Il 20 aprile 1945, tra le mura della scuola amburghese di Bullenhuser Damm, 20 piccole vite di bambini ebrei – dieci maschi e dieci femmine – provenienti dalla Francia, Olanda, Jugoslavia, Italia e Polonia, venivano spezzate crudelmente. In queste immagini drammatiche si ripercorre il loro calvario che inizia dal momento della detenzione nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau, dalla separazione dai genitori, dagli esperimenti medici per giungere fino al triste epilogo…
I bambini, infatti, strappati dall’affetto dei loro cari, furono inviati al campo di concentramento di Neuengamme distante circa 30 chilometri da Amburgo dove, con la complicità dell’ineffabile angelo della morte Joseph Mengele, furono adoperati come cavie umane dal turpe medico nazista Kurt Heissmeyer, per i suoi aberranti esperimenti – avviati nel gennaio del 1945 – condotti senza alcun metodo scientifico, per trovare un vaccino sulla tubercolosi. Difatti, come gli eventi successivi si incaricheranno di dimostrare, falliranno miseramente nell’aprile i quello stesso anno. Tuttavia, poiché le truppe inglesi erano ormai alle porte di Amburgo, all’improvviso giunse l’ordine perentorio di eliminare quelle tenere vite innocenti allo scopo di cancellare tutte le prove dei loro orrendi crimini di cui si erano resi responsabili. Così, nella notte del 20 aprile, col favore delle tenebre, quei 20 bambini furono repentinamente trasferiti nella vicina scuola di Bullenhuser Damm, trasformata per l’occasione in un macabro luogo di sterminio, dove i nazisti provvidero dapprima a narcotizzarli con la morfina, dopodiché – senza alcun senso di umanità – li impiccarono “come quadri alle pareti”.
Di fronte a questi infami e spietati crimini verrebbe da rivolgere una sola domanda ai cosiddetti “revisionisti” nostrani che, accecati dall’odio, dimostrano di ignorare completamente questa triste pagina della storia, continuando pervicacemente a “negare” che tutto ciò sia realmente accaduto e che la Shoah sia soltanto un’invenzione degli storici…
Forse queste immagini potrebbero servire a fargli cambiare parere, se solo riuscissero ad immaginare lo stato d’animo e la terribile angoscia provata da queste bambini e dai loro genitori mentre i loro figli venivano barbaramente sottoposti a questi ignobili torture. Chissà, forse, qualche lacrima furtiva solcherà il loro viso, anche se francamente ne dubito…
Da una dichiarazione rilasciata dalla dottoressa Paulina Trocki, si apprende che: “Da fine settembre, primi di ottobre 1944 i bambini che arrivavano con i trasporti ad Auschwitz non venivano più mandati al gas (o meglio, non tutti). Alla fine dell’anno i bambini erano circa 300 in una baracca”. Ecco come viene raccontata questa sconvolgente storia, con dovizia di particolari, da Maria Pia Bernicchia nel suo bel libro dal titolo fin troppo eloquente: “I 20 bambini di Bullenhuser Damm”.
È il 14 maggio 1944 quando alcuni bambini vengono visitati, vengono sottoposti a prelievo di sangue… È in questa occasione che al “bambino A 179614” viene fatto un prelievo di saliva per accertamenti sulla difterite. Quel bimbo è Sergio de Simone. Quel bimbo che era così bello… “Nessuno oserà fare del male a un bimbo così bello”… erano le parole che uscivano dal cuore di mamma Gisella. Per il cuore sono una ferita le parole che il carnefice di Auschwitz, il dottor Mengele inventerà… Servono dei bambini, ma come fare perché non si diffonda il panico, perché l’intervento sia il più asettico, il più chirurgico possibile? L’uomo nero si vestirà di infame cattiveria.
Il dottor Mengele, l’angelo della morte, si presenterà una fredda mattina di novembre del 1944 nella baracca 11 e dirà:
“Chi vuole vedere la mamma faccia un passo avanti…”
La storia potrebbe finire qui… ma se lasciassimo al lettore il compito di trovare un finale, se anche gli dicessimo di immaginare la sorte più tragica, nessuno riuscirebbe ad avvicinarsi al vero!
