domenica 17 giugno 2012

La Lista albanese

A New York, una mostra sui musulmani che salvarono gli ebrei negli anni Quaranta


(11 Gennaio 2011). È una storia poco conosciuta, di compassione, fede e coraggio, quella che raccontano le foto in bianco e nero dell’ebreo americano settantottenne Norman H. Gershman visibili alla Soho Photo Gallery, di New York fino al 29 gennaio. La mostra si intitola Besa. Muslims who saved Jewish during the World War II, letteralmente, “Besa, musulmani che salvarono gli ebrei durante la seconda guerra mondiale”. Besa è una parola albanese che definisce un codice d’onore praticato dai musulmani dei Balcani da secoli che ha le sue radici nel Corano: secondo questa norma, i bisogni del forestiero sono sopra ogni altra istanza per la famiglia islamica.


L'ACCOGLIENZA DEI RIFUGIATI. Così, quando all’inizio degli anni Quaranta le truppe di Hitler iniziarono a invadere i Balcani, gli ebrei rifugiati in Albania furono accolti come ospiti da interi villaggi. Ai rifugiati furono dati nomi e vestiti islamici, e persino passaporti, in un’azione corale e totalmente spontanea. Gershman ha ascoltato questa storia poco conosciuta per la prima volta nel 2002 da un membro del museo della memoria di Gerusalemme Yad Vashem e ha deciso di partire. A Tirana ha parlato con i membri dell’Albanian-Israeli Friendship Society, girovagando per il Paese con un interprete e un autista in cerca di chi aveva dato ospitalità agli ebrei. In qualche caso, è riuscito a incontrare gli stessi anziani; in altri ha parlato con i loro figli, fotografandoli con in mano i ricordi del tempo. Alla domanda perché avessero fatto tutto ciò per i rifugiati la risposta è stata sempre più o meno la stessa: «Per guadagnarci il paradiso».
 
 
Ebrei e musulmani, una solidarietà da testimoniare. Gershman, che ha lasciato la sua casa in Colorado per girare mezzo mondo come fotografo, ha trovato in Albania la storia che più l’ha emozionato ed è tornato varie volte nel piccolo Paese dal 2002 al 2006. «Non sono foto perfette ma ciò che è importante è che le persone immortalate possano riconoscersi», ha detto Gershman. «I sentimenti d’amore, orgoglio e speranza fioriscono in modo intimo e delicato dalla carta degli scatti che, spesso, non fanno altro che immortalare mani che mostrano un’altra foto: quella degli ebrei salvati.



UNA MOSTRA ITINERANTE. La mostra è stata allestita ben 75 volte, anche nella sede delle Nazioni Unite e a fine gennaio varcherà l’Atlantico per approdare nelle sale della House of Commons di Londra. «La paranoia che circola nel mio Paese circa i musulmani è assolutamente folle», dice Gershman. Queste fotografie mostrano una realtà molto diversa e si inseriscono appieno nel progetto del fotografo americano: The Eye Contact Foundation, ente che promuove la tolleranza tra i popoli, le loro religioni e le loro culture attraverso la fotografia, strumento capace di parlare ai nostri occhi senza mediazioni e pregiudizi.

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