Nel 1922, le sue superiori suggeriscono un pellegrinaggio a Lourdes, dal quale torna serena e pronta ad accettare la fatica e la sofferenza della malattia, che nel giro di qualche mese la porta in fin di vita al punto che il 5 febbraio 1923 riceve il sacramento dell’estrema unzione.
Eppure qualcosa di straordinario sta per avvenire: il 25 febbraio, giorno della nona apparizione di Nostra Signora di Lourdes, suor Enrichetta beve un sorso dell’acqua di Lourdes e immediatamente è libera dai dolori e dalla paralisi.
Mentre le sue condizioni continuano a migliorare, le sue superiori la destinano al Carcere di San Vittore di Milano, per non incoraggiare l’espandersi delle manifestazioni di entusiasmo religioso suscitato dal prodigioso avvenimento.
Suor Enrichetta inizia il nuovo e difficile apostolato portando la luce della fede là dove sembrano vincere le tenebre del male: passa nelle celle, ascolta, consola, incoraggia le detenute, anche quando vengono trasferite o dimesse.
Verso la fine del 1939, suor Enrichetta è nominata Superiora della Comunità delle suore di San Vittore. Sono trascorsi ben sedici anni dal suo ingresso al Carcere.
Scoppiata la Guerra, anche San Vittore subisce la dominazione nazifascista e diviene una sorta di campo di concentramento per i detenuti politici, gli ebrei, i preti e i religiosi impegnati a collaborare con la Resistenza.
Suor Enrichetta e le suore della carità sono in prima linea a difendere le vittime, ad aiutarle, a soccorrerle e a sostenerle, scivolando nelle ore buie nei corridoi, entrando nelle celle e favorendo incontri. In particolare, suor Enrichetta riesce a portare ai carcerati soccorsi materiali e fa pervenire all’esterno, alle persone in pericolo, notizie carpite o per caso raccolte, perché in tempo fuggano, distruggano prove, provvedano a difendersi dalle spie. In questo modo molti hanno salva la vita.
Suor Enrichetta collabora anche all’opera del Cardinal Schuster tutta tesa a proteggere vite umane, attraverso la mediazione di son Giuseppe Bicchierai. La fitta trama di solidarietà tessuta in questi anni sembra improvvisamente spezzarsi: il 23 settembre 1944 viene intercettato un messaggio di una detenuta inviato tramite suor Enrichetta, portando lei e due collaboratrici all’arresto con l’accusa di spionaggio, con il rischio della condanna alla fucilazione o alla deportazione in Germania. Suor Enrichetta diventa la matricola n. 3209.
Dopo un periodo di isolamento vissuto nello stesso Carcere di San Vittore, è condannata al confino a Grumello del Monte (BG) presso un ricovero per minorati psichici, dove vive due mesi di esilio fin quando ottiene dal Comando tedesco di uscire dall’internamento e viene trasferita alla Casa provinciale di Brescia. Qui, in obbedienza alla Superiora Provinciale, scrive le “Memorie” del suo arresto e della sua prigionia: queste pagine conservano, nella loro essenzialità descrittiva, tutta la ricchezza e la passione della sua vicenda inserita in una tragedia umana molto più ampia.
Il 7 maggio 1945 suor Enrichetta può rientrare a San Vittore, ove riprende la sua missione di Suora della Carità tra i nuovi detenuti: i nemici di ieri.
Nel settembre del 1950, dopo una caduta in Piazza Duomo, iniziano una serie di problemi di saluti che la consumano poco a poco sino alla morte nel 23 novembre 1951.
Le sue spoglie, esposte nella camera ardente, sono oggetto di commoventi manifestazione di affetto; le detenute vogliono vedere ancora una volta l’Angelo di San Vittore.
Eppure qualcosa di straordinario sta per avvenire: il 25 febbraio, giorno della nona apparizione di Nostra Signora di Lourdes, suor Enrichetta beve un sorso dell’acqua di Lourdes e immediatamente è libera dai dolori e dalla paralisi.
Mentre le sue condizioni continuano a migliorare, le sue superiori la destinano al Carcere di San Vittore di Milano, per non incoraggiare l’espandersi delle manifestazioni di entusiasmo religioso suscitato dal prodigioso avvenimento.
Suor Enrichetta inizia il nuovo e difficile apostolato portando la luce della fede là dove sembrano vincere le tenebre del male: passa nelle celle, ascolta, consola, incoraggia le detenute, anche quando vengono trasferite o dimesse.
Verso la fine del 1939, suor Enrichetta è nominata Superiora della Comunità delle suore di San Vittore. Sono trascorsi ben sedici anni dal suo ingresso al Carcere.
Scoppiata la Guerra, anche San Vittore subisce la dominazione nazifascista e diviene una sorta di campo di concentramento per i detenuti politici, gli ebrei, i preti e i religiosi impegnati a collaborare con la Resistenza.
Suor Enrichetta e le suore della carità sono in prima linea a difendere le vittime, ad aiutarle, a soccorrerle e a sostenerle, scivolando nelle ore buie nei corridoi, entrando nelle celle e favorendo incontri. In particolare, suor Enrichetta riesce a portare ai carcerati soccorsi materiali e fa pervenire all’esterno, alle persone in pericolo, notizie carpite o per caso raccolte, perché in tempo fuggano, distruggano prove, provvedano a difendersi dalle spie. In questo modo molti hanno salva la vita.
