Giuliana, Marisa e Gabriella Cardosi sono le figlie di Clara Pirani Cardosi, ebrea italiana deportata e deceduta ad Auschwitz. Sono le testimoni del destino tragico e beffardo che portò la loro madre nell'inferno del campo di sterminio.
Nel libro "La giustizia negata" (Arterigere Edizioni) raccontano con lucidità e rigore storico la tragedia che investì la loro giovinezza. Clara Pirani venne allontanata dall'insegnamento, perche' ebrea. Fu arrestata nel maggio 1944 , trasferita prima in carcere e poi al campo di Fossoli e da lì ad Auschwitz , dove «la mamma fu assegnata nella fila di quelli che non furono mai piu' rivisti».
Un dolore che le tre sorelle Cardosi si portano dietro per molti anni. Clara Pirani era ebrea sposata ad un gentile, preside di un liceo statale, un matrimonio misto. Un particolare importante questo, perché durante il regime fascista e con le leggi razziali in vigore avrebbe dovuto salvargli la vita. Invece non fu così. Inutili e vani i tentativi del marito al cospetto delle autorità fasciste di far valere quella particolare condizione. Lo zelo di questori, impiegatucoli e ragionieri dell'ipocrisia condannano a morte Clara Pirani.
La morte di una donna, di una madre e di una moglie in un campo di sterminio, però, non bastano. L'ingiustizia nei confronti di Clara Pirani continua il suo corso beffardo nell'Italia pacificata: nelle aule di tribunale non si riconosce la piena responsabilità della Repubblica sociale italiana nello sterminio degli ebrei, ma per quell'insegnante di Gallarate c'è anche la negazione dei diritti acquisiti. Clara Pirani era un'insegnante che aveva lavorato per molti anni, ma la burocrazia statale non le riconosce alcun diritto alla pensione di reversibilità «perché mancavano 7 mesi e 23 giorni al compimento del decennio prescritto».
Nella premessa al libro, Giuliana Cardosi dice: «Se durante la persecuzione razziale noi avevamo confidato nello Stato, illudendoci che le leggi in vigore ci proteggessero e tale errore aveva causato la nostra tragedia, ora, di nuovo sentivamo venir meno in noi la fiducia nelle nascenti istituzioni».
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