… e i bambini si sono fatti avanti, sognano l’amore negato, sperano di ritrovare il calore dell’abbraccio della mamma, confidano nella dolce promessa di quelle parole, si affidano alsogno, assaporano i baci, si struggono dal desiderio, pregustano la gioia di quel volo, del tuffo fra quelle braccia tanto sognate… ritrovano per un attimo le gioie rubate… si fidano e… piombano nell’inferno più nero. Li aspettano non le braccia della mamma a far loro da culla, non i baci che consolano, non la ninnananna che scalda e accarezza… ma mesi di strazi, di febbre, di abbandoni, di interventi chirurgici alle ghiandole linfatiche. Dalla baracca 11 vennero presi 10 maschi e 10 femmine con la promessa delle “braccia della mamma”. I 20 bambini di età compresa fra i 5 e i 12 anni furono caricati su un camion che li portò da Birkenau alla stazione ferroviaria di Auschwitz. […]
I nostri 20 bambini sono sul treno. Sono curati, ricevono cioccolato, latte. Dopo due giorni, il 29 novembre 1944, il treno arriva nel lager di Neuengamme. Il campo dista circa 30 chilometri da Amburgo. […] I bambini arrivarono di notte. Neuengamme era un lager per prigionieri politici, non c’erano ebrei. La dottoressa Trocki racconterà che i prigionieri piansero quando videro i bambini; lei stessa ebbe il timore che volessero usare i bambini per gli esperimenti. Uno studente in medicina proveniente dal Belgio, che lavorava nella farmacia del campo confermòche Neuengamme era un “lager di uomini, nessun bambino… Lì c’era anche un medico francese, il dottor Florence, che cercò di salvare i bambini…”. […] I bambini stanno male. La baracca 4a è pronta per gli esperimenti sulla tbc; intorno c’è il filo spinato, i vetri delle finestre sono imbiancati per impedire che si veda dentro… Il 9 gennaio 1945, il dottor Kurt Heissmeyer arriva a Neuengamme. Nelle settimane precedenti aveva fatto esperimenti su prigionieri russi e serbi. I più erano morti, alcuni furono uccisi per poter eseguire l’autopsia e “studiarci su”. Alla sua diabolica ricerca ora mancano i bambini. Due medici francesi prigionieri nel campo, il professor Gabriel Florence e il professor René Quenouille, saranno costretti ad aiutarlo. Entrambi finiranno a Bullenhuser Damm insieme ai 20 bambini.
Gennaio 1945: cominciano gli esperimenti. Heissmeyer fa incidere la pelle sul petto dei bambini, sotto l’ascella destra, con tagli a X, lunghi da tre a quattro centimetri, poi introduce con una spatola i bacilli della tubercolosi e infine copre le incisioni con un cerotto. I bambini vengono così infettati con bacilli tubercolotici vivi, capaci di scatenare la malattia in forma molto virulenta. Heissmeyer riceve le colture da un certo dottor Meinecke, batteriologo di Berlino, il quale proverà a convincere Heissmeyer a non usare i bacilli vivi su esseri umani, ma non verrà ascoltato. Heissmeyer è accecato dall’ambizione, vuole emergere, vuole diventare professore, vuole passare alla storia, vuole diventare famoso, non si fa scrupoli, tratta i bambini come fossero topi… i bambini come cavie per studiarne le difese immunitarie, per raccogliere anticorpi, per preparare un vaccino…
Il 19 febbraio 1945 Heissmeyer fa incidere la pelle sotto l’ascella sinistra dei bambini e introduce altri bacilli vivi. I bambini sono apatici, sofferenti, hanno la febbre. Heissmeyer ordina al professor Quenouille di fare delle radiografie ai bambini. Nella baracca entra anche un altro prigioniero, è il medico polacco Zygmunt Szafranski; viene da Radom, come i figli del collega Sewern Witonski, pediatra di Radom, Eleonora e Roman Witonski, due dei nostri 20 bambini… Per effettuare le operazioni verrà sfruttata la presenza nel campo di un prigioniero che da libero era chirurgo, il ceco Bogumil Doclik. Heissmeyer non è capace di fare interventi, ha bisogno di un chirurgo per realizzare il suo progetto criminale!
È il 3 marzo 1945 quando i bambini vengono operati. Ad aiutare il chirurgo Bogumil Doclik è un altro prigioniero, il polacco Franczisczek Czekalla… Verso le 19,00 tutto è pronto… I bambini vengono fatti entrare, svestire e coricare sul lettooperatorio. Dopo aver disinfettato la pelle sotto al braccioviene praticata l’anestesia, il chirurgo tasta le ghiandolelinfatiche sotto l’ascella, quindi procede con un’incisione dicirca cinque centimetri e asporta le ghiandole, infine sutura il taglio. Ogni intervento dura circa un quarto d’ora. Quella sera furono operati nove bambini. I medici francesi misero le ghiandole in vasi con formalina, li etichettarono con il nome e il numero tatuato sul braccio dei bimbi. Tutti e 20 furono sottoposti alla stessa operazione. Dopodiché furono riportati alla baracca 4a… Heissmeyer portò i vasi etichettati contenenti le ghiandole nel laboratorio del sanatorio delle SS a Hohenlychen, dove lo aspettava il patologo Hans Klein. Costui era al corrente degli esperimenti, avendo visitato ilcampo di Neuengamme il 19 aprile 1944 con Heissmeyer e con il responsabile della sanità delle SS, il dottor Enno Lolling. Insieme, i tre medici avevano visto la baracca 4a dove sarebbero avvenuti gli esperimenti sulla tbc, avevano visto ivetri delle finestre imbiancate per impedire che si vedesse dentro, il filo spinato… avevano dato il loro consenso al diabolico, criminale progetto. I bambini sono gravemente malati, l’infezione li colpisce tutti in forma devastante, le ghiandole asportate e studiate dal patologo Klein non presentano nessuna traccia di anticorpi…l’esperimento è completamente fallito.
