sabato 7 aprile 2012

Mezzo secolo dopo spunta dal caveau la valigia dei deportati


LIVORNO. Quella vecchia valigia un po' logora l'hanno custodita nel caveau della filiale livornese della Banca Commerciale (ora Intesa San Paolo) per quasi mezzo secolo come fosse un tesoro: dentro però non c'erano né lingotti né dollari, era uno scrigno di piccole memorie familiari. Una treccia di capelli, qualche gioiello non troppo costosi, un po' di monili di valore sì ma affettivo. Apparteneva a una famiglia ebrea, scomparsa negli anni bui della guerra: non è chiaro se siano morti in Italia forse sotto un bombardamento oppure se la loro esistenza abbia avuto come capolinea la deportazione in uno dei lager dell'orrore nazista. Raccontano quel che una famiglia voleva tramandare di sé e reputava un bagaglio prezioso con il quale "viaggiare" lungo il corso dell'esistenza. E' il "tesoro" che la Comunità ebraica livornese metterà a disposizione del Museo della Shoah che sarà realizzato a Roma: con una delibera da parte della Comunità, il bagaglio e il suo contenuto è stato donato alla Fondazione della nuova istituzione museale capitolina. La valigia degli amarcord è un reperto unico nel suo genere. Ad altissimo valore simbolico, e con un posto speciale nell'immaginario di un popolo che in secoli di persecuzioni è stato costretto a imparare a fare la valigia in fretta e furia per sfuggire agli aguzzini. Non basta: a ciò si aggiunga che all'interno della valigia sono stati rinchiusi per poco meno di settant'anni le tracce del lessico familiare di una dinastia israelitica. Era stato Epifanio Altavilla, direttore della sede labronica della Banca Commerciale dal '93 al '97, a riuscire a consegnare la valigia alla Comunità ebraica: per un lunghissimo periodo durato vari decenni non era stato possibile per complessi problemi di ordine giuridico. Questo atto generoso, voluto dalla Comunità Ebraica di Livorno, è un incentivo per invogliare i livornesi ad aderire al progetto "Storia di famiglie" per la raccolta di materiali e documenti da destinare al museo romano. «Come Comunità - dice il presidente Samuel Zarrugh - è nostro dovere partecipare per arricchire questo luogo che avrà il grande compito di mantenere vivo il ricordo di un periodo storico tra i più terribili per l'umanità. E non lo dico guardando solo al passato né soltanto a noi ebrei: la minaccia dell'odio razziale è sempre dietro l'angolo anche oggi, si pensi a quel che è accaduto contro i rom a Torino o contro gli extracomunitari africani a Firenze». «Quando avremo aperto la valigia e ne avremo visionato il contenuto - dice Robert Hassan, promotore del progetto "Storia di famiglie" - parleremo con il direttore della banca e cercheremo di risalire all'identità di chi l'ha lasciata nascosta per così tanti anni». Il progetto per la raccolta di fotografie, lettere, documenti, pezzi di vita, racconti dell'Olocausto è stato lanciato all'inizio dell'anno grazie a una serie di spot tv trasmessi sulle reti Rai che invitavano gli italiani a portare il materiale di cui disponevano presso le Prefetture. Chi fosse intenzionato a collaborare può mettersi in contatto con la Fondazione Museo della Shoah tramite e-mail info@ al-e.it. «Ma questo messaggio a Livorno non è stato colto», sottolinea Hassan: «Non sono giunti materiali da parte dei livornesi, forse per il timore che questi documenti, così preziosi, andassero persi o perché, essendo ricordi di famiglia, nessuno vuole separarsene». Marcello Pezzetti, direttore scientifico della Fondazione Museo della Shoah, precisa che «spesso non c'è bisogno di esporre il documento originale, basta anche una semplice riproduzione. Ad esempio, nel caso delle fotografie, non possiamo utilizzare le originali che spesso sono troppo piccole, in questo caso facciamo una scansione e lasciamo la foto al familiare, in ogni caso niente va perduto».

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