sabato 7 aprile 2012

Viktor Emil Frankl: come sopravvissi all'orrore


VIKTOR EMIL FRANKL, nacque nel 1905 a Vienna da famiglia ebrea. Specializzato in neurologia e psicologia, fu in relazione epistolare con Sigmund Freud. È considerato il padre della logoterapia.
È morto a Vienna nel 1997. Ecco la foto di quando si trovò prigioniero nel campo di concentramento con un unico capitale: un numero, il 119.104.


La testimonianza di Frankl vola alta fin dalle prime pagine "...racconterò l'internato sconosciuto, non le sofferenze e la morte degli eroi, le "piccole vittime" e la "piccola morte" di massa nelle famigerate dependances dei lager maggiori.




Coricarsi su un fianco, nudi, per farsi caldo l'un l'altro. Lasciarsi andare alle cose quasi a vivere una vita altrui. Inventarsi immaginarie conferenze, fingersi relatore mentre si scava la fossa per un cadavere nel fango e sotto la pioggia. Guardare senza vedere e concedersi l'unico spazio che le SS non potevano penetrare: la fantasia, ovvero la libertà.



Coricarsi su un fianco, nudi, per farsi caldo l'un l'altro. Lasciarsi andare alle cose quasi a vivere una vita altrui. Inventarsi immaginarie conferenze, fingersi relatore mentre si scava la fossa per un cadavere nel fango e sotto la pioggia. Guardare senza vedere e concedersi l'unico spazio che le SS non potevano penetrare: la fantasia, che è poi la libertà.

Il prigioniero 119.104 le aveva provate sulla sua pelle queste esperienze. Dal lager uscì vivo nel 1945 grazie agli Alleati. Quel giorno il mondo gli apparve per quel che era, un ambiente poco ospitale abitato da due sole razze: gli uomini per bene e i poco di buono. Viktor Emil Frankl, psicologo austriaco padre della logoterapia, fu tra gli internati ad Aushwitz. Sopravvisse all'orrore ricordando il volto della moglie e fantasticando per evadere dall'orrore quotidiano. Quando decise di raccontare la sua esperienza, venne fuori un libro best-seller, "Uno psicologo nel lager". Frankl avrebbe voluto firmarlo con il suo numero 119.104 e tale rimase fino alla vigilia di andare in stampa quando gli amici lo dissuasero.

Il valore di quella testimonianza era altissimo e dentro c'era il nucleo di quella che sarebbe stata la sua teoria, la psicologia dell'altezza: l'uomo si salva solo con i valori di atteggiamento, ovvero come si pone di fronte alla morte, alla malattia, alla sofferenza, alla colpa.

Un racconto autobiografico che è in realtà un trattato di psicologia e un affresco sull'umanità. Leggerlo aiuta a comprendere il vero orrore della Shoah e permette di innalzare un inno alla dignità dell'Uomo. Fu dettato in 9 giorni con voce rotta da improvvise crisi di pianto e la memoria rivolta alla moglie alla quale si era appellato ogni giorno per far fronte alla ferocia delle SS, che non era la sola fonte di tragedia. C'era anche quella dei Kapòs, gli ebrei collaborazionisti che, illusi di salvarsi la pelle, erano complici delle gerarchie e arrivavano a vessazioni persino più crudeli.

La testimonianza vola alta fin dalle prime pagine con una dichiarazione di metodo: raccontare l'internato sconosciuto, non le sofferenze e la morte degli eroi. Le "piccole vittime" e la "piccola morte" di massa nelle famigerate dependaces dei lager maggiori.