È il 20 di aprile 1945: gli inglesi sono alle porte, i bambini devono essere fatti “sparire”…
Era la sera del 20 aprile 1945, i bambini erano distesi nei loro letti, il sonno, la febbre, la malattia… Si erano addormentati, li svegliarono… […] Alle 22,00 arriva un grosso camion postale. Sul camion che lascerà il lager di Neuengamme vengono fatti salire sei prigionieri russi, i due infermieri olandesi, i due medici francesi e i 20 bambini. Con loro prendono posto anche le SS Wilhelm Dreimann, Adolf Speck, Heinrich Wiehagen: costoro costituiscono l’Exekutionskommando di Neuengamme, sono esperti carnefici, hanno portato delle corde; davanti siedono l’autista Hans Friedrich Petersen e il medico SS Alfred Trzebinski. […] Il camion si dirige verso Amburgo, verso Rothenburgsort, verso la scuola di Bullenhuser Damm.
Leggiamo ora la precisa descrizione del massacro rilasciata da Johann Frahm il 2 maggio 1946:
“Il comandante del campo di Bullenhuser Damm era Jauch, l’esecutore degli ordini era Strippel… Io scesi nella cantina dove erano stati radunati i nuovi arrivati. Erano circa 20 bambini. Alcuni sembravano essere malati. Oltre ai bambini nella cantina c’erano il dottor Trzebinski, Dreimann e Jauch. Strippel andava e veniva. I bambini dovettero svestirsi in una stanza della cantina, poi furono portati in un’altra stanza, dove il dottor Trzebinski fece loro un’iniezione per farli addormentare. Quelli che dopo l’iniezione davano ancora segni di vita, furono portati in un’altra stanza. Fu messa loro intorno al collo una corda e furono appesi a un gancio wie Bilder an die Wand… (come quadri alla parete). Questo è stato eseguito da Jauch, da me, da Trzebinski eDreimann. Strippel era presente solo in parte… Intorno a mezzanotte arrivò un altro carico di prigionieri da Neuengamme…”.
“Wie Bilder an die Wand… (come quadri alla parete)”: così Frahm rispose quando il capitano Walter Freud gli chiese: “Come li ha impiccati?” “Wie Bilder an die Wand.” […]
Il medico SS Alfred Trzebinski undici mesi dopo davanti al tribunale britannico descriverà così il fatto di Bullenhuser Damm:
“I bambini non sospettavano assolutamente nulla. Io volevo almeno alleviare loro le ultime ore. Avevo della morfina con me… Chiamai i bambini uno alla volta… feci loro l’iniezione sulla natica, dove è meno doloroso. Affinché credessero che si trattava veramente di una vaccinazione ho cambiato ago dopo ogni iniezione. La dose doveva servire a farli dormire. Devo dire che i bambini erano in uno stato abbastanza buono, fatta eccezione per un dodicenne che stava piuttosto male. Questo bambino si è addormentato subito. Ce n’erano sei o otto ancora svegli, gli altri dormivano… Frahm prese il dodicenne inbraccio e disse agli altri: ‘Verrà messo a letto’. Lo portò in un’altrastanza, a sei, otto metri circa da quella dove si trovavano i bambini e lì vidi che c’era già una corda a un gancio. A questa corda Frahm appese il bambino che dormiva, poi si appese con tutto il peso del suo corpo al corpo del bambino affinché la corda si chiudesse e lo impiccasse…
I 20 bambini immortalati dal medico carnefice Heissmeyer alla fine dei suoi esperimenti.
Ecco chi erano quei bambini e le loro storie, rimasti vittime innocenti della barbarie di un folle invasato quale era Adolf Hitler:
Georges-André Kohn, (francese) nato a Parigi il 23 aprile 1932.
