La Giornata della Memoria è caduta, come sempre, il 27 gennaio scorso. Una data stabilita per legge. Ma la memoria non può essere identificata con una sola data (anche se il 27 gennaio è la data in cui gli alleati liberarono e aprirono agli occhi del mondo il campo di concentramento di Auschwitz). Perciò pubblico oggi una poesia di Nelly Sachs, forse la poetessa che più di altri ha saputo parlare dello sterminio degli ebrei, dei campi di concentramento, dei forni crematori, anche se non è stata ospite in nessuno dei campi allestiti dai nazisti. Lei è riuscita a riparare in Svezia (nel 1940), dove poi è sempre vissuta, facendo la traduttrice.
Nata a Berlino nel 1891, è morta a Stoccolma nel 1970. Ha scritto alcuni libri di poesie che sono tra le più drammatiche testimonianze dell'Olocausto. Ma anche dell'esilio, della condizione dell'ebreo errante. Ho scelto questa poesia di Nelly Sachs, Coro dei superstiti, perché è bella e famosa, ed è sul piano testimoniale molto intensa. Lei è stata insignita del Premio Nobel nel 1966. Quindi la lettura di questo testo - a mio parere - porta con sé un'amplificazione del suo significato che per un evento come il Giorno della Memoria è molto importante. La motivazione del Nobel diceva: "Per la sua lirica lirica notevole e la scrittura drammatica, che interpreta il destino di Israele con forza toccante". Quello che è singolare nella sua vita è che tutto ciò che aveva scritto prima dell'espatrio, abitando in Germania, lei lo ha rifiutato, disconosciuto. Come se fosse nata alla scrittura soltanto quando la realtà irreparabile del genocidio l'ha fatta diventare "vedente". E pur non avendo visto i lager nazisti (se non dopo), ha interpretato la grande disperazione, la grande tragedia, come forse nessun altro. Tra le altre cose ha scritto i poemi drammatici Segni sulla sabbia (Zeichen im Sand, 1962), Incantesimo (Verzauberung, 1970). inoltre, le seguenti raccolte di liriche: Nelle dimore della morte (In den Wohnungen des Todes, 1947), Fuga e trasformazione (Flucht und Verwandlung, 1959), Al di là della polvere (Fahrt ins Staublose, 1961), Alla ricerca dei viventi (Suche nach Lebenden, 1971). Gli uni e le altre vivono una lingua di grande intensità metaforica, che parlano della storia e delle vicissitudini del popolo ebraico nel passato e nel presente.
Coro dei superstiti
Noi superstiti
dalle nostre ossa la morte ha già intagliato i suoi flauti,
sui nostri tendini ha già passato il suo archetto.
I nostri corpi ancora si lamentano
col loro canto mozzato.
Noi superstiti
davanti a noi, nell'aria azzurra,
pendono ancora i lacci attorti per i nostri colli -
le clessidre si riempiono ancora con il nostro sangue.
Noi superstiti,
ancora divorati dai vermi dell'angoscia -
la nostra stella è sepolta nella polvere.
Noi superstiti
vi preghiamo:
mostrateci lentamente il vostro sole.
Guidateci piano di stella in stella.
Fateci di nuovo imparare la vita.
Altrimenti il canto di un uccello,
il secchio che si colma alla fontana
potrebbero far prorompere il dolore
a stento sigillato
- farci schiumare via -
Vi preghiamo:
non mostrateci ancora un cane che morde
potrebbe darsi, potrebbe darsi
che ci disfiamo in polvere
davanti ai vostri occhi.
Ma cosa tiene unita la nostra trama?
Noi, ormai senza respiro,
la nostra anima è volata a lui dalla mezzanotte
molto prima che il nostro corpo si salvasse
nell'arca dell'istante -
Noi superstiti,
stringiamo la vostra mano,
riconosciamo i vostri occhi -
ma solo l'addio ci tiene ancora uniti,
l'addio nella polvere
ci tiene uniti a voi -
Nelly Sachs
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