venerdì 4 marzo 2011

Evelino Mazzola, uno degli “schiavi di Hitler”

Quand'ero in prigionia qualcuno m'ha rubato il mio passato, la mia migliore età.




Domani mi alzerò e chiuderò la porta sulla stagione morta e mi incamminerò.



 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Faceva parte dei 600.000 soldati italiani noti tristemente come gli schiavi di Hitler. Sono coloro che, dopo l'8 settembre del 1943, furono deportati in Germania e messi ai lavori forzati per contribuire alla produzione bellica nazista. Classe 1919, Evelino Mazzola era originario di Curtatone, in provincia di Mantova, ma lissonese dall’età di dieci anni.


Falegname prima e operaio dell'Incisa poi, Evelino Mazzola ha vissuto la guerra dal primo all'ultimo giorno. Faceva parte, infatti, delle truppe avviate al confine con la Francia (al Colle della Maddalena) dopo la dichiarazione di guerra del 10 giugno 1940.

Nonno Evelino (così era simpaticamente chiamato dai tanti che lo conoscevano), ci aveva raccontato: «Una guerra, quella con la Francia, che è durata solo quindici giorni, ma che ha provocato tanti morti. Io fortunatamente non ero tra quelli. Sono quindi rientrato in Italia e destinato al 120o battaglione artiglieria leggera motorizzata, a Padova; guidavo le jeep. Il 4 febbraio 1941 sono stato destinato a partecipare alla campagna di Russia».

Un viaggio terribile, in treno, fino all'Ucraina. E in inverno si toccano anche i 30 gradi sotto zero. «Devo la vita al mio fisico. Ero un ragazzo prestante. Molti miei commilitoni, invece non sono tornati, uccisi dal freddo ma anche dalla fame».

E' il febbraio del 1943 quando Evelino, insieme a pochi altri, viene circondato dai partigiani russi in un paesino, Paulgrest. Resiste strenuamente e riesce a salvarsi. Un gesto che gli vale appunto la Croce al merito. Riesce a sopravvivere durante la ritirata dalla Russia. Ma il peggio deve ancora arrivare.

Di lì a pochi mesi si troverà, infatti, a vivere in prima persona un altro degli eventi che hanno segnato le sorti dell'Italia in guerra. E' infatti l'inizio di luglio del 1943 quando viene destinato alla Sicilia. «Mi avevano mandato lì per un po' di riposo dopo la Russia. Ed invece nemmeno il tempo di arrivare e mi trovo reclutato dalla contraerea tedesca per respingere l'assalto degli Alleati. La mia batteria è stata distrutta, ma anche in quel caso mi sono salvato».

Attraversa lo stretto di Messina su un’imbarcazione di fortuna; dopo aver percorso centinaia di chilometri a piedi, mangiando frutta presa dagli orti, giunge a Caserta.

«Arriva l'8 settembre e il nostro comandante, che era un fascista, mi ha fatto prendere dai tedeschi. Sono stato fatto prigioniero il 13 settembre 1943 e portato in Polonia in un lager». Dopo quaranta terribili giorni, in cui lotta disperatamente contro la fame, avviene il trasferimento in Prussia Orientale, a Lodzen. Ed è qui che Evelino Mazzola entra a far parte della schiera dei cosiddetti “schiavi di Hitler”, lavorando per la produzione bellica tedesca.


«Pesavo 62 chili e sono arrivato a pesarne anche 48. Tutti i giorni molti miei compagni morivano di fame e stenti. Poi, finalmente, nel febbraio del 1945 sono arrivati i Russi a liberarmi». Dovranno, però, passare altri otto mesi (tanto è durata l'attesa prima che fosse completato il ripristino delle linee ferroviarie) prima che Evelino possa rientrare a Lissone.

Si riteneva fortunato: parecchie volte aveva visto morire tanti suoi compagni in Russia e nel lager nazista.

Quella di Evelino Mazzola è stata, per Lissone, una delle ultime testimonianze dirette dell'inferno della Seconda Guerra Mondiale e della tragedia delle deportazioni. In diversi incontri con gli studenti delle scuole della nostra città aveva raccontato le sue terribili vicissitudini. In modo semplice, ricostruendo i fatti con grande lucidità, con una ricchezza di particolari dovuti alla sua sorprendente memoria, sapeva attrarre l’attenzione dei giovani che esortava a studiare la storia per comprendere quanto sia importante vivere liberi e in pace, in un paese democratico e non sotto un regime dittatoriale.

Aveva la tessera onoraria dell’ANPI e nel 2006 era stato insignito del titolo di Cavaliere della Repubblica dal Capo dello Stato, Giorgio Napolitano.

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