Fu deportato insieme a sette componenti della sua famiglia il 17 agosto 1944 dalla stazione francese di Drancy-Le Bourget ad Auschwitz-Birkenau. Il 21 agosto, dopo tre giorni di viaggio infernale, Philippe e Rose-Marie, due fratelli di Georges, insieme ad altri prigionieri riuscirono a scappare attraverso un varco nel vagone. Georges, suo padre, la mamma, la sorella Antoinette e la nonna furono separati sulla rampa di Auschwitz-Birkenau: la nonna fu inviata alla camera a gas, la mamma e la sorella Antoniette morirono di fame a Bergen-Belsen, Armand Kohn, il papà di Georges, finì a Buchenwald, da dove tornò molto malato. Georges fu mandato nella baracca dei bambini a Birkenau, poi a Neuengamme e infine a Bullenhuser Damm. Il fratello di Georges, Philippe, è il presidente dell’Associazione “I Bambini di Bullenhuser Damm”;
Jacqueline Morgenstern (francese), nata a Parigi il 26 maggio 1932
Fu arrestata con i genitori il 15 maggio 1944. Detenuti nel campo di transito di Drancy, cinque giorni dopo furono caricati su un treno diretto ad Auschwitz-Birkenau. Delle 1200 persone che facevano parte di quel trasporto tornarono 108 donne e 49 uomini, non i tre Morgenstern.Jacqueline finì nella baracca dei bambini a Birkenau, da lì fu poi portata a Neuengamme e usata come cavia umana per esperimenti medici; fu infine assassinata nella scuola di Bullenhuser Damm, a soli tredici anni;
W. Junglieb (jugoslavo ?), nato a ? nel 1932
Di questo bambino non si conosce nemmeno il nome. L’unico dato certo della sua vita è che faceva parte del gruppo dei bambini morti nella scuola Amburghese di Bullenhuser Damm.;
Roman Zeller, (polacco), nato a ? nel 1932;
Di Roman Zeller non si hanno notizie precise. Si sa che dalla baracca dei bambini di Birkenau fu portato a Neuengamme insieme agli altri 20 bambini poi assassinati nella scuola di Bullenhuser Damm.
Lelka Birnbaum (polacca), nata a ? nel 1932;
La sua storia non è nota. Si sa che fece parte del gruppo dei 20 bambini assassinati a Bullenhuser Damm.
Eduard (Edo) Hornemann (olandese), nato a Eindhoven il 1° gennaio 1933
La famiglia Hornemann – Elisabeth, Philip e i loro figli, Edo e Lexje vivevano al 29 di Staringstraat. Elisabeth e Philip lavoravano alla Philips, Edo era molto intelligente, Lexje molto spassoso. Il 25 agosto 1942 alla famiglia Hornemann fu espropriata la casa; l’anno seguente, il 18 agosto, le SS entrarono nella fabbrica della Philips e ordinarono a tutti gli ebrei di salire sul camion. Gli Hornemann finirono nel lager di Vught e il 3 giugno 1944, insieme ai 400 ebrei prelevati dalla Philips, furono caricati su carri bestiame diretti ad Auschwitz. Philip Hornemann morì il 21 febbraio 1945 a Sachsenhausen, dove era arrivato dopo una tappa a Dachau con la “marcia della morte” partita il 17 gennaio da Auschwitz, con 20 gradi sotto zero; sua moglie morì di tifo nell’ottobre 1944 ad Auschwitz. Edo e Lexje Hornemann rimasero a Birkenau nella baracca dei bambini, poi entrarono a far parte del gruppo dei 20 bambini di Bullenhuser Damm;
Marek Steinbaum (polacco), nato a Radom nel 1934
Figlio di Mania e Rachmil, entrò a far parte del gruppo dei 20 bambini di Bullenhuser Damm. La prima settimana di ottobre del 1944 tutta la sua famiglia fu deportata ad Auschwitz. Suo padre e suo zio furono poi trasferiti a Dachau. Marek e sua mamma rimasero ad Auschwitz-Birkenau. Il 27 novembre Mania vide Marek in un gruppo di bambini che stava lasciando il campo… lo salutò con la mano… Pochi giorni dopo fu deportata a Theresienstadt. Dopo la liberazione papà e mamma Steinbaum, sopravvissuti, diedero inizio alla disperata quanto inutile ricerca del loro piccolo Marek.;
Eduard Reichenbaum (polacco), nato a Kattowitz il 15 novembre 1934
Era figlio di un rappresentante di libri di editori tedeschi e polacchi. In casa parlavano tedesco e polacco. A raccontarci della famiglia è Jizhak, il fratello maggiore di Eduard, sopravvissuto e trasferitosi ad Haifa: “Dopo l’occupazione della Polonia fummo deportati prima nel campo di lavoro a Blizyn, poi, il 1° agosto 1944, nel campo di sterminio di Auschwitz. Sulla rampa di Auschwitz-Birkenau fummo separati: io fui mandato al campo degli uomini, mio fratello Eduard rimase con la mamma nel campo delle donne fino a metà novembre. Mio padre arrivò con un trasporto successivo e non lo rividi più”. Il 23 novembre 1944 Sabina Reichenbaum, partì da Auschwitz con un trasporto di donne destinate a lavorare in Germania, a Lippstadt, in un fabbrica di munizioni. Nella lista era il n. 81. Sopravvisse al lager e andò in Israele; suo marito morì ad Auschwitz; mentre il piccolo Eduard dalla baracca dei bambini finì a Bullenhuser Damm;
Bluma (Blumele) Mekler (polacca), nata a ? nel 1934;
Chiamata Blumele, era uno dei 20 bambini che da Auschwitz fu inviata a Neuengamme come cavia umana per esperimenti medici e poi assassinata nella scuola di Bullenhuser Damm.