Suor Enrichetta collabora anche all’opera del Cardinal Schuster tutta tesa a proteggere vite umane, attraverso la mediazione di son Giuseppe Bicchierai. La fitta trama di solidarietà tessuta in questi anni sembra improvvisamente spezzarsi: il 23 settembre 1944 viene intercettato un messaggio di una detenuta inviato tramite suor Enrichetta, portando lei e due collaboratrici all’arresto con l’accusa di spionaggio, con il rischio della condanna alla fucilazione o alla deportazione in Germania. Suor Enrichetta diventa la matricola n. 3209.
Dopo un periodo di isolamento vissuto nello stesso Carcere di San Vittore, è condannata al confino a Grumello del Monte (BG) presso un ricovero per minorati psichici, dove vive due mesi di esilio fin quando ottiene dal Comando tedesco di uscire dall’internamento e viene trasferita alla Casa provinciale di Brescia. Qui, in obbedienza alla Superiora Provinciale, scrive le “Memorie” del suo arresto e della sua prigionia: queste pagine conservano, nella loro essenzialità descrittiva, tutta la ricchezza e la passione della sua vicenda inserita in una tragedia umana molto più ampia.
Il 7 maggio 1945 suor Enrichetta può rientrare a San Vittore, ove riprende la sua missione di Suora della Carità tra i nuovi detenuti: i nemici di ieri.
Nel settembre del 1950, dopo una caduta in Piazza Duomo, iniziano una serie di problemi di saluti che la consumano poco a poco sino alla morte nel 23 novembre 1951.
Le sue spoglie, esposte nella camera ardente, sono oggetto di commoventi manifestazione di affetto; le detenute vogliono vedere ancora una volta l’Angelo di San Vittore.
Suor Enrichetta Alfieri (al secolo Maria Angela Domenica) nasce a Borgo Vercelli il 23 febbraio 1891, da Giovanni e Rosa Compagnone. È la figlia primogenita, a lei seguiranno le sorelle Angela, Adele e il fratello Carlo.
Maria è saggiamente educata dai genitori profondamente cristiani. Trascorre l’infanzia frequentando la scuola elementare, mentre durante l’adolescenza alterna i lavori domestici a quelli nei campi. Com’era frequente a quel tempo, inoltre, si specializza nell’arte del ricamo. Viene, così, formandosi un carattere dolce e forte ad un tempo.
La vocazione religiosa si manifesta verso i 17 anni, ma i genitori la invitano ad aspettare. Gli anni dell’attesa rafforzano in lei la decisione di donarsi tutta a Dio.
Il 20 dicembre 1911, ormai ventenne, entra come postulante nella Congregazione delle Suore della Carità, nel Monastero “Santa Margherita” in Vercelli, Famiglia religiosa nella quale sono già presenti due zie ed una cugina.
Compiuto regolarmente il Noviziato, i Superiori scorgono in Suor Enrichetta una spiccata propensione educativa; per questo le fanno intraprendere gli studi magistrali. Il 12 luglio 1917 consegue il Diploma di Abilitazione all’Insegnamento Elementare.
In questo periodo si affinano le sue naturali doti pedagogiche, come risulta da un quaderno di componimenti stesi nel corso di questi anni. Incominciano ad intravedersi i segni di una singolare missione che attraverserà tutta la vita di Suor Enrichetta e che avrà modo di manifestarsi pienamente in seguito: far rinascere la
speranza cristiana nel cuore dell’uomo disperato.
La sua formazione iniziale si conclude con l’emissione dei Voti temporanei il 10 settembre 1917.
Maria è saggiamente educata dai genitori profondamente cristiani. Trascorre l’infanzia frequentando la scuola elementare, mentre durante l’adolescenza alterna i lavori domestici a quelli nei campi. Com’era frequente a quel tempo, inoltre, si specializza nell’arte del ricamo. Viene, così, formandosi un carattere dolce e forte ad un tempo.
La vocazione religiosa si manifesta verso i 17 anni, ma i genitori la invitano ad aspettare. Gli anni dell’attesa rafforzano in lei la decisione di donarsi tutta a Dio.
Il 20 dicembre 1911, ormai ventenne, entra come postulante nella Congregazione delle Suore della Carità, nel Monastero “Santa Margherita” in Vercelli, Famiglia religiosa nella quale sono già presenti due zie ed una cugina.
Compiuto regolarmente il Noviziato, i Superiori scorgono in Suor Enrichetta una spiccata propensione educativa; per questo le fanno intraprendere gli studi magistrali. Il 12 luglio 1917 consegue il Diploma di Abilitazione all’Insegnamento Elementare.
In questo periodo si affinano le sue naturali doti pedagogiche, come risulta da un quaderno di componimenti stesi nel corso di questi anni. Incominciano ad intravedersi i segni di una singolare missione che attraverserà tutta la vita di Suor Enrichetta e che avrà modo di manifestarsi pienamente in seguito: far rinascere la
speranza cristiana nel cuore dell’uomo disperato.
La sua formazione iniziale si conclude con l’emissione dei Voti temporanei il 10 settembre 1917.
Sulla Croce con Gesù
Viene quindi inviata come educatrice all’Asilo Infantile “Mora” in Vercelli. Suor Enrichetta ha appena il tempo di conoscere il nuovo ambiente, i bambini e le famiglie; improvvisamente, dopo solo pochi mesi, è costretta ad abbandonare la scuola per motivi di salute.
Trasferita alla Casa Provinciale di Vercelli, la malattia non viene subito diagnosticata nella sua gravità. La Superiora Provinciale in carica, Suor Anastasia Penna, la propone quale sua segretaria, come risulta da una lettera inviata alla Superiora Generale il 23 agosto 1919: “Riguardo all’aiuto del quale sento veramente il bisogno, spero poterlo avere da Suor Enrichetta Alfieri, la quale, non potendo per la precaria sua salute, sostenere le fatiche dell’insegnamento, però per la sua affezione all’Istituto, per le sue virtù, criterio e, specialmente per la sua prudenza, potrà essermi utile”.
