venerdì 9 dicembre 2011

Dobratsch, la montagna di Villach proibita agli ebrei


Leopold Fischbach da giovane era un appassionato alpinista di Villaco. Spesso saliva sul Dobratsch, la montagna di casa, quella che tutti noi conosciamo, perché è la prima che ci appare quando entriamo in Austria da Tarvisio (ai suoi piedi si trova la prima area di servizio autostradale). Ma gli era impedito l’ingresso alla “Ludwig Walter Haus”, il rifugio dell’Alpenverein di Villach, situato poco sotto la vetta. “Ero salito alcune volte sul Dobratsch con mio fratello o con un piccolo gruppo di amici – ha raccontato Fischbach, fuggito dopo l’Anschluss nazista negli Usa – ma ogni volta, quando saremmo voluti entrare nel rifugio per bere o mangiare qualcosa, non potevamo farlo, perché alla porta c’era un cartello sui cui stava scritto ‘Ai cani e agli ebrei è vietato l’ingresso’”.


Questo dunque era il clima nell’Austria del secolo scorso, ben prima dell’annessione al Reich nazista. L’episodio di cui fu testimone Leopold Fischbach risale al 1920, 18 anni prima dell’Anschluss. Il 1920 è l’anno del referendum che assegnò definitivamente all’Austria la Carinzia meridionale, rivendicata allora dal neonato Regno di Jugoslavia, ed è anche l’anno in cui in Germania il Partito dei lavoratori tedeschi cambia nome e sceglie quello di Partito “nazionalsocialista” dei lavoratori tedeschi.

Il nazismo, dunque, è agli albori, ma l’antisemitismo in Austria è già profondamente radicato. Né c’è molto da stupirsi con un Partito cristiano sociale fortemente antisemita, con il Kartellverband (l’associazione degli studenti cattolici) che nelle sue pubblicazioni insulta sistematicamente gli ebrei accusandoli di “deicidio”, con il Partito socialdemocratico che non è antisemita, ma che considera comunque gli ebrei parte della classe padrona da combattere. È in questo contesto che l’Alpenverein di Villach, nel 1920, con 53 voti contro 6, decide di introdurre nel suo statuto il cosiddetto “Arierparagraph”, vale a dire quelle disposizioni razziste e antisemite maturate nel movimento nazionalista pantedesco alla fine del 19. secolo e propagandate nell’impero absburgico dal teorico dell’antisemitismo Georg von Schönerer. L’”Arierparagraph” si traduce in pratica nell’esclusione dall’Alpenverein e dai suoi rifugi di persone ebree o di sangue misto o di colore, o sposate con ebree e così via. Ai gestori dei rifugi viene minacciata la risoluzione immediata del contratto, “se verrà da loro concessa ospitalità anche a un solo ebreo”.

È un capitolo buio questo nella storia dell’Alpenverein ed è un capitolo che è stato sempre rimosso, per vergogna o per incapacità degli austriaci di fare i conti con il proprio passato. Almeno fino a ieri. Ma i tempi cambiano e ora il Club alpino di Villach ha deciso di far luce sulla propria storia, su tutta la propria storia, affidandone l’incarico a Werner Koroschitz, che è uno storico di professione. Sono venuti alla luce, così, documenti e testimonianze che illuminano quegli anni drammatici della prima metà del ‘900, che avrebbero poi spianato la strada all’Olocausto.

I risultati delle ricerche, che hanno comportato anche interviste a sopravvissuti alle persecuzioni naziste sparsi per il mondo, sono stati resi pubblici con una manifestazione proprio sul Dobratsch. Lungo la strada che sale alla cima l’artista Wolfram Kastner ha allestito una “via dei nomi”, una installazione costituita da tabelle simili a quelle stradali, con i nomi di 56 famiglie che prima della guerra e dello sterminio nazista erano vissute a Villach. Nella “Judenhütte” Ernst Logar ha allestito una mostra, con pannelli con le testimonianze da lui raccolte da quegli ebrei che dopo il 1920 non avevano più potuto mettere piede nel rifugio dell’Alpenverein sul Dobratsch. Sulla parete del rifugio in vetta è stata scoperta una targa con la scritta: “In ricordo di quei concittadini ebrei cui tra il 1921 e il 1945 fu impedito l’ingresso”. Il tutto è stato accompagnato al pianoforte da Paul Gulda, che ha tenuto un concerto all’aperto.

Alcune centinaia i partecipanti all’evento, tra cui tre ebrei di Villach sopravvissuti all’Olocausto.

Mancava Leopold Fischbach. Sarebbe voluto tornare sulla sua montagna, ora non più proibita agli ebrei come lui, ma non ne ha avuto la possibilità. La morte lo ha colto prima nella sua nuova patria, in Florida.

Nella foto, il cartello dell’Alpenverein di Villach esposto negli anni ‘20 alla porta del rifugio sul Dobratsch. La versione originale proibiva l’ingresso “a cani e a ebrei”, ma la sede centrale dell’associazione alpinistica la bocciò. Fu così sostituita con una versione addolcita, quella che si legge nella foto: “Ebrei e membri del club Danauland qui non sono desiderati”. Parole meno brutali per ottenere lo stesso risultato. Il Donauland, cui si fa riferimento, è l’associazione alpinistica parallela all’Alpenverein, costituitasi a Vienna per accogliere tutti gli appassionati di montagna ebrei che erano stati espulsi dalle varie sezioni dell’Alpenverein.

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