Surcis Goldinger (polacca), nata a ? nel 1934
Da Ostrowicz giunse ad Auschwitz il 3 agosto 1944. Fu tatuata con il numero A16918. Finita nella baracca dei bambini di Birkenau divenne uno dei 20 bambini sui quali furono effettuati esperimenti sulla tubercolosi nel campo di concentramento di Neuengamme e poi assassinati nella scuola di Bullenhuser Damm.;
Ruchla (Rachele) Zylberberg (polacca), nata a Zawichost il 6 maggio 1936
Quando i tedeschi, nel settembre 1939 invasero la Polonia, Nison Zylberberg,il papà di Ruchla e di Ester, cercò riparo oltre il confine, in Russia. Sua moglie, Fajga con le bimbe pensava di raggiungerlo, ma con il passare dei giorni divenne sempre più difficile ottenere i documenti per l’espatrio. Così, le uniche porte che si aprirono a Fajga e alle sue bambine, Ester e Ruchla, furono quelle di Auschwitz-Birkenau. All’arrivola mamma e la piccola Ester furono spedite subito al gas, mentre Ruchla Zylberberg finì nella baracca dei bambini a Birkenau per poi divenire parte del gruppo dei 20 bambini di Bullenhuser Damm;
Alexander (Lexje) Hornemann (olandese), nato a Eindhoven il 31 maggio 1936
La famiglia Hornemann – Elisabeth, Philip e i loro figli, Edo e Lexje vivevano al 29 di Staringstraat. Elisabeth e Philip lavoravano alla Philips, Edo era molto intelligente, Lexje molto spassoso. Il 25 agosto 1942 alla famiglia Hornemann fu espropriata la casa; l’anno seguente, il 18 agosto, le SS entrarono nella fabbrica della Philips e ordinarono a tutti gli ebrei di salire sul camion.’ Gli Hornemann finirono nel lager di Vught e Il 3 giugno 1944, insieme ai 400 ebrei prelevati dalla Philips caricati su carri bestiame diretti ad Auschwitz! Philip Hornemann morì il 21 febbraio 1945 a Sachsenhausen, dove era arrivato dopo una tappa a Dachau con la “marcia della morte” partita il 17 gennaio da Auschwitz, con 20 gradi sotto zero; sua moglie morì di tifo nell’ottobre 1944 ad Auschwitz. Edo e Lexje Hornemann rimasero a Birkenau nella baracca dei bambini, poi entrarono a far parte del gruppo dei 20 bambini di Bullenhuser Damm;
Sergio de Simone (italiano), nacque a Napoli il 29 novembre 1937
da Eduardo e Gisella Perlow – israelita originaria di Vrhnika in Jugoslavia, ma residente a Fiume –, nel quartiere del Vomero, al civico 8 di Via Scarlatti. All’indomani dell’entrata in guerra dell’Italia al fianco della Germania nazista, e i pesanti bombardamenti a cui fu sottoposto il capoluogo partenopeo, per sfuggire alla piega decisamente negativa che stavano prendendo gli ultimi eventi – con la sciagurata caccia all’ebreo sferrata dai nazi-fascisti – il piccolo Sergio, insieme alla madre, decidono di abbandonare Napoli e raggiungere Fiume per trovare un rifugio più sicuro, considerato che il padre Eduardo era lontano imbarcato in quanto capitano della marina. Dopo la firma dell’Armistizio e l’occupazione dei tedeschi, anche Fiume viene assoggettata alla sovranità del Reich, entrando a far parte dell’Adriatische Kusterland. Giungono a Trieste e a Fiume i nazisti al comando del superiore delle SS e della polizia (Höherer SS-und Polizeiführer) nella Zona d’Operazione del Litorale Adriatico, il famigerato Odilo Globočnik, soprannominato il “boia diLublino”, che già aveva fatto tristemente parlare di sé per aver impartito l’ordine perentorio di avviare alle camere a gas migliaia di ebrei e disabili tedeschi nel quadro del progetto eutanasia. A quel punto, purtroppo, anche il destino di Sergio e Gisella era ormai segnato. Difatti, di lì a poco, per la precisione il 21 marzo 1944, furono acciuffati dalle SS, in seguito ad un’improvvisa irruzione nell’appartamento dei genitori di Gisella in via Milano 17. Senza battere ciglio furono tratti in arresto insieme alle zie Mira e Sonia ed allo zio Giuseppe e condotti nel campo di concentramento della Risiera di San Sabba, dove restarono soltanto lo spazio di una notte poiché, il 29 marzo successivo, furono tutti caricati sul convoglio 25T e trasportati , dopo sei giorni di viaggio, ad Auschwitz-Birkenau. Da questo momento in poi non sono più considerate delle persone ma diventano soltanto dei numeri, perché vengono immediatamente marchiati sul braccio con un numero di riconoscimento. Sergio diventa il prigioniero A 179614. Trascorre un po’ di tempo con la madre, dopodiché, il 14 maggio 1944, il turpe e famigerato dottor Josef Mengele – passato tristemente alla storia con l’epiteto poco lusinghiero di “angelo della morte” – lo selezionò, insieme ad altri 19 bambini per sottoporli ad esami del sangue e ad un’operazione alle tonsille. Quindi vengono tutti rinchiusi nel Block 10, denominata la “Baracca dei bambini”, che recava il numero 11. Soltanto Gisella con la sorella Mira e le sue bambine Andra e Tatiana riuscirono a sopravvivere a quell’inferno.