Purtroppo, aggravandosi ulteriormente le sue condizioni, Suor Enrichetta non potrà svolgere tale incarico. Nell’aprile del 1920 è portata a Milano, ove viene sottoposta a numerose indagini specialistiche e a terapie molteplici senza risultati positivi. Viene infine individuata una grave malattia, si tratta di spondilite tubercolare.
Riportata all’infermeria della Casa Provinciale di Vercelli, le sue condizioni continuano ad aggravarsi, immobilizzandola a letto, con grandi dolori, per oltre tre anni. La vita di Suor Enrichetta, già da questo momento, appare notevolmente segnata dalla sofferenza che da lei è riconosciuta come un privilegio di Gesù nei suoi confronti per essere resa più somigliante a Lui.
In alcune note, non datate, ma plausibilmente risalenti agli anni della malattia, annota: “Se per la vocazione siamo stabilite sul Calvario, per la malattia stiamo sulla Croce con Gesù. Il letto si deve considerare quale altare di sacrificio su cui dobbiamo immolarci e lasciarci immolare quali ostie pacifiche e vittime d’amore. Perciò è necessario soffrire santamente, profittando nello spirito e nella virtù. Soffrire non basta; bisogna soffrire bene e per soffrire bene è d’uopo soffrire con dignità, con amore, con dolcezza e con fortezza”.
Viene quindi inviata come educatrice all’Asilo Infantile “Mora” in Vercelli. Suor Enrichetta ha appena il tempo di conoscere il nuovo ambiente, i bambini e le famiglie; improvvisamente, dopo solo pochi mesi, è costretta ad abbandonare la scuola per motivi di salute.
Trasferita alla Casa Provinciale di Vercelli, la malattia non viene subito diagnosticata nella sua gravità. La Superiora Provinciale in carica, Suor Anastasia Penna, la propone quale sua segretaria, come risulta da una lettera inviata alla Superiora Generale il 23 agosto 1919: “Riguardo all’aiuto del quale sento veramente il bisogno, spero poterlo avere da Suor Enrichetta Alfieri, la quale, non potendo per la precaria sua salute, sostenere le fatiche dell’insegnamento, però per la sua affezione all’Istituto, per le sue virtù, criterio e, specialmente per la sua prudenza, potrà essermi utile”.
Purtroppo, aggravandosi ulteriormente le sue condizioni, Suor Enrichetta non potrà svolgere tale incarico. Nell’aprile del 1920 è portata a Milano, ove viene sottoposta a numerose indagini specialistiche e a terapie molteplici senza risultati positivi. Viene infine individuata una grave malattia, si tratta di spondilite tubercolare.
Riportata all’infermeria della Casa Provinciale di Vercelli, le sue condizioni continuano ad aggravarsi, immobilizzandola a letto, con grandi dolori, per oltre tre anni. La vita di Suor Enrichetta, già da questo momento, appare notevolmente segnata dalla sofferenza che da lei è riconosciuta come un privilegio di Gesù nei suoi confronti per essere resa più somigliante a Lui.
In alcune note, non datate, ma plausibilmente risalenti agli anni della malattia, annota: “Se per la vocazione siamo stabilite sul Calvario, per la malattia stiamo sulla Croce con Gesù. Il letto si deve considerare quale altare di sacrificio su cui dobbiamo immolarci e lasciarci immolare quali ostie pacifiche e vittime d’amore. Perciò è necessario soffrire santamente, profittando nello spirito e nella virtù. Soffrire non basta; bisogna soffrire bene e per soffrire bene è d’uopo soffrire con dignità, con amore, con dolcezza e con fortezza”.
Graziata per gli altriNel mese di marzo del 1922, essendo stata dichiarata l’inguaribilità della sua malattia, la Superiora Provinciale chiede alla Superiora Generale di inviare Suor Enrichetta in pellegrinaggio a Lourdes “nella speranza che la giovane Suora, vero angelo di bontà, possa ottenere dalla Vergine Santissima la guarigione o il conforto…”.
Infatti, il 24 agosto 1922, su una lettiga speciale, Suor Enrichetta è condotta a Lourdes. Ritorna senza avere ottenuto la guarigione, ma lei si sente egualmente graziata nello spirito, perché più forte nell’accettazione del suo sacrificio da immolare ogni giorno.
In questo periodo di sofferenza, si delineano i tratti caratteristici della sua spiritualità: partecipazione alla Passione di Cristo attraverso la Croce; fedeltà nell’Amore; sereno abbandono alla Volontà di Dio, reso manifesto dal costante sorriso e dalla semplicità con cui vive l’esperienza del Calvario.
“La vera Religiosa, dinanzi alla Croce, o penetrata dalla spada, risponde sempre con un sorriso…”, così scrive nei suoi appunti.
Nel gennaio del 1923, il medico che visita Suor Enrichetta la dichiara in fin di vita.
Il 5 febbraio riceve il Sacramento dell’Estrema Unzione, al termine della Santa Messa celebrata nella sua camera.
Il 25 febbraio, giorno della IX Apparizione di Nostra Signora di Lourdes, alle ore 8.00, mentre la Comunità partecipa alla Santa Messa domenicale, Suor Enrichetta, in preda a indicibili sofferenze, beve un sorso dell’acqua di Lourdes con grandissimo sforzo. Dopo un breve svenimento, sente una voce che le dice: “Alzati!”. Subitamente si alza, libera dai dolori e dalla paralisi.
