sabato 7 aprile 2012

Lotte Dann Treves

Una giovane donna di 99 anni. Sembra un ossimoro, invece è l’impressione che si ha quando si conosce Lotte Dann Treves. Una donna dolce ed energica, con una vitalità eccezionale, che racconta la sua vita con grande serenità anche se, sicuramente ha dovuto superare molte prove difficili.

Lotte nasce in Germania, a Augsburg (Baviera) il 23 dicembre 1912, in una famiglia ebraica colta, benestante e ben inserita nella comunità locale. Quando Lotte parla della sua famiglia si resta impressionati dalla serenità e dalla compostezza dei suoi ricordi: emerge un quadro edificante di una famiglia in cui sono solidi affetti e valori, intrinsecamente legati. Lotte è la più piccola di cinque figlie, è una bimba intelligente e curiosa e, quando inizierà la scuola, la mamma le raccomanderà di non mettersi in mostra, perché non dicano di lei “quella piccola ebrea è petulante e si mette in mostra”. Ricorda ancora Lotte: Questo obbligo di comportarsi sempre e ovunque in maniera esemplare per non giustificare l’antisemitismo ci veniva dunque inculcato fin dall’infanzia, il che dimostra - qualora ce ne fosse bisogno - che Hitler non ha inventato granché, ha solo elevato l’antisemitismo a dottrina e sistema.



La famiglia Dann appartiene alla borghesia ebraica tedesca laica ed illuminata, perfettamente inserita nel tessuto sociale cui appartiene: il papà riveste incarichi di prestigio all’interno della Comunità, ma anche nella municipalità e le figlie ricevono un’educazione severa ma che promuove la loro indipendenza. Potranno comprendere appieno l’importanza di tale formazione durante le persecuzioni e la guerra, quando dovranno cercare di sopravvivere facendo anche lavori molto umili, che affronteranno con dignità e senza mai scoraggiarsi.

Ciò che più impressiona, parlando con Lotte, è la mancanza di rancore e di recriminazioni: ci tiene a sottolineare che la sua famiglia è stata “fortunata”, infatti sono tutti sopravvissuti alla guerra, ma soprattutto ama ricordare non tanto le angherie subite quanto le attestazioni di amicizia e solidarietà ricevute da amici che non hanno mai smesso di essere tali, neppure nei momenti più bui dell’oppressione nazista.

Lotte inizia gli studi di medicina nel 1932 a Monaco, ma l’anno seguente, con l’avvento del nazismo, dovrà lasciare la Germania e proseguire gli studi a Torino. Dopo non poche difficoltà riesce ad inserirsi all’Università e a farsi stimare da compagni e docenti; ma con l’evolversi dei fatti storici (la guerra d’Etiopia, le conseguenti sanzioni contro l’Italia) le sue possibilità di carriera dopo la laurea divengono sempre più tenui: pur essendo stata invitata dal prof. Levi ad entrare come allieva interna nel suo istituto, dovrà rinunciare in quanto studentessa straniera.

Il prof. Levi continuerà ad essere un punto di riferimento per lei anche quando entrambi, in luoghi diversi, saranno lontani dall’Italia.

I contatti con i genitori, rimasti ad Augsburg, diventano sempre più difficili; l’invio di denaro e pacchi dalla Germania viene ostacolato sempre più e deve lavorare come traduttrice e come insegnante di tedesco per mantenersi agli studi.

Si laurea nel luglio del ’38, ma la situazione presto precipita per l’avvento delle Leggi razziali e deve rinunciare ad un posto come ricercatrice all’Istituto di Neuro-Istologia di Genova. Cerca di andare in America ma la burocrazia le impedisce di ricevere il visto di ingresso.


Lotte andrà un’ultima volta ad Augsburg nell’estate del ’38, in modo semiclandestino: neanche i suoi amici devono sapere che lei è lì. Cerca di convincere i genitori e due sorelle (una era morta giovinetta ed una era emigrata in Palestina) a lasciare la Germania, ma padre e madre non se la sentono e le figlie non li vogliono lasciare. La notte del 9 novembre (Kristallnacht) il padre viene avvertito telefonicamente che la sinagoga sta andando a fuoco e, mentre si sta recando sul posto per vedere di persona, viene arrestato. La sinagoga non sarà completamente bruciata grazie al fatto che era situata vicino ad un deposito di carburanti e l’incendio venne subito spento per ragioni di sicurezza. Il padre verrà rilasciato dopo un breve periodo, avendo lui promesso di espatriare. A quel punto la famiglia capisce che deve fuggire. Le sorelle partono per Londra, Lotte torna in Italia in attesa dell’affidavit di una zia che permetta anche a lei di andare a Londra. I genitori decidono di andare in Palestina dalla figlia Elisabeth. Lotte li incontrerà ancora alla stazione di Milano nella primavera del ’39 e li accompagnerà ad imbarcarsi a Trieste.

A Londra Lotte, che nel frattempo ha deciso di non intraprendere la carriera di medico per almeno due motivi (il turbamento che le causa l’altrui sofferenza e l’impossibilità di iscriversi all’albo dei medici in quanto straniera), con l’aiuto di alcuni parenti ottiene la possibilità di lavorare in un Istituto scientifico (la condizione posta dalle Autorità era che non fosse remunerata); in seguito verrà assunta al Strangeways Research Laboratory di Cambridge e lì lavorerà per cinque anni.

Dall’esperienza di laboratorio nascerà più tardi l’idea di un racconto per bambini che ha come protagonisti… dei topolini! Il libro è stato recentemente ripubblicato con i disegni originali (Lotte Dann Treves - Il giardino dei topolini - Fondazione Alberto Colonnetti).

Le sorelle invece, diplomate una come insegnante di scuola materna e l’altra come infermiera puericultrice, per mantenersi, dovettero lavorare come domestiche in parecchie case.
Durante il soggiorno nel Regno Unito, Lotte conosce Paolo Treves, che diventerà suo marito. Molto emozionante, per chi scrive, è il momento in cui, con nonchalance, ci racconta che Paolo era stato assunto alla BBC per la redazione italiana: praticamente “Radio Londra” era lui!

Altrettanto emozionante è stato sentire raccontare le vicende delle sorelle che, dopo un lungo periodo a servizio di famiglie o di anziane signore, vengono chiamate da Anna Freud per seguire bimbi profughi da Londra per via dei bombardamenti e quindi lontani dalle famiglie. Inizialmente, per lealtà verso i datori di lavoro, rinunciano all’incarico ma, ad una seconda chiamata accettano. Dopo la guerra seguiranno con affetto e competenza bimbi ebrei scampati dai campi di concentramento.

Finita la guerra Paolo e Lotte si trasferiscono a Roma, dove lui intraprenderà la carriera politica e dove nascerà il loro unico figlio, Claudio. Alla morte prematura di Paolo, avvenuta nel 1958, Lotte che nel frattempo ha rinunciato al suo lavoro di ricercatrice, affronta il mondo dell’editoria diventando un’apprezzata traduttrice di libri di carattere scientifico. Oggi vive a Roma col figlio e la sua famiglia.

1 commento:

  1. Le sarai grata se scrivesse che questo articolo è stato scritto da me Bruna Laudi e pubblicato sul bimestrale Ha Keilah: http://www.hakeillah.com/1_12_19.htm
    La ringrazio

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