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H. Wasserman (polacca), nata a ? nel 1937
Bellissimo il parco che ad Amburgo porta il suo nome: Parco H. Wasserman;
Lea Klygerman (polacca), nata a Ostrowicz nel 1937
Il 3 agosto 1944 era stata scaricata sulla rampa di Auschwitz Birkenau con le sue due bambine, Lea e Rifka. Lea, tatuata con il numero A 16959;
Riwka Herszberg (polacca), nata a Zdunska Wola il 7 giugno 1938;
Riwka Herszberg fu deportata ad Auschwitz con la mamma Mania e il papà Moische alla fine di ottobre 1943. Sembra che un ufficiale SS vedendo Riwka sulla rampa sia rimasto così colpito dalla sua bellezza che abbia fatto di tutto per impedire che la famiglia fosse mandata al gas. Infatti gli Herszberg dalla rampa furono mandati nel campo per famiglie. Qui rimasero insieme finché Mania e Moishe non furono trasferiti in un campo di lavoro e Riwka nella baracca dei bambini a Birkenau. Mania sopravvisse alla prigionia e per anni cercò disperatamente la sua piccola, ma Riwka Herszberg faceva parte del gruppo dei 20 bambini assassinati a Bullenhuser Damm.
Roman Witonski (polacco), nato a Radom l’8 giugno 1938;
Roman ed Eleonora Witonski dal ghetto di Radom furono deportati con la loro mamma (il padre era stato ucciso sotto i loro occhi il 21 marzo 1943) ad Auschwitz-Birkenau il 31 luglio 1944 “A Birkenau fui mandata nel campo per famiglie, che era vuoto… Io ho avuto il numero A 15158, Eleonora A 15159, Roman A 15160. Ho visto i miei bambini per l’ultima volta nel novembre 1944″, raccontò la signora Rucza Witonski , che sopravvisse al lager e cercò in tutti i Paesi d’Europa i suoi bambini. Solo nel 1982 venne a sapere che Roman ed Eleonora Witonski erano due dei 20 bambini assassinati a Bullenhuser Damm.
Marek James (polacco), nato a Radom il 17 marzo 1939;
La
La famiglia James abitava a Radom, non lontano dalla famiglia Witonski. Arrivò ad Auschwitz il 1° agosto 1944. Marek venne tatuato con il numero B 1159 e mandato nella baracca dei bambini.
Eleonora Witonski (polacca), nata a Radom il 16 settembre 1939
Roman ed Eleonora Witonski dal ghetto di Radom furono deportati con la loro mamma (il padre era stato ucciso sotto i loro occhi il 21 marzo 1943) ad Auschwitz-Birkenau il 31 luglio 1944 “A Birkenau fui mandata nel campo per famiglie, che era vuoto… Io ho avuto il numero A 15158, Eleonora A 15159, Roman A 15160. Ho visto i miei bambini per l’ultima volta nel novembre 1944″, raccontò la signora Rucza Witonski , che sopravvisse al lager e cercò in tutti i Paesi d’Europa i suoi bambini. Solo nel 1982 venne a sapere che Roman ed Eleonora Witonski erano due dei 20 bambini assassinati a Bullenhuser Damm;
Mania Altmann (polacca), nata a Radom nel giugno 1940.
I genitori di Mania Altmann si chiamavano Shir e Pola. Lo zio Chaim Altmann sopravvissuto ad Auschwitz racconta: “Mania era dolcissima ed era adorata da mamma e papà. La mamma cercò di nasconderla, di proteggerla, ma ad Auschwitz le fu strappata via. Shir è morto a Mauthausen, Pola vide per l’ultima volta la sua piccola Mania nell’agosto 1944. Pola sopravvisse ad Auschwitz, emigrò in America e fino alla morte sperò che Mania tornasse”… ma Mania Altmann era nel gruppo dei 20 bambini di Bullenhuser Damm.