"Lo dico senza orgoglio - scrive - fui solo un internato medio, un semplice numero, il 119.104". La cronaca
si fa acuta osservazione della psicopatologia della folla. Fotogramma dopo fotogramma Frankl descrive lo choc dell'arresto, l'arrivo, l'annichilimento della persona, la spogliazione di tutto, la totale rasatura del corpo dopo il massacrante viaggio ammucchiati sul vagone di un treno con destinazione sconosciuta e fischio sinistro, gli ordini acuti, rauchi, i Kapòs dall'aspetto apparentemente florido e roseo ad attendere la nuova merce. E poi la prima reazione di totale abbandono, il rito del bagno, la disinfezione. La consegna di ogni cosa, orologi, gioielli, gli ultimi ricordi trattenuti. Frankl scongiura due detenuti anziani di poter trattenere un manoscritto, l'opera scientifica di una vita. "Merda" gli rispondono con un ghigno. "Cancellai d'un tratto la vita trascorsa e presi familiarità con la mia nudità. Non avevo nient'altro che un corpo nudo".

Poi la sorpresa: il corpo si difende da solo. Pur nudi e bagnati, costretti ad attendere l'appello per ore nel piazzale, nessuno si ammala. Vitamine e spazzolino non ci sono, ma le gengive restano sane. I corpi sono lerci, ma non hanno piaghe. Chi soffriva d'insonnia dorme tra chi russa. La fragilità fisica e psichica non distrugge la vita spirituale: esseri umani ridotti a candela sopravvivevano meglio dei più robusti.

In pagine di inaudita commozione, Frankl svela che la degradazione non intacca l'anima dell'uomo: c'era chi entrava sereno nella camera a gas, pregando. Sopravvivere significava far appello alle risorse umane e morali. E allora comunica ai compagni di lager l'entusiasmo per la lotta. "Cercai di convincerli che serviva una fede incondizionata in un significato incondizionato della vita".

Frankl non tace la tentazione suicida, ma è proprio tra queste righe che compare il concetto di "libertà" che sarà alla base della sua psicologia. Nulla può piegare la mente e l'animo libero. Ogni uomo ha significato e qualsiasi vita anche la più reietta può trovare un senso, nonostante l'infinita nostalgia per i propri cari e il disgusto di ritrovarsi straccio vestito di stracci, costretto a lavorare tra gli escrementi. L'internato-psicologo osserva come il deportato, pur costretto a guardare le sevizie, non veda. Si muove tra moribondi e morti, ma non si commuove più. La difesa si chiama indifferenza: al compagno morto gli

si prendono gli zoccoli, un altro la patata che sta in tasca, un terzo si accontenta di uno spago. Le percosse si accettano perchè il dolore fisico fa meno male di quello spirituale.

Si sogna pane, torte, sigarette, un bagno caldo.

Tace invece l'istinto sessuale, benchè nudi di notte e coricati su un fianco per scaldarsi a vicenda. Non affiora nemmeno in sogno, semmai riemerge la nostalgia d'amore. La tortura più deprimente? "Non conoscere la fine". Sopravvisse chi aveva "un" fine, chi aveva speranza.

Frankl si attaccò ai dialoghi interiori con la moglie, allo spettacolo di un tramonto oltre il filo spinato. Quando alcuni compagni furono trasferiti a Dachau (nella gioia generale perchè lì non c'erano forni crematori e camere a gas), Frankl resta. Lo guardano con compassione: moriranno tutti di fame, tra episodi persino di cannibalismo. Le ultime pagine sono le più commoventi: Frankl afferma che non importa affatto cosa possiamo attenderci noi dalla vita, ma ciò che la vita attende da noi.

Anche nel dolore l'uomo deve avere consapevolezza di essere unico e originale, il dolore può essere trasformato in prestazione. Le ultime parole sono per i carcerieri: come fu possibile che uomini in carne e ossa eseguissero quegli ordini? Accanto ai sadici Frankl ci descrive i "sabotatori morali", cioè chi comprò una medicina o allungò un pezzo di pane. La psicologia si fa così antropologia e Frankl arriva a dire che c'è bontà umana in tutti gli uomini. "Restare umani pur essendo sentinella è una conquista personale e etica che non va sminuita". Perchè un uomo è libero e compiuto quando si sottrae al male e sceglie il Bene.

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