domenica 17 giugno 2012

Pravda


(22 marzo 2012). In occasione del 70esimo anniversario della deportazione degli ebrei slovacchi, il quotidiano Pravda, sul suo numero di giovedì, ha pubblicato un circostanziato articolo riguardante l'oscuro periodo del governo filo-nazista che si rese responsabile dello sterminio di decine di migliaia di ebrei slovacchi nei campi di concentramento tedeschi.

Pravda si sofferma soprattutto sul ruolo attivo ricoperto dalla chiesa cattolica, la quale, nonostante abbia espresso già in passato orrore e rammarico per la sorte degli ebrei slovacchi deportati, non ha mai ammesso pubblicamente ed in via ufficiale la responsabilità diretta di alcuni degli esponenti di punta del clero slovacco nel massacro.

Basta aprire un libro di storia per sapere che dal 1939 al 1945 la Repubblica Slovacca, proclamatasi indipendente, fu guidata dal prete cattolico Jozef Tiso con l'arcivescovo Jan Vojtasak nella carica di vice-presidente.

Tiso aveva ricevuto l'incarico di governare direttamente da Hitler, che voleva utilizzare i territori slovacchi come avamposto del Reich per condurre l'invasione della Polonia.

Nel 1941 il Partito Popolare Slovacco, di cui Tiso era Presidente, dotò il paese di leggi razziali, ispirate alle famigerate Leggi di Norimberga, con cui si obbligavano gli ebrei slovacchi a portare segni di riconoscimento e si impediva loro di partecipare pienamente alla vita politica ed economica del Paese.

Infine, sempre guidata dal governo conservatore nazionalista e religioso di Tiso che godeva di ampio appoggio nella devota popolazione slovacca dell'epoca, la Repubblica chiese formalmente alla Germania di farsi carico dell'eliminazione fisica degli ebrei presenti nel Paese.

Addirittura la Slovacchia accettò di pagare un tributo al Fürer per ogni ebreo deportato in cambio della garanzia che questi non avrebbero mai più fatto ritorno sul territorio nazionale.

Inizialmente l'accordo prevedeva la deportazione di 20,000 ebrei "giovani e forti" da destinare ai campi di lavoro (principalmente Auschwitz) ma con l'adozione della cosiddetta "soluzione finale" i tedeschi decisero di forzare la mano deportando in pratica tutti gli ebrei slovacchi: si trattò di circa 70,000 persone di cui almeno 65,000 trovarono la morte nei campi di sterminio.

Contrariamente a quanto fatto dalle autorità ecclesiastiche di altri paesi, gli arcivescovi slovacchi si sono sempre rifiutati di ammettere una responsabilità diretta nell'Olocausto; la posizione ufficiale delle autorità ecclesiastiche di Bratislava, ribadita anche in questa occasione, è che la voce di molti esponenti del clero slovacco che chiedevano la pace ed il rispetto dei diritti umani fu ignorata e calpestata.

Jaroslav Frànek, portavoce dell'Associazione delle Comunità Religiose Ebraiche, ha speso parole di conciliazione per commentare le dichiarazioni degli arcivescovi slovacchi, affermando di ritenerle quantomeno un primo passo verso l'apertura di un dialogo.

Frànek ha tuttavia sottolineato come lo stesso Vaticano abbia accettato di farsi carico delle responsabilità morali e materiali della Chiesa nell'Olocausto, mentre nel caso della Slovacchia questo non sia ancora esplicitamente avvenuto.

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