In occasione del Giorno della Memoria, la Cascina Roccafranca ha organizzato una suggestiva mostra fotografica, intitolata: “Shoah 2013 Giornata della Memoria”, che si è svolta dal 17 gennaio al 1° febbraio, proponendo, attraverso la proiezione di film e spettacoli teatrali, interessanti spunti di riflessione e approfondimento su questo argomento. Io vi propongo, qui di seguito, il cortometraggio dedicato alla memoria del piccolo Sergio De Simone, intitolato:
“Sergio De Simone: Napoli 29.11.1937 / Amburgo Bullenhuser Damm 20.4.1945” [Officinema, 2006, 25']
Ripropongo, qui di seguito, anche un altro articolo scritto lo scorso anno che raccontava la storia delle sorelle Andra e Tatiana Bucci, cugine del piccolo Sergio de Simone.
Sergio Zavoli a colloquio con Andra e Tatiana Bucci
Le bambine dai capelli bianchi – Incontri con le sorelle Bucci
Incontro su “LE BAMBINE DAI CAPELLI BIANCHI – INCONTRO CON LE SORELLE BUCCI”.
Le sorelle Andra e Tatiana Bucci giovanissime ebree di Fiume vengono deportate ad Auschwitz nel marzo del 1944 all’età di 4 e 6 anni. Dopo la liberazione e dopo due anni passati in orfanotrofi si ricongiungono attraverso varie peripezie con i loro genitori.
Tatiana Bucci è nataa Fiume nel 1937 dapadre cattolico e da madre ebrea. La sera del 28 marzo 1943, improvvisamente insieme alla sorella Andra furono internate con la mamma Mira, la nonna, la zia e il cuginetto Sergio nel “Kinderblok” di Birkenau, dopo la breve sosta presso la risiera di San Sabba. E pensare che all’epoca avevano rispettivamente appena 4 e 6 anni. Rimasero internate a Birkenau fino al 27 gennaio del 1945, giorno in cui l’Armata Rossa liberò il campo. Alla fine, tuttavia, miracolosamente riuscirono a sopravvivere allo sterminio sferrato dai nazisti e da quel momento trascorsero due lunghi anni presso alcuni orfanatrofi e case di riabilitazione per ebrei tra Praga e l’Inghilterra, finché il destino volle che riabbracciassero i loro cari. Anche la madre, infatti, con l’aiuto del fato, era riuscita a scampare all’orribile sorte del lager che l’attendeva, mentre la zia Gisella, fino al giorno della sua morte, non ha smesso un solo istante di sperare in un prodigioso ritorno di Sergio che, purtroppo, non allieterà più le sue giornate perché ad appena 7 anni, fu trasferito a Neuengamme vicino ad Amburgo, dove l’attendeva un atroce destino: divenne, infatti, una cavia per orribili esperimenti sulla tubercolosi nel campo del dottor Heissmeyer, agli ordini del cosiddetto “angelo della morte”, il famigerato Josef Mengele (Günzburg, 16 marzo 1911 – Bertioga, 7 febbraio 1979). Adesso Tatiana vive in Belgio e si dedica attivamente a trasmettere la propria testimonianza alle nuove generazione affinché “la nostra memoria continui attraverso voi”, mantenendo sempre viva la memoria su questi crimini efferati perpetrati da menti veramente diaboliche e non permettere che questi ricordi siano relegati, ineluttabilmente, nell’oblio o, più semplicemente, ridimensionati da un inverosimile negazionismo che, di tanto in tanto, sembra prendere piede qua e là mettendo in discussione il vero dramma della Shoah vissuto sulla propria pelle da tante persone innocenti “colpevoli” soltanto di professare una religione “diversa” o di far parte di un’altra etnia.
Ecco uno stralcio della loro storia davvero molto toccante, in una sorta di viaggio nella memoria, per comprendere compiutamente di cosa stiamo parlando…
La sera del 28 marzo 1944 siamo state arrestate dai tedeschi e dai fascisti, accompagnati fino a casa dal nostro delatore, perché eravamo di razza ebrea. Questo triste avvenimento è stato l’inizio di un capovolgimento della nostra vita. All’epoca avevo solo 6 anni e nonostante fossero state emanate le leggi razziali, la vita della mia famiglia scorreva tranquilla. […] Andavo all’asilo, non cominciai la prima elementare come avrei dovuto, ma la frequentai più tardi a Praga dove ci portarono i russi che avevano liberato il campo di Auschwitz. Ricordo che giocavo con mia sorella e con il cuginetto Sergio che veniva a trovarci da Napoli assieme alla mamma Gisella e si trovavano a Fiume quella triste sera del 28 marzo 1944. Ricordo anche le corse al rifugio durante i bombardamenti. Papà era assente, navigava per il Lloyd Triestino e nel 1940 il piroscafo sul quale era imbarcato si trovava in Sud Africa, nelle acque territoriali inglesi, e fu fatto prigioniero. Per non dimenticare nostro padre, ogni sera, prima di rimboccarci le coperte, la mamma ci accompagnava davanti alla foto che li ritraeva nel giorno delle loro