sabato 3 dicembre 2011

Sigmund Freud, padre della psicanalisi: la persecuzione nazista


Quando Hitler salì al potere in Germania, nel 1933, le peggiori paure di Sigmund Freud, sulle forze oscure dell’inconscio si avverarono: era il trionfo della psicosi su larga scala. Il nome di Freud fu uno dei primi ad entrare nella lista nera dei nomi da censurare. Egli commentò: “Che progressi che stiamo facendo! Nel Medioevo mi avrebbero messo al rogo, ora si accontentano di bruciare i miei libri”.

Tra i libri al bando, vi era anche un suo saggio scritto nel 1930 “Il disagio della civiltà”, che affrontava il conflitto psichico tra cultura e barbarie.
“Freud divenne sempre più pessimista. Tutto ciò in cui aveva creduto si stava sgretolando, aveva sperato nella capacità della civiltà civile di arrestare gli impulsi distruttivi, ma ora si trovava davanti al crescente potere di un partito che minacciava di distruggere il mondo” (Dottor Joe Aguayo, psicologo).

Nonostante l’incombente minaccia del nazismo, Freud trascorse le sue vacanze estive nella campagna austriaca, passava il tempo a leggere, a giocare con i suoi cani, e a cogliere fiori. Il 14 settembre 1936, i coniugi Freud festeggiarono le nozze d’oro, a ottant’anni Freud era il patriarca di una numerosa famiglia.
“Eravamo tutti molto legati a lui, e soprattutto dipendevamo da lui. Era lui a provvedere a noi, sotto tutti gli aspetti, sia finanziariamente che psicologicamente. Era un punto di riferimento per l’intera famiglia. ” (Walter Freud, nipote)
Il 13 marzo 1938, la Germania completò l’annessione dell’Austria, e Hitler marciò su Vienna, ma Freud rifiutava di lasciare la sua casa.
“Pensava che avrebbe potuto continuare a vivere a Vienna, e che tutto si sarebbe aggiustato. Aveva molti amici in posizione di potere, e per questo si sentiva molto tutelato. Era indubbiamente l’ebreo più protetto di tutta l’Austria. Questo, è sicuro.” (Walter Freud, nipote)
Fu grazie alle sue conoscenze che Freud riuscì a salvarsi: il 14 marzo del 1938, i nazisti irruppero nel suo studio, e per evitare l’arresto, dovette pagare un’ingente somma di denaro. La settimana dopo, i tedeschi arrestarono Anna Freud, che trascorse una giornata nel quartier generale della Gestapo. Alcuni diplomatici americani a Vienna, trasmisero il seguente messaggio alla Casa Bianca: “Nonostante l’età e la malattia, Freud è in pericolo.”. Alla fine, Freud acconsentì a lasciare il Paese.
“Non voleva abbandonare la sua casa, ma dopo molte resistenze, per fortuna, si lasciò convincere. E’ probabile che l’arresto di Anna da parte della Gestapo lo convinse, finalmente, ad emigrare con la famiglia.” (Sophie Freud, nipote di Sigmund Freud)







 
 
Il 5 giugno 1938, Freud, Martha ed Anna lasciarono Vienna e si trasferirono a Londra. I giornali viennesi, nel commentare la sua partenza, diffamarono il suo lavoro, definendolo “materiale pornografico, tipico di un ebreo”. Le sue quattro sorelle non ebbero il permesso di lasciare Vienna, e morirono nei campi di concentramento.
 
 
 
 
 
 
Poco prima della partenza, il fotografo Engelmann realizzò un reportage nello studio di Freud.
“Ricordo ancora il terrore sulla sua faccia, era così vulnerabile, 

così spaventato, così timoroso. Ad un certo punto, gli ho chiesto di togliersi gli occhiali, e mi ha fatto un vago sorriso. Si è trattato proprio di un piccolo accenno, ma d’altra parte, erano pochi, in quei giorni, a sorridere. Mi fermai da loro quasi una settimana, ero diventato parte della famiglia.


Freud mi portava in giro e mi mostrava le foto dei suoi familiari. La figlia Anna, in particolare, era molto depressa, mi disse che vedeva nella gente lo sguardo triste di chi sta per abbandonare tutto, di chi si sta rassegnando.” (Edmund Engelmann, fotografo)



A Londra, nonostante la calda accoglienza, Freud si sentiva in esilio. Inoltre, il tumore lo aveva di nuovo aggredito, e nell’inverno del 1938 dovette sottoporsi a due nuove operazioni.
Le sue teorie sui sogni, la sessualità e l’inconscio, erano ormai penetrate nella cultura occidentale, eppure Freud si sentiva insoddisfatto, la psicanalisi era oggetto di critiche, e molti non la giudicavano una vera scienza.
“Si sentiva il padre ed il fondatore di una nuova, grande, scienza. Provava una profonda amarezza a dover continuare a lottare, anche da vecchio, per vedere affermate le sue idee. Ciò fu per lui fonte di grande frustrazione e sofferenza, ” (Sophie Freud, nipote di Sigmund Freud)


Seppure vecchio e malato, Freud continuò fino alla fine della sua vita a visitare pazienti, fra questi il famoso pittore Salvador Dalì, che fece anche uno splendido ritratto dello psicanalista.


Il 6 maggio del 1939, Freud festeggiò i suoi ottantatre anni, con il sigaro in mano. A metà giugno, il tumore era diventato inarrestabile: anni prima, Freud aveva fatto promettere alla figlia Anna che, quando sarebbe arrivata la sua ora, avrebbe evitato ogni forma di accanimento terapeutico. Il 23 settembre 1939, Freud comunicò che era giunto il suo momento, la notte stessa morì per una dose letale di morfina.
“Il medico lo aiutò a morire serenamente, e questo fu per lui una liberazione. Non c’era più niente da fare.” (Walter Freud, nipote)


Le ceneri di Freud sono conservate in un vaso etrusco. Egli si considerava un archeologo della mente, in grado di scavare nell’inconscio, per portare alla luce i segreti più nascosti, come scrisse Thomas Mann: “Se mai alcuna impresa della nostra specie umana rimarrà indimenticabile, questa sarà proprio l’impresa di Sigmund Freud.”

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