da una pila esaurita tedesca, con la lamiera di zinco ritagliata da lavatoio mentre, per l'elettrolito dal liquido dei sottaceti trovati nei pacchi viveri dei prigionieri francesi che, a differenza di quelli italiani, erano assistiti dalla Croce Rossa Internazionale.
La batteria anodica, infine, era stata fatta con monete di rame da dieci centesimi, alternate a dischi di zinco, presi dalle vasche di legno dei lavatoi, e di stoffa (ritagliate dalla coperta di Talotti), imbevuti negli elettroliti (liquidi vari come l'aceto oppure nell'ammoniaca (ricavata dai pozzi neri) od anche acidi presi dall'infermeria), il tutto inserito in un astuccio rotto di una vecchia pila.
La cuffia (ad un solo auricolare) costituita da un barattolino qualsiasi, un disco di cartone e dei magnetini della famosa dinamo del crucco.
L’antenna consisteva in un pezzo di filo che partiva dal suo chiodo e aveva il capo libero che era saldato ad un pezzo di stagnola. Quest’ultimo durante la ricezione era messo tra i denti di Oliviero il quale fungeva da antenna a capacità variabile.
L'ascolto avveniva tra le 21 e le 23, quando il lager era senza luce e gli altri prigionieri dormivano: nessuno si accorse mai di nulla. Il luogo non era fisso, più spesso era il magazzino affidato al tenente Talotti, che godeva la fiducia del comando nazista in quanto, non comprendendo una parola in tedesco, rispondeva invariabilmente gut, ja o javol a tutto quello che dicevano i “crucchi”, cosa che questi gradivano moltissimo.
Nella stamberga esisteva un castello semisfasciato, uno di quei pollai assegnati agli internati come posto letto. Il tenente Olivero si appollaiava su una traversa orizzontale del secondo ripiano, tenendo una gamba penzoloni nel vuoto. Cuffia all’orecchio, con la sinistra sorvegliava i comandi della Caterina, con la destra scriveva ricevendo in italiano, tedesco, francese e inglese.
La gamba penzolante nel vuoto si alzava e si abbassava continuamente e questa era la “regolazione micrometrica del comando della reazione” in quanto, avvicinando e allontanando il piede dal pavimento di terra battuta preventivamente inumidito, variava la capacità d’antenna. Antenna che era rappresentata, a sua volta, dallo stesso corpo dell’operatore perché il tenente Olivero teneva fra i denti il filo che partiva dal “piede d’antenna”.
Nacque così Radio Caterina: con semplicità ed ingegno.
Può sembrare impossibile che un ricevitore così precario, con un auricolare di latta e alimentato da pile evanescenti, riuscisse a captare segnali deboli e lontani, nel marasma dei disturbi potenti e vicini irradiati dai nazisti per impedire l'ascolto della radio straniere. Il segreto stava nell'elevatissima sensibilità del circuito, sempre tenuto in condizioni prossime all'innesco regolando pazientemente e con precisione la reazione variando la distanza del piede dal terreno.
Questo avveniva mentre gli altri prigionieri dormivano: nessuno non si accorse mai di nulla. Le notizie erano lette al mattino dai tenenti Capolozza e Pisani, che per più di dodici mesi hanno rischiato tutti i giorni la vita. Una traduzione in inglese raggiungeva anche altri lager e la popolazione civile tedesca. Per tutti, questa era l'unica voce della verità.
Qualche volta la Caterina disse anche delle bugie: “Bonomi ha parlato di noi! Dice che in Italia si sa che alcune migliaia d’ufficiali hanno rifiutato ogni forma di collaborazione col tedesco e con la repubblica, anche quella semplice del lavoro agricolo, preferendo la fame e i maltrattamenti del Lager! ”. Ed era come se nel deserto di sabbia fosse zampillata improvvisamente una sorgente di acqua fresca e le gole bruciate si dissetavano.Ma Bonomi non aveva detto niente.Era una pia invenzione del centro radio. Nessuno disse mai niente, nessuno lo seppe in Italia, e nessuno lo sa né lo vuol sapere.
L’unico riconoscimento venne dalla Francia che, pur avendo guardato gli italiani con occhio ostile per la “pugnalata alle spalle”, quando conobbero la realtà dei fatti, inviarono agli ufficiali italiani questo messaggio:
«Camarades Italiens Prisonniers, l’éxistence du Fascisme en Italie, son alliance avec le Nazisme allemand et les regrettables évènements du Juin 1940 on rendu l’entente difficile entre Français et Italiens au cours des années passées. «Nous Français avons cependant apprécié le courage dont le people italien a fait preuve en renversant Mussolini et en abbandonant l’Allemagne en pleine guerre. «Quant à vous, officiers qui avez refusé de reprendre les armes pour le compte de l’Allemagne malgré les avantages qui vous étaient offerts, vous avez montré par ces sacrifices, votre accord avec l’esprit de tous les mouvements de Résistance d’Europe. «La Résistance Française vous assure de sa sympatie et espère voir, après la signature de la paix, des rapports normaux s’établir entre nos deux pays».L’ho inserito perché è l’unico riconoscimento che ebbero coloro che, fino a quando rimasero nei Lager, sperarono che il loro sacrificio sarebbe valso a creare una pietra per la costruzione di un’Italia nuova. Poi al ritorno fu il caos e, caddero le speranze.
La Caterina era un miracolo. Era la vittoria dell’intelligenza contro la fame, il freddo, l’angoscia, la solitudine e il sopruso. Perché la Caterina funzionava meravigliosamente bene e riceveva tutte le più importanti emittenti europee. E solo attraverso la Caterina gli internati sapevano ciò che succedeva nel mondo.
La Caterina tracciava quel sottilissimo filo che legava migliaia di disperati al pilone della Speranza.
C’era chi si era disegnata un po’ a memoria una carta del teatro di guerra e, su di essa, l’avanzata delle truppe che dovevano venire a portarli fuori da quel reticolato.
E quando nei primi giorni d’aprile il cerchio si strinse attorno a loro, e la guerra si portò a ridosso del reticolato e sopra le loro teste sentirono fischiare i proiettili delle artiglierie, non fu una sorpresa. Fu il trionfo della Caterina.
Nessun commento:
Posta un commento