nozze per augurargli la buona notte. Poi venne Auschwitz e, una volta chiusa nel campo, mi resi conto che cos’ era ciò che ci differenziava dagli altri: la religione. Noi eravamo ebree come quasi tutti gli internati di quel campo di concentramento. Solo molti anni dopo mi resi conto cosa volesse dire essere state ebree in quel periodo.28 Marzo 1944. Quella sera i tedeschi entrarono in casa, insieme al delatore che, per soldi, aveva fatto il nome della nostra famiglia. Noi bambini eravamo a letto. La mamma ci svegliò e ci vestì. Vedemmo la nonna in ginocchio, davanti ai soldati. Li pregava di risparmiare almeno noi. Ci caricarono sul carro bestiame, tutti ammassati – raccontano -. Arrivati a Birkenau ci divisero in due file. La nonna e la zia vennero sistemate sull’altro lato, quello dei prigionieri destinati alla camera a gas. Ci portarono nella sauna, ci spogliarono, ci rivestirono con i loro abiti e ci marchiarono con un numero sull’avambraccio. Ci trasferirono nella baracca dei bambini e lì cominciò la nostra nuova vita nel campo. Giocavamo con la neve e con i sassi, mentre i grandi andavano a lavorare. Quando poteva, di nascosto, la mamma veniva a trovarci ricordandoci sempre i nostri nomi. Questa intuizione geniale ci fu di grande aiuto al momento della liberazione, molti non sapevano più il proprio nome. Un giorno la mamma non venne più e pensammo che fosse morta, ma non provammo dolore, la vita del campo ci aveva sottratto un pezzo d’infanzia, ma ci aveva dato la forza per sopravvivere. Ogni giorno vedevamo cumuli di morti nudi e bianchi. La donna che si occupava del nostro blocco con noi era gentile. Un giorno ci prese da parte e ci disse: “fra poco vi raduneranno e vi ordineranno: chi vuole rivedere sua mamma faccia un passo avanti… voi non vi muovete. Spiegammo a nostro cugino Sergio di fare la stessa cosa, ma lui non ci ascoltò. Da allora non lo rivedemmo mai più. L’ ultimo ricordo di nostro cugino è il suo sorriso mentre ci salutava dal camion che lo portava via insieme agli altri 19 bambini, desiderosi di rivedere la mamma. Nostro cugino Sergio fu portato, assieme agli altri 19 bambini, ad Amburgo, a Neuengamme, dove si concluse tristemente la Sua breve vita. Alla liberazione parlavamo anche in tedesco, poi a Praga abbiamo imparato la lingua ceca e nel frattempo avevamo dimenticato l’italiano. Più tardi in Inghilterra, dove siamo state accolte in un centro per bambini sopravvissuti alla Shoah, abbiamo appreso l’inglese perché frequentavamo la scuola pubblica. In Inghilterra la nostra infanzia ci fu restituita, in quanto siamo state circondate da tanto affetto, premure e calore umano di persone qualificate, che erano lì per aiutarci a dimenticare gli orrori vissuti e a ridarci fiducia e speranza per il futuro. Ancora oggi siamo in contatto con la nostra Manna, diventata quasi una mamma per noi. I nostri genitori, nel frattempo rientrati in Italia, riuscirono con l’aiuto della Croce rossa a ritrovarci. La fotografia della «buona notte» ci consentì di riconoscerli e per fortuna ricordavamo i nostri nomi e il nostro cognome. La mamma ce lo ripeteva sempre quando ad Auschwitz riusciva a venire ad abbracciarci. Ormai molti anni sono trascorsi da quell’orribile periodo. Nella ritrovata famiglia non se ne parlava molto, probabilmente anche perché chi ci circondava appariva incredulo quando la mamma raccontava la sua terribile esperienza e noi bambine eravamo troppo giovani. Ma i ricordi anche adesso e forse soprattutto adesso sono ancora molto vivi. Dal giorno del ricongiungimento, stabiliti ormai a Trieste, abbiamo iniziato a vivere, ma nostra madre – confessano – non ha mai voluto parlare della nostra storia». Una storia di crimini e di orrori, d’infanzia negata i cui ricordi, ancora oggi, ritornano nitidi. «Chiudendo gli occhi si acuiscono i sensi – raccontano – rivediamo le fiamme e la cenere che uscivano dai camini notte e giorno e i cumuli di cadaveri, avvertiamo ancora la sensazione del grande freddo e l’odore nell’aria della carne bruciata. Le camere a gas e i forni crematori funzionavano di continuo. Abbiamo così avuto la fortuna di crescere, di diventare adulte, mogli, madri e ora anche nonne. Abbiamo avuto una vita con i suoi dolori e con le sue gioie. Certo, a volte i ricordi mi riassalgono improvvisi, basta un treno merci, una ciminiera o una qualche marcetta vagamente militare, ma poi la vita riprende il suo corso. Il dolore più grande però è la scomparsa di nostro cugino rimasto per sempre bambino.
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