Lei stessa scrive: “…la buona Celeste Mamma mi risorse prodigiosamente da morte a vita…Sentimenti: riconoscenza, meraviglia, delusione. Le porte del paradiso chiuse, riaperte quelle della vita”.
Grande è la gioia e la meraviglia delle Consorelle di fronte all’evento straordinario. I medici consultati dichiarano la guarigione clinica, riconoscendone l’inspiegabilità.
Mentre le sue condizioni continuano a migliorare, i Superiori, per non favorire l’espandersi delle manifestazioni di entusiasmo religioso suscitato nella città dal prodigioso avvenimento, destinano Suor Enrichetta al Carcere di San Vittore, in Milano, ove si trova come Superiora la zia, Suor Elena Compagnone.
Infatti, il 24 agosto 1922, su una lettiga speciale, Suor Enrichetta è condotta a Lourdes. Ritorna senza avere ottenuto la guarigione, ma lei si sente egualmente graziata nello spirito, perché più forte nell’accettazione del suo sacrificio da immolare ogni giorno.
In questo periodo di sofferenza, si delineano i tratti caratteristici della sua spiritualità: partecipazione alla Passione di Cristo attraverso la Croce; fedeltà nell’Amore; sereno abbandono alla Volontà di Dio, reso manifesto dal costante sorriso e dalla semplicità con cui vive l’esperienza del Calvario.
“La vera Religiosa, dinanzi alla Croce, o penetrata dalla spada, risponde sempre con un sorriso…”, così scrive nei suoi appunti.
Nel gennaio del 1923, il medico che visita Suor Enrichetta la dichiara in fin di vita.
Il 5 febbraio riceve il Sacramento dell’Estrema Unzione, al termine della Santa Messa celebrata nella sua camera.
Il 25 febbraio, giorno della IX Apparizione di Nostra Signora di Lourdes, alle ore 8.00, mentre la Comunità partecipa alla Santa Messa domenicale, Suor Enrichetta, in preda a indicibili sofferenze, beve un sorso dell’acqua di Lourdes con grandissimo sforzo. Dopo un breve svenimento, sente una voce che le dice: “Alzati!”. Subitamente si alza, libera dai dolori e dalla paralisi.
Lei stessa scrive: “…la buona Celeste Mamma mi risorse prodigiosamente da morte a vita…Sentimenti: riconoscenza, meraviglia, delusione. Le porte del paradiso chiuse, riaperte quelle della vita”.
Grande è la gioia e la meraviglia delle Consorelle di fronte all’evento straordinario. I medici consultati dichiarano la guarigione clinica, riconoscendone l’inspiegabilità.
Mentre le sue condizioni continuano a migliorare, i Superiori, per non favorire l’espandersi delle manifestazioni di entusiasmo religioso suscitato nella città dal prodigioso avvenimento, destinano Suor Enrichetta al Carcere di San Vittore, in Milano, ove si trova come Superiora la zia, Suor Elena Compagnone.
La luce vince le tenebre
Davanti a lei si apre un nuovo mondo tutto da scoprire, in cui l’orizzonte è sempre
delimitato da alte mura, lunghi corridoi, cancelli chiusi, porte serrate e, ovunque, inferriate: eppure lì, Suor Enrichetta saprà spaziare con la forza della carità.
La sua vita, profondamente plasmata negli anni della sofferenza fisica, manifesta sempre più una forte tensione verso la santità, come appare chiaramente in un suo scritto, in occasione della rinnovazione dei Santi Voti: “La vocazione è un dono grande, inestimabile e del tutto gratuito… La vocazione non mi fa santa, ma mi impone il dovere di lavorare per divenirlo…”.
Pur non avendo mai avuto alcun contatto con il dolorante mondo del Carcere, il nuovo ambiente non la intimorisce, perché è preparata dalla sua Madre Fondatrice, Santa Giovanna Antida che, prima di lei, ha sperimentato il servizio tra i carcerati a Bellevaux.
Il suo ingresso nel Carcere è segnato dalla fiducia e da un vivo desiderio di partecipare alla pur grave missione affidatale.
Suor Enrichetta inizia il nuovo e difficile apostolato portando la luce della fede là dove sembrano vincere le tenebre del male. Scrive: “La carità è un fuoco che bruciando ama espandersi; soffrirò, lavorerò e pregherò per attirare anime a Gesù”.
Comincia così il suo lungo tirocinio di carità. La giovane religiosa esercita la mitezza e l’accoglienza: passa nelle celle, ascolta, consola, incoraggia le detenute.
Sostenuta da un’intensa vita di preghiera, da una ininterrotta unione con Dio e da una forte esperienza di vita comunitaria, progressivamente si delinea in lei una personalità autorevole ed affascinante, capace di esercitare un forte ascendente sulle detenute.
Lo sguardo dolce, dritto e fermo, il volto sereno, la parola pacata e suadente, il gesto misurato e gentile, le danno una capacità comunicativa immediata, permeata di una umanità che riesce a conquistare la confidenza delle persone che avvicina.
La sua presenza e la sua parola riportano l’ordine e la serenità nelle immancabili situazioni di tensione che si verificano nel Carcere. Chi l’ha conosciuta afferma che, raramente, si dovette far ricorso all’intervento delle guardie per sedare i tumulti.
Operando nel Carcere con tale esemplare dedizione, Suor Enrichetta accoglie nella pace e trasforma in profitto spirituale anche gli inevitabili insuccessi. Verso la fine del 1939, Suor Enrichetta è nominata Superiora della Comunità delle Suore di San Vittore. Sono trascorsi ben sedici anni dal suo ingresso al Carcere. Diviene la guida
sicura di nove religiose che, per il loro pronto ed instancabile servizio, sembrano , però, molte di più. Suor Enrichetta riesce ad educare le Consorelle alla consapevolezza che la missione verso le detenute è comunitaria, così tutte si sentono responsabili della carità che deve irradiarsi nel Carcere intero, attraverso la loro azione.
Infatti, sono ovunque: per i corridoi, nelle celle, nei laboratori. Alcune di queste Sorelle, ancora viventi, la ricordano: esemplare nella vita spirituale e nella ricca umanità, serena nelle avversità, forte nel sacrificio, lieta nella sofferenza, nella quale sapeva vedere un segno di predilezione del Signore.
Questo gruppo di donne consacrate riesce a dare significato ai giorni di pena trasformandoli in giorni di espiazione. Le detenute della Sezione Femminile possono incominciare una nuova vita, sostenute dalla vicinanza, dal consiglio e dall’esempio delle Suore.
Nel giardinetto interno del Carcere, ove sorge una piccola grotta con l’immagine della Madonna di Lourdes, Suor Enrichetta ama riunire ogni sera piccoli gruppi di donne per un momento di preghiera. Sovente questo appuntamento si trasforma anche nell’occasione favorevole per raccogliere le confidenze ed il dolore di tante esistenze.
La carità di Suor Enrichetta non si ferma entro le mura del Carcere: quando le detenute vengono trasferite o dimesse sanno che possono contare sulla “Mamma” di San Vittore, la quale continua, anche per iscritto, a sostenere, confortare ed amare le sue “ospiti”.
Davanti a lei si apre un nuovo mondo tutto da scoprire, in cui l’orizzonte è sempre
delimitato da alte mura, lunghi corridoi, cancelli chiusi, porte serrate e, ovunque, inferriate: eppure lì, Suor Enrichetta saprà spaziare con la forza della carità.
La sua vita, profondamente plasmata negli anni della sofferenza fisica, manifesta sempre più una forte tensione verso la santità, come appare chiaramente in un suo scritto, in occasione della rinnovazione dei Santi Voti: “La vocazione è un dono grande, inestimabile e del tutto gratuito… La vocazione non mi fa santa, ma mi impone il dovere di lavorare per divenirlo…”.
Pur non avendo mai avuto alcun contatto con il dolorante mondo del Carcere, il nuovo ambiente non la intimorisce, perché è preparata dalla sua Madre Fondatrice, Santa Giovanna Antida che, prima di lei, ha sperimentato il servizio tra i carcerati a Bellevaux.
Il suo ingresso nel Carcere è segnato dalla fiducia e da un vivo desiderio di partecipare alla pur grave missione affidatale.
Suor Enrichetta inizia il nuovo e difficile apostolato portando la luce della fede là dove sembrano vincere le tenebre del male. Scrive: “La carità è un fuoco che bruciando ama espandersi; soffrirò, lavorerò e pregherò per attirare anime a Gesù”.
Comincia così il suo lungo tirocinio di carità. La giovane religiosa esercita la mitezza e l’accoglienza: passa nelle celle, ascolta, consola, incoraggia le detenute.
Sostenuta da un’intensa vita di preghiera, da una ininterrotta unione con Dio e da una forte esperienza di vita comunitaria, progressivamente si delinea in lei una personalità autorevole ed affascinante, capace di esercitare un forte ascendente sulle detenute.
Lo sguardo dolce, dritto e fermo, il volto sereno, la parola pacata e suadente, il gesto misurato e gentile, le danno una capacità comunicativa immediata, permeata di una umanità che riesce a conquistare la confidenza delle persone che avvicina.
La sua presenza e la sua parola riportano l’ordine e la serenità nelle immancabili situazioni di tensione che si verificano nel Carcere. Chi l’ha conosciuta afferma che, raramente, si dovette far ricorso all’intervento delle guardie per sedare i tumulti.
Operando nel Carcere con tale esemplare dedizione, Suor Enrichetta accoglie nella pace e trasforma in profitto spirituale anche gli inevitabili insuccessi. Verso la fine del 1939, Suor Enrichetta è nominata Superiora della Comunità delle Suore di San Vittore. Sono trascorsi ben sedici anni dal suo ingresso al Carcere. Diviene la guida
sicura di nove religiose che, per il loro pronto ed instancabile servizio, sembrano , però, molte di più. Suor Enrichetta riesce ad educare le Consorelle alla consapevolezza che la missione verso le detenute è comunitaria, così tutte si sentono responsabili della carità che deve irradiarsi nel Carcere intero, attraverso la loro azione.
Infatti, sono ovunque: per i corridoi, nelle celle, nei laboratori. Alcune di queste Sorelle, ancora viventi, la ricordano: esemplare nella vita spirituale e nella ricca umanità, serena nelle avversità, forte nel sacrificio, lieta nella sofferenza, nella quale sapeva vedere un segno di predilezione del Signore.
Questo gruppo di donne consacrate riesce a dare significato ai giorni di pena trasformandoli in giorni di espiazione. Le detenute della Sezione Femminile possono incominciare una nuova vita, sostenute dalla vicinanza, dal consiglio e dall’esempio delle Suore.
Nel giardinetto interno del Carcere, ove sorge una piccola grotta con l’immagine della Madonna di Lourdes, Suor Enrichetta ama riunire ogni sera piccoli gruppi di donne per un momento di preghiera. Sovente questo appuntamento si trasforma anche nell’occasione favorevole per raccogliere le confidenze ed il dolore di tante esistenze.
La carità di Suor Enrichetta non si ferma entro le mura del Carcere: quando le detenute vengono trasferite o dimesse sanno che possono contare sulla “Mamma” di San Vittore, la quale continua, anche per iscritto, a sostenere, confortare ed amare le sue “ospiti”.
L’amore vince l’odioScoppiata la Guerra, anche San Vittore subisce la dominazione nazifascista. La popolazione carceraria cambia: ai criminali comuni si sostituiscono i detenuti politici, gli Ebrei, insieme a sacerdoti e religiosi impegnati a collaborare con la Resistenza.
I Tedeschi guidano il Carcere quasi come un campo di concentramento; questo diventa il luogo degli interrogatori, delle torture fisiche e morali, delle condanne e delle partenze per i campi di sterminio.
Suor Enrichetta, con le sue Suore, è in prima linea a difendere le vittime, ad aiutarle, a soccorrerle e a sostenerle, scivolando nelle ore buie nei corridoi, entrando nelle celle e favorendo incontri.
Riesce a portare ai carcerati soccorsi materiali, mentre contemporaneamente fa pervenire all’esterno, alle persone in pericolo, notizie carpite o per caso raccolte, perché in tempo fuggano, distruggano prove, provvedano a difendersi dalle spie. In questo modo molti hanno salva la vita.
Suor Enrichetta è una collaboratrice dell’opera del Cardinal A.I. Schuster tutta tesa a proteggere vite umane, attraverso la mediazione di Don Giuseppe Bicchierai.
Tutta la Comunità sostiene questa attività attraverso il servizio ordinario, ma è Suor Enrichetta ad assumersi personalmente tutti i rischi ed i pericoli che simile lavoro di collegamento comporta.
Un giorno trova persino il coraggio di opporsi al Caporale Franz, Vice Comandante del Carcere, noto, sia ai detenuti che alle guardie, per la sua crudeltà. Suor Enrichetta, trovandosi presente alla partenza di un gruppo di Ebrei per la Germania, e scorgendo tra questi una madre incinta che trascina per mano un altro bimbo, affronta il famigerato Caporale con queste parole: “Se ha moglie e un bambino anche lei, pensi a queste creature che non hanno niente di diverso da loro. E faccia qualcosa per salvarle”.
Avviene qualcosa di assolutamente imprevedibile, come lei stessa annota in un appunto: “…partenza per la Germania e trattenuta della ebrea partoriente con altro bambino di 5 anni. Infermeria Sezione Femminile. Scarcerazione (miracolo) per favore chiesto da me a Franz”.
I Tedeschi guidano il Carcere quasi come un campo di concentramento; questo diventa il luogo degli interrogatori, delle torture fisiche e morali, delle condanne e delle partenze per i campi di sterminio.
Suor Enrichetta, con le sue Suore, è in prima linea a difendere le vittime, ad aiutarle, a soccorrerle e a sostenerle, scivolando nelle ore buie nei corridoi, entrando nelle celle e favorendo incontri.
Riesce a portare ai carcerati soccorsi materiali, mentre contemporaneamente fa pervenire all’esterno, alle persone in pericolo, notizie carpite o per caso raccolte, perché in tempo fuggano, distruggano prove, provvedano a difendersi dalle spie. In questo modo molti hanno salva la vita.
Suor Enrichetta è una collaboratrice dell’opera del Cardinal A.I. Schuster tutta tesa a proteggere vite umane, attraverso la mediazione di Don Giuseppe Bicchierai.
Tutta la Comunità sostiene questa attività attraverso il servizio ordinario, ma è Suor Enrichetta ad assumersi personalmente tutti i rischi ed i pericoli che simile lavoro di collegamento comporta.
Un giorno trova persino il coraggio di opporsi al Caporale Franz, Vice Comandante del Carcere, noto, sia ai detenuti che alle guardie, per la sua crudeltà. Suor Enrichetta, trovandosi presente alla partenza di un gruppo di Ebrei per la Germania, e scorgendo tra questi una madre incinta che trascina per mano un altro bimbo, affronta il famigerato Caporale con queste parole: “Se ha moglie e un bambino anche lei, pensi a queste creature che non hanno niente di diverso da loro. E faccia qualcosa per salvarle”.
Avviene qualcosa di assolutamente imprevedibile, come lei stessa annota in un appunto: “…partenza per la Germania e trattenuta della ebrea partoriente con altro bambino di 5 anni. Infermeria Sezione Femminile. Scarcerazione (miracolo) per favore chiesto da me a Franz”.
L’arresto e la liberazione
La fitta trama di solidarietà tessuta in questi anni, sembra improvvisamente spezzarsi: il 23 settembre 1944, vivamente pregata da una detenuta di origine armena, Suor Enrichetta si lascia convincere a far recapitare un biglietto ai famigliari di questa, al fine di salvare i fratelli ricercati dalla Polizia. Tale messaggio, affidato ad una guardiana, viene poi consegnato ad altra persona fidata perché lo porti a destinazione. Il biglietto, però, viene intercettato e le conseguenze sono immediate: Suor Enrichetta viene arrestata e con lei le due collaboratrici. L’accusa è di spionaggio, con il rischio e quasi la certezza della condanna alla fucilazione o alla deportazione in Germania. Diventa la matricola n. 3209.
Messa in cella di isolamento, nello stesso Carcere, Suor Enrichetta trascorre giorni di angosciosa attesa, in incessante preghiera, felice di condividere la sorte di tanti fratelli, consapevole di aver svolto il proprio dovere di Suora della Carità e di italiana.
Nelle sue “Memorie” racconta: “Da quel momento la preghiera e la meditazione divennero la mia unica occupazione; la mia forza nella reclusione. E non avevo detto tante volte alle povere detenute: se fossi al vostro posto spenderei tutto il mio tempo nella preghiera?!
Eccone venuto il momento!… Che grazia poter pregare!”.
E ancora dal suo cuore sgorga questa bellissima preghiera: “Per tanta marea di ingiustizie, di oppressioni e di dolori, Signore, abbi pietà del povero mondo; di questa nostra carissima, distrutta Patria e fa che dalle sue macerie intrise di lacrime e di sangue… purificata risorga presto più bella, più laboriosa e forte; più onorata e soprattutto più cristiana e virtuosa”.
Dopo undici giorni di detenzione, grazie all’intervento del Cardinal Schuster e di un amico personale di Mussolini, il pericolo della temuta deportazione in Germania, viene scongiurato: è condannata al confino a Grumello del Monte, Bergamo, presso l’Istituto Palazzolo, un ricovero per minorati psichici.
Qui trascorre circa due mesi di esilio, in cui si alternano in lei momenti di pace e di interiore serenità a momenti di angoscia e di trepidazione per le sorti di coloro che ancora sono in Carcere: “Risentivo i pianti desolati e le angosciose invocazione di pietà; rivedevo quei volti pallidi e quegli occhi smarriti e lacrimosi; mi pareva ancora di sentirmi stringere le mani dalle loro mani convulse in un saluto di moribondo. Tutto ciò mi straziava e non potendo dormire, soffrivo e pregavo per essi, dolendomi di non poter più prestar loro qualche conforto. Il pensiero di quelli in Carcere tanto mi rattristava, ma quello dei deportati mi straziava… ed era costantemente fisso in me da formare il mio interno martirio… Dovevo fare un po’ da Mosè per coloro che avevo lasciato nella lotta; per quelli che soffrivano, per quelli che morivano. Dovevo continuare il mio apostolato di Suora di Carità, italiana e cattolica, con la preghiera e con la forzata rinuncia dell’operosità nel campo amato della mia missione”.
Il 24 dicembre, Suor Enrichetta ottiene dal Comando Tedesco di uscire dall’internamento, ma non può ancora ritornare al Carcere di Milano.
Le viene concesso di essere trasferita alla Casa Provinciale di Brescia, ove rimane per quattro mesi. Qui, in obbedienza alla Superiora Provinciale, scrive le “Memorie” del suo arresto e della sua prigionia: queste pagine conservano, nella loro essenzialità descrittiva, tutta la ricchezza e la passione della sua vicenda inserita in una tragedia umana molto più ampia.
Passata la bufera, a liberazione avvenuta, il 7 maggio 1945, Suor Enrichetta può rientrare a San Vittore, ove riprende la sua missione di Suora della Carità tra i nuovi detenuti: i nemici di ieri. Fatta più fine e luminosa dalla sofferenza e interiormente più unita a Dio, può iniziare la sua opera di ricostruzione materiale e morale all’interno del Carcere.
Con il fascino della sua bontà, Suor Enrichetta si fa sempre più vicina ad ogni sofferente che cerca una parola di serenità ed un aiuto. Solo lei riesce ad entrare nella cella di una detenuta particolarmente difficile, Rina Fort, accusata di omicidio plurimo; con la sua pazienza conduce questa esistenza lacerata all’incontro con la misericordia di Dio.
La fitta trama di solidarietà tessuta in questi anni, sembra improvvisamente spezzarsi: il 23 settembre 1944, vivamente pregata da una detenuta di origine armena, Suor Enrichetta si lascia convincere a far recapitare un biglietto ai famigliari di questa, al fine di salvare i fratelli ricercati dalla Polizia. Tale messaggio, affidato ad una guardiana, viene poi consegnato ad altra persona fidata perché lo porti a destinazione. Il biglietto, però, viene intercettato e le conseguenze sono immediate: Suor Enrichetta viene arrestata e con lei le due collaboratrici. L’accusa è di spionaggio, con il rischio e quasi la certezza della condanna alla fucilazione o alla deportazione in Germania. Diventa la matricola n. 3209.
Messa in cella di isolamento, nello stesso Carcere, Suor Enrichetta trascorre giorni di angosciosa attesa, in incessante preghiera, felice di condividere la sorte di tanti fratelli, consapevole di aver svolto il proprio dovere di Suora della Carità e di italiana.
Nelle sue “Memorie” racconta: “Da quel momento la preghiera e la meditazione divennero la mia unica occupazione; la mia forza nella reclusione. E non avevo detto tante volte alle povere detenute: se fossi al vostro posto spenderei tutto il mio tempo nella preghiera?!
Eccone venuto il momento!… Che grazia poter pregare!”.
E ancora dal suo cuore sgorga questa bellissima preghiera: “Per tanta marea di ingiustizie, di oppressioni e di dolori, Signore, abbi pietà del povero mondo; di questa nostra carissima, distrutta Patria e fa che dalle sue macerie intrise di lacrime e di sangue… purificata risorga presto più bella, più laboriosa e forte; più onorata e soprattutto più cristiana e virtuosa”.
Dopo undici giorni di detenzione, grazie all’intervento del Cardinal Schuster e di un amico personale di Mussolini, il pericolo della temuta deportazione in Germania, viene scongiurato: è condannata al confino a Grumello del Monte, Bergamo, presso l’Istituto Palazzolo, un ricovero per minorati psichici.
Qui trascorre circa due mesi di esilio, in cui si alternano in lei momenti di pace e di interiore serenità a momenti di angoscia e di trepidazione per le sorti di coloro che ancora sono in Carcere: “Risentivo i pianti desolati e le angosciose invocazione di pietà; rivedevo quei volti pallidi e quegli occhi smarriti e lacrimosi; mi pareva ancora di sentirmi stringere le mani dalle loro mani convulse in un saluto di moribondo. Tutto ciò mi straziava e non potendo dormire, soffrivo e pregavo per essi, dolendomi di non poter più prestar loro qualche conforto. Il pensiero di quelli in Carcere tanto mi rattristava, ma quello dei deportati mi straziava… ed era costantemente fisso in me da formare il mio interno martirio… Dovevo fare un po’ da Mosè per coloro che avevo lasciato nella lotta; per quelli che soffrivano, per quelli che morivano. Dovevo continuare il mio apostolato di Suora di Carità, italiana e cattolica, con la preghiera e con la forzata rinuncia dell’operosità nel campo amato della mia missione”.
Il 24 dicembre, Suor Enrichetta ottiene dal Comando Tedesco di uscire dall’internamento, ma non può ancora ritornare al Carcere di Milano.
Le viene concesso di essere trasferita alla Casa Provinciale di Brescia, ove rimane per quattro mesi. Qui, in obbedienza alla Superiora Provinciale, scrive le “Memorie” del suo arresto e della sua prigionia: queste pagine conservano, nella loro essenzialità descrittiva, tutta la ricchezza e la passione della sua vicenda inserita in una tragedia umana molto più ampia.
Passata la bufera, a liberazione avvenuta, il 7 maggio 1945, Suor Enrichetta può rientrare a San Vittore, ove riprende la sua missione di Suora della Carità tra i nuovi detenuti: i nemici di ieri. Fatta più fine e luminosa dalla sofferenza e interiormente più unita a Dio, può iniziare la sua opera di ricostruzione materiale e morale all’interno del Carcere.
Con il fascino della sua bontà, Suor Enrichetta si fa sempre più vicina ad ogni sofferente che cerca una parola di serenità ed un aiuto. Solo lei riesce ad entrare nella cella di una detenuta particolarmente difficile, Rina Fort, accusata di omicidio plurimo; con la sua pazienza conduce questa esistenza lacerata all’incontro con la misericordia di Dio.
L’incontro con il suo Signore
Nel settembre del 1950, una caduta in Piazza Duomo, le procura la frattura del femore. Riesce ancora a ristabilirsi, ma per breve tempo. A causa di un male gravissimo al fegato e a motivo del cuore tanto provato, dopo tredici giorni di lucida agonia, è pronta all’incontro con lo Sposo. Dal suo letto, divenuto altare su cui la vittima si consuma, Suor Enrichetta, che aveva sorriso a tutti, ora sorride anche alla morte. Dopo aver ricevuto i Sacramenti, ai quali partecipa con piena lucidità, confida con edificante serenità: “Non credevo che fosse così dolce morire”.
Sono le ore 15.00 di Venerdì, 23 novembre 1951.
La notizia della sua morte viene subito diffusa dalla radio e dai giornali. Le sue spoglie, esposte nella camera ardente, sono oggetto di commoventi manifestazione di affetto; le detenute vogliono vedere ancora una volta l’Angelo di San Vittore.
I funerali, celebrati nella Basilica di San Vittore al Corpo, consacrano il trionfo della virtù e della carità e vedono la partecipazione di numerose Consorelle, delle Autorità Civili ed Ecclesiastiche e di numeroso popolo.
Il Parroco, Monsignor Dell’Acqua, detta questa iscrizione che viene posta sul frontale della chiesa: “Tra le mura tristi dove si espia e nelle tetre celle in cui nelle ore tragiche della Patria si scontava la colpa di amare la libertà e l’Italia, per lunghi decenni tribolata, passò come un angelo, pianse come una mamma nel tacito eroismo di ogni dì. In fervida prece come una fiamma avvampò e si spense Enrichetta Maria Alfieri, veramente e sempre Suora della Carità”.
Nel settembre del 1950, una caduta in Piazza Duomo, le procura la frattura del femore. Riesce ancora a ristabilirsi, ma per breve tempo. A causa di un male gravissimo al fegato e a motivo del cuore tanto provato, dopo tredici giorni di lucida agonia, è pronta all’incontro con lo Sposo. Dal suo letto, divenuto altare su cui la vittima si consuma, Suor Enrichetta, che aveva sorriso a tutti, ora sorride anche alla morte. Dopo aver ricevuto i Sacramenti, ai quali partecipa con piena lucidità, confida con edificante serenità: “Non credevo che fosse così dolce morire”.
Sono le ore 15.00 di Venerdì, 23 novembre 1951.
La notizia della sua morte viene subito diffusa dalla radio e dai giornali. Le sue spoglie, esposte nella camera ardente, sono oggetto di commoventi manifestazione di affetto; le detenute vogliono vedere ancora una volta l’Angelo di San Vittore.
I funerali, celebrati nella Basilica di San Vittore al Corpo, consacrano il trionfo della virtù e della carità e vedono la partecipazione di numerose Consorelle, delle Autorità Civili ed Ecclesiastiche e di numeroso popolo.
Il Parroco, Monsignor Dell’Acqua, detta questa iscrizione che viene posta sul frontale della chiesa: “Tra le mura tristi dove si espia e nelle tetre celle in cui nelle ore tragiche della Patria si scontava la colpa di amare la libertà e l’Italia, per lunghi decenni tribolata, passò come un angelo, pianse come una mamma nel tacito eroismo di ogni dì. In fervida prece come una fiamma avvampò e si spense Enrichetta Maria Alfieri, veramente e sempre Suora della Carità”.
(di Suor Wandamaria Clerici e Suor Maria Guglielma